Il dramma del Tigray, una missionaria: qui manca tutto

Vatican News

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

L’Etiopia, terra di sofferenza per milioni di persone. Le cause? Sicuramente la crisi economica, che sta aumentando il numero di persone in povertà estrema, poi il coronavirus, che, come nel resto del mondo, ha colpito implacabilmente anche qui, pur con numeri inferiori rispetto ad altre zone. Particolarmente drammatica la situazione nella regione del Tigray, dove, da novembre 2020, è in corso un conflitto, scatenato dalle milizie autonomiste locali, che sta coinvolgendo anche gli eserciti di Addis Abeba e della confinante Eritrea. In questa realtà, spesso drammatica, è preziosa l’opera delle suore missionarie, che operano in Tigray e in tutto il territorio etiopico, con scuole e centri di accoglienza e sanitari. A Vatican News la testimonianza di suor Paola Labella, delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Ascolta l’intervista a suor Paola Labella

Qual è la situazione umanitaria nella regione etiopica del Tigray dopo oltre 7 mesi di guerra?

La situazione è grave. Gli aiuti umanitari non raggiungono tutti. Arrivano sino alle zone urbane, ma non raggiungono i villaggi. Le persone non ricevono cibo ed acqua. Gli sfollati hanno occupato le scuole, perché non sanno dove andare. La guerra ha distrutto le strutture sanitarie. La gente è senza lavoro, perché alcune fabbriche sono andate distrutte, come nella zona di Adua, Almeda. La merce venduta nei mercati ha i prezzi altissimi. Le linee di comunicazioni per mesi sono state interrotte, anche se ora la situazione é migliorata, ma non è ancora nella normalità.

Come avete accolto i vari appelli di Papa Francesco per il Tigray?

Quella cattolica in Etiopia è una Chiesa piccola, ma è riconosciuta da tutti per l’impegno educativo e sociale che svolge. L’appello del Papa é stato, dunque, un forte incoraggiamento soprattutto per la popolazione che soffre, ma anche per tutto il Paese. I suoi appelli ci aiutano ad andare avanti con speranza. Penso che questo costante impegno del Papa sia un chiaro segno della vicinanza della Chiesa a chi è in più in difficoltà. Noi missionari e missionarie e la Chiesa locale cerchiamo di accompagnare la popolazione con gesti concreti, primo fra tutto la presenza che incoraggia sostiene e non fa crollare la speranza.

Qual è la situazione nel resto del Paese?

Abbiamo 5 presenze in Etiopia oltre ad Adua: una missione si trova nella regione dell’Oromia a Zway, nel centro del Paese, la seconda è nel Sud, nella cittadina di Dilla, una terza dalla parte di Endibir, nella zona del Guraghe, ad ovest, e 2 comunità si trovano nella capitale, Addis Abeba. Le comunità educative che operano in queste missioni sono formate non solo dalle piccole comunità internazionali delle Figlie di Maria Ausiliatrici, ma anche, e tengo a sottolinearlo, da molti laici collaboratori locali, che operano insieme per l’educazione dei giovani e la promozione delle donne. In alcune zone si opera anche in campo sanitario, come a Dilla, con una clinica, e in Zway, con un piccolo centro per i bimbi malnutriti e un dispensario per la popolazione. Le comunità sono centri di vita e relazioni pacifiche tra persone di diverse religioni ed etnie. La situazione del Paese in questi mesi è stata difficile. Ci sono stati scontri in diverse aree e la gestione non é facile. Di recente in Etiopia si è votato e auguriamo a tutti di poter usufruire anche in futuro di questo diritto nella pace.

Come e con quali mezzi e strutture voi missionarie operate?

Molte congregazioni religiose sono presenti nel Tigray e operano con carità e solidarietà per tutta la popolazione. Noi Figlie di Maria Ausiliatrice siamo presenti in Etiopia da circa 30 anni. Il nostro impegno è nel campo educativo, nella promozione della donna e nell’accompagnamento dei giovani, avviandoli anche ad un lavoro. In Tigray la missione si trova ad Adua. La nostra scuola è l’unica a non essere stata occupata dagli sfollati ed è così diventata un punto di riferimento per la popolazione per alcuni bisogni, come l’acqua, grazie ai pozzi situati nella missione. L’acquedotto non funziona più. L’acqua viene distribuita e questa acqua è di buona qualità rispetto a quella del fiume. Kidane Ameret Hospital è l’unica struttura sanitaria cattolica rimasta ad Adua ed i lavoratori della missione sono andati a lavorare lì per aiutare. Una struttura, che ancora non era completamente avviata, è divenuta a tutti gli effetti un ospedale. In questi mesi, da novembre ad oggi, sono nati più di 1.500 bambini e raggiungono l’ospedale più di 300 pazienti al giorno. La sfida delle Figlie di Maria Ausiliatrice in questa missione è sostenere il personale dal punto di vista economico. La scuola è chiusa da 2 anni, tutte le risorse sono utilizzate per l’ospedale: medicine, cibo, salari. Dietro ad ogni nostro collaboratore c’è una famiglia con figli e un futuro incerto.

L’impegno maggiore va a favore di famiglie, donne e bambini. C’è una storia particolare di cui ci vuole parlare?

Molte sono le storie di disagio soprattutto fra le donne e i bambini. Un esempio è quello delle donne che arrivano all’ospedale in travaglio in ritardo e i bimbi sono morti o muoiono poco dopo il parto. Ci sono storie di violenza, abuso che interessano non solo sconosciute ma anche ragazze che a noi sono care, magari figlie di nostri dipendenti. Il nostro personale si trova davanti volti noti, corpi violati ormai con in grembo un bimbo e esse sono spesso sotto shock, inabili a parlare. Alcune di loro contraggono anche malattie. I bambini da 2 anni non vanno a scuola, chiusi in casa, ma le case non sono come in occidente, assistono agli scontri e ne restano traumatizzati.