ANDREA TORNIELLI
“La Chiesa cattolica, innalzando per mezzo di questo concilio ecumenico la fiaccola della verità religiosa, vuol mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà…”. Sono trascorsi sessant’anni da quando Giovanni XXIII ha inaugurato il Concilio Ecumenico Vaticano II. Con un’allocuzione di 37 minuti, in lingua latina, l’11 ottobre 1962 l’anziano pontefice di fronte allo spettacolo di 2449 vescovi riuniti insieme e a una folla immensa che li aveva visti sfilare nella lunga processione in piazza San Pietro, portava a compimento un sogno e un’ispirazione tenacemente perseguita. Papa Roncalli non avrebbe potuto condurre in porto la nave che quel giorno prendeva il largo. Solo lui, con il passo calmo e deciso del contadino e la capacità di cogliere gli aspetti positivi dei segni dei tempi, aveva potuto ardire a tanto, prendendo una decisione alla quale avevano rinunciato i predecessori. Solo lui aveva potuto aprire il concilio. E solo il suo successore Paolo VI aveva potuto portare a compimento l’opera del Vaticano II, riuscendo nel miracolo di avere tutti i documenti conciliari votati quasi all’unanimità. Papa Montini avrebbe poi sofferto nel decennio successivo – quello della contestazione interna e delle divisioni – un “martirio della pazienza” per mantenere saldo il timone della Barca di Pietro, così da evitare di incagliarsi nelle secche a causa delle spinte all’indietro o di abbattersi sugli scogli a causa delle incontrollate fughe in avanti.
Sessant’anni dopo, quel cammino non è ancora concluso. Papa Francesco, il primo tra i successori di Pietro dell’ultimo mezzo secolo a non aver vissuto direttamente quell’evento come padre conciliare o come teologo, ne percorre concretamente i sentieri. Lo fa ricordando che l’unico scopo per cui esiste la Chiesa è l’annuncio del Vangelo alle donne e agli uomini di oggi.
Il magistero dell’attuale Vescovo di Roma si rispecchia nelle parole pronunciate proprio sessant’anni fa da papa Giovanni: testimoniare il volto di una Chiesa “madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia”, cioè capace di prossimità e di tenerezza, capace di accompagnare chi è nel buio e nel bisogno. Una Chiesa che non confida in sé stessa e non rincorre il potere mondano o la rilevanza mediatica, ma si mette umilmente dietro al suo Signore, confidando soltanto in Lui.