Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
I bambini e gli adulti spesso vedono il mondo con prospettive non coincidenti. I più piccoli, non contaminati da stereotipi, sono pronti ad interagire, ad entrare in relazione con l’altro in modo autentico. Il pensiero delle persone cosiddette mature, spesso condizionato da pregiudizi, rischia invece di anteporre il calcolo alla gratuità, l’interesse alla sincerità. È in questa duplice e contrapposta visione del mondo che si condensano le celebri sequenze del film “E.T. l’extra-terrestre”. In questa intervista a Vatican News monsignor Dario Edoardo Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e di quella delle Scienze Sociali, prende in esame alcuni degli insegnamenti della celebre pellicola di Steven Spielberg.
Cosa ci insegna ancora oggi il film E.T.?
Presentato al 35.mo Festival di Cannes e uscito nelle sale l’11 giugno 1982, E.T. l’extra-terrestre (E.T. the Extra-Terrestrial) di Steven Spielberg – scritto insieme a Melissa Mathison – rimane a quarant’anni di distanza una poetica favola sociale, una parabola di inclusione e solidarietà che corre sulle rotaie del fantastico, della fantascienza. Attraverso la figura dell’alieno E.T., cui ha dato un’iconica fisionomia il genio dell’italiano Carlo Rambaldi (Premio Oscar per gli effetti speciali; il film ne ha vinti nel complesso quattro), Spielberg ci racconta il senso dell’incontro con l’altro da noi: E.T. è il nostro prossimo, lo straniero, il distante, colui anzitutto da ascoltare e poi da accogliere. Una poesia di rara bellezza che interseca con pertinenza la nostra società contemporanea, come pure i valori del Vangelo. D’altronde, non è quello che ci ha ricordato anche quest’anno Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “Ascoltare con l’orecchio del cuore”?
Il film E.T. ci dice anche che chi è diverso fa paura. E che il mondo del progresso può oltraggiare quello dell’etica…
Nella Lettera enciclica Laudato si’ papa Francesco ci mette in guardia dal “paradigma tecnocratico”, dai suoi riverberi incontrollati per l’umanità. In generale, tanto verso la tecnologia quanto verso i media, l’approccio più corretto rimane anzitutto antropologico. Un ancoraggio valoriale. In fondo, è proprio la suggestione che ci consegna il film E.T. l’extra-terrestre: lo sguardo degli adulti è segnato da timore e sospetto verso il piccolo alieno. La mamma di Elliott e Gertie (rispettivamente Henry Thomas e Drew Barrymore) è spaventata, pensa con apprensione all’incolumità dei figli. Gli agenti governativi e gli scienziati vogliono solo eseguire esperimenti su E.T. Non vedono altro. Gli unici invece ad accostarsi a E.T. con sguardo libero dal pregiudizio sono proprio i bambini. Loro accolgono l’alieno, lo sfamano e lo rendono loro pari. Al di là della cornice fantastica, il racconto non è poi così distante dal Vangelo: pensiamo, infatti, alla parabola del buon samaritano. Ancora, nella Lettera agli Ebrei Paolo scrive: “L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13, 1-2).
Una delle frasi celebri del film è: “E.T. telefono casa”. Un esempio di come, la famiglia e la casa siano due elementi fondamentali. Non importa dove andiamo o da dove veniamo…
Nel film la casa e la famiglia sono centrali, come del resto l’amicizia e la solidarietà. A ben vedere, entrando nelle pieghe del racconto, il film nasce come messa in condivisione della sofferenza quando i legami affettivi sono dispersi. Nella storia (dagli echi autobiografici) l’infanzia è segnata dalla separazione dei genitori; a mancare è soprattutto la figura paterna, che i tre ragazzi di casa – Elliott, Gertie e Michael – avvertono distintamente, ma con intensità diversa in relazione all’età. E così la figura di E.T. non è solo l’emblema dell’altro, dello straniero, ma è anche la rivelazione di un diffuso bisogno di tenerezza che manca nel tessuto domestico. E.T. ricorda a tutti, adulti in testa, il bisogno di ascoltarsi, di parlarsi, di ritrovarsi; il piccolo alieno aiuta a riorientare la distrazione degli adulti e supplisce ai prematuri affanni dei più piccoli, chiamati a un’adultizzazione precoce. E.T. riafferma la grammatica del cuore tra le maglie della famiglia.
Oggi l’umanità, scossa dalla pandemia e dalle guerre sarebbe pronta per un incontro con un extraterrestre?
Da sempre l’uomo ha lo sguardo rivolto verso il cielo, intenzionato a cogliere i segni del Mistero e al contempo a dare sfogo ai sogni fantastici. Tra i più ricorrenti c’è l’incontro con gli extra-terrestri. Uno sguardo umano carico sempre di una dualità di sentimento: desiderio di prossimità e scoperta, come pure timore per la propria sicurezza. Oggigiorno abbiamo una tecnologia sorprendente, ma non è quello però ciò che ci rende migliori, pronti. È il cuore, come detto in principio. Lo ribadisce Papa Francesco: “Il rifiuto di ascoltare finisce spesso per diventare aggressività verso l’altro […] Il Signore chiama esplicitamente l’uomo a un’alleanza d’amore […] immagine e somiglianza di Dio nella sua capacità di ascoltare, di accogliere, di dare spazio all’altro” (56.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali).