Marco Guerra – Città del Vaticano
La preghiera di Papa Francesco, recitata ieri nel post Angelus, per le popolazioni della regione etiope del Tigray, colpite dalle violenze del conflitto e dall’insicurezza alimentare, ha richiamato l’attenzione della Comunità internazionale su questa crisi umanitaria che vede circa 350mila persone costrette a vivere in carestia ed altre due milioni soffrire di terribili privazioni.
L’appello del G7 dopo le parole del Papa
Al termine dei lavori del G7 in Gran Bretagna, domenica, anche i leader del gruppo hanno chiesto la fine immediata delle ostilità. “Siamo profondamente preoccupati per il conflitto in corso nella regione etiope del Tigray e per le notizie di una grande tragedia umanitaria in corso”, affermano in comunicato emesso dopo il summit. “Chiediamo un’immediata cessazione delle ostilità, il libero accesso umanitario a tutte le aree e l’immediato ritiro delle forze eritree”.
Le cause del conflitto
I combattimenti sono scoppiati nella regione a novembre tra le truppe del governo di Addis Abeba e quelle dell’ex partito di governo della regione che si trova nel nord del Paese, il Tigray People’s Liberation Front (TPLF). La guerra ha avuto un’escalation con l’intervento, in favore del governo centrale, delle truppe della vicina Eritrea. Le tensioni sono invece iniziate a settembre quando il TPLF ha vinto elezioni regionali non riconosciute dal governo nazionale, che rinviava continuamente la data del voto a causa della pandemia. Oltre tutto, l’elite tigrina era già in contrasto con le autorità di Addis Abeba, perché nel 2015 è stata scalzata dal potere dopo almeno 30 anni in cui ha guidato i governi nazionali dell’Etiopia.
Onu: cibo come arma di guerra
Attualmente, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, più di 350mila dei quasi 6 milioni di cittadini del Tigray vivono in condizioni di carestia e 2 milioni sono gli sfollati interni. Ad aggravare l’insicurezza alimentare il fatto che il conflitto è scoppiato poco prima del raccolto principale dell’anno. L’Onu punta il dito anche contro la condotta delle truppe eritree, inviate a sostegno del governo del primo ministro etiope Abiy Ahmed. Il più alto esponente delle politiche umanitarie delle Nazioni Unite, Mark Lowcock, ha accusato le forze eritree di “cercare di affrontare la popolazione tigrina facendola morire di fame”. In un’intervista alla Reuters di giovedì scorso, Lowcock ha aggiunto che i soldati eritrei e i combattenti locali stanno deliberatamente bloccando i rifornimenti a più di un milione di persone nelle aree fuori dal controllo del governo, “il cibo è sicuramente usato come arma di guerra”. Alcune testimonianze raccolte dalla stampa internazionale riferiscono di contadini che hanno abbandonato i campi per sfuggire alla violenza.
Unicef: bimbi in grave deperimento
In questa cornice non c’è scampo nemmeno per i bambini, l’Unicef ha offerto un’istantanea della crisi, rendendo noto che a marzo 1.187 minori sono stati trattati per “grave deperimento” negli ospedali che coprono circa un terzo del Tigray. Questa cifra corrisponde a quella dell’intera regione prima della guerra. In aprile, il numero è salito a 1.723. In maggio, ha raggiunto 2.931.
Caritas: Papa accende riflettori su crisi dimenticata
“Le parola del Papa sono importanti perché richiamo l’attenzione su una crisi dimenticata dall’opinione pubblica malgrado perduri da almeno 7 mesi”, intervistato da VaticanNews il responsabile dell’Ufficio Africa della Caritas italiana, Fabrizio Cavalletti, ringrazia il Santo Padre per il pensiero rivolto al Tigray che suona come un incoraggiamento ad andare avanti.
L’impegno di Caritas
“Questa guerra è migliorata dal punto di vista dell’intensità dei combattimenti ma dal punto di vista umanitario è sempre più grave, fino ad arrivare ad un livello di carestia”, spiega ancora l’esponente di Caritas che riferisce anche dell’impegno dell’organizzazione cattolica sul posto: “L’azione della Caritas locale è iniziata all’indomani dell’inizio della crisi, un programma abbastanza articolato di risposta umanitaria, attivo anche nelle regioni limitrofe che accolgono gli sfollati interni”. Gli aiuti sono integrati da uno stanziamento della Chiesa italiana tramite l’8 x 1000.
Le Chiesa locali in prima linea per la pace
Decisivo anche il supporto delle Chiese locali che, oltre ad offrire sostegni umanitari concreti alla popolazione, richiamano le parti al dialogo e ad una soluzione pacifica. “Uno dei problemi di questa guerra è l’accesso alle aree del conflitto – spiega ancora Cavalletti – ma tramite la sua presenza capillare la Chiesa locale ha una possibilità in più di raggiungere le persone che hanno necessità”. Il dirigente della Caritas italiana conferma infine che una parte della popolazione è in “una grave insicurezza alimentare che richiede un intervento immediato”, “le difficolta a raggiungere le popolazioni più remote vanno superate”.