Gabriella Ceraso e Isabella Piro – Città del Vaticano
Quando tutto il mondo impara a conoscerlo è il 13 marzo 2013, giorno della sua elezione al Soglio di Pietro e Jorge Mario Bergoglio ha 76 anni. Nato il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, figlio di migranti piemontesi, arriva a Roma per partecipare al conclave che deve eleggere il successore di Benedetto XVI. Con sé ha portato solo un piccolo bagaglio, pronto com’è a tornare nella sua diocesi. E invece resta a Roma, primo Papa gesuita e americano della storia. Questo è il nono compleanno che festeggia da Pontefice. Gratitudine e semplicità sono i sentimenti che lo accompagnano in questo giorno di festa, che trascorre in modo ordinario, in preghiera e col pensiero rivolto agli ultimi.
Nel 2020, anno della pandemia da Covid-19, Francesco ha inviato in Venezuela 4 ventilatori polmonari, per aiutare i bambini affetti da patologie dell’apparato respiratorio. Nel 2016, il Papa ha festeggiato i suoi 80 anni con i poveri: quel giorno, 8 senzatetto vanno a Santa Marta per fare gli auguri e gli regalano tre mazzi di girasoli. Francesco ricambia il gesto invitandoli a colazione nella sala da pranzo della Domus, sedendo accanto a loro e conversando. E al momento dei saluti, regala anche dei dolcetti argentini. Un gesto che si ripete anche in molte mense di Roma: il 17 dicembre, solitamente, a nome del Papa, agli ospiti viene offerto un dolce, mentre chi si trova nei dormitori riceve una busta con l’immaginetta-ricordo del Santo Natale e un piccolo dono.
“Ha creato reti di comprensione”
La tempra di prete callejero, del sacerdote di strada, ha da subito colpito in modo particolare la scrittrice Dacia Maraini, che si sofferma sullo stile concreto di Francesco che ha reso la Chiesa, dice, un “luogo dell’esempio”:
Dacia Maraini, c’è un aspetto che l’ha colpita e la colpisce del modo in cui Francesco vive il suo Papato?
Sì, la sua semplicità e la sua voglia di stare per strada. Credo che abbia colpito tutti la sorpresa di vederlo andare per strada a comprarsi gli occhiali oppure andare in casa delle persone, come ha fatto con Edith Bruck. Questo è un atto di fiducia, di fiducia verso gli altri, e credo che la gente lo sappia, lo capisca.
Lei che da giovane ha conosciuto sulla sua pelle la durezza della guerra, della fame, dei campi di concentramento, esperienze estreme e dolorose, ritiene che Francesco possa contribuire al consolidamento della pace e del dialogo?
Secondo me, tra tutti i capi di Stato, in questo momento lui è veramente quello che sta portando avanti una politica della pace con più determinazione e più fiducia, come ho detto, che è un bellissimo aspetto del suo carattere. Lui sta introducendo un suggerimento importantissimo, che è quello appunto di dire: basta con il sospetto, con la differenziazione, con l’odio, con il rancore, con la vendetta, che sono poi le basi della guerra. Non è una pace formale la sua, ma è quella che gli fa dire: no, cominciamo con il creare reti, di comprensione, di conoscenza, di amicizia. E questo secondo me è molto importante, e non riguarda solo lui, la sua persona, no, è un modo di stare al mondo che sta suggerendo ai Paesi e alle popolazioni. Per questo ho un grande stima per il Papa, per altro vorrei aggiungere che, curiosamente, abbiamo la stessa età, siamo dello stesso anno, con un mese di differenza, lo sento quindi ancora più vicino.
Le giro tre concetti cari al Papa: cultura dell’incontro, conversione ecologica, e globalizzazione dell’indifferenza. E chiedo all’intellettuale e alla donna se ritiene che essi entrino nel sentire moderno, se possono sostenere effettivamente l’uomo di oggi …
Per quanto riguarda l’incontro mi pare che lui dia l’esempio. La cosa che anche mi piace di questo Papa è che non fa le prediche: lui va, e va a dare la mano, va ad abbracciare: è la dimostrazione fisica di un concetto, e questa è una grande forza. Poi la conversione ecologica: secondo me è importantissima, cioè vuol dire che lui, pur avendo gli anni che ha, è in sintonia con le nuove generazioni, quindi capisce quello che i ragazzi sentono, giustamente, e questa è un’altra forma di generosità, nel contesto di un pianeta devastato da se stesso, perché siamo noi che stiamo distruggendo l’ecosistema. In questo senso, credo che la sua sensibilità sia molto attuale e molto profonda.
E poi c’è la globalizzazione dell’indifferenza: quanto, scuotere con ripetuti appelli su questo concetto, può aiutare l’uomo di oggi, secondo lei?
Può aiutare moltissimo. Noi abbiamo bisogno di esempi. Tutti parlano di pace, di fraternità, di uguaglianza, di giustizia, però abbiamo bisogno di modelli di persone che praticano queste idee. E questo è quello che sta facendo il Papa, ed è importantissimo, appunto, perché i giovani non vedano, in futuro ma anche adesso, la Chiesa come il luogo delle grandi idee, delle grandi prediche, ma il luogo dell’esempio. L’esempio di un Papa che, appunto, va ad abbracciare lo straniero, che va a vedere come vivono e cosa succede ai migranti. Con lui è stato introdotto un pensiero che per me è fondamentale: ci sono dei diritti fondamentali dell’essere umano, come la sacralità del corpo umano, il non umiliare, non infierire, non vendicarsi, non odiare… Se noi puntiamo sui diritti universali non ci fermeremo a difendere le differenze. Le differenze devono essere un fatto positivo, non un fatto negativo.
Lei qualche anno fa ha scritto una lettera al Papa nella quale criticava le sue parole sull’aborto, lo richiamava molto all’umanità, per la quale, lei diceva, è amato da tutti. In che modo secondo lei quel sentimento di umanità, che si manifesta comunque nel dare alla donna un diritto di scelta, si può conciliare anche con l’umanità nei confronti del diritto di un bambino a nascere?
L’unica cosa veramente, l’unica cosa su cui non sono stata d’accordo con il Papa è stato quando ha usato una parola secondo me ingiusta: ha parlato di “sicari” nei riguardi dell’aborto. Io ho scritto un libro su questo: io sono contraria all’aborto, nel senso storico della parola. Cioè penso che l’aborto non sia una conquista, non sia una cosa buona, però noi viviamo in una società che ha sempre impedito alle donne di controllare, dirigere, e governare il proprio corpo. Da lì viene l’aborto: l’aborto è il risultato di una società patriarcale. Quindi, bisogna prima di tutto eliminare l’aborto clandestino, e poi bisogna lavorare molto profondamente, tutti quanti insieme, per una maternità responsabile.
Di solito nei compleanni al dono si accompagna sempre un biglietto di auguri. Nel biglietto a Papa Francesco, Dacia Maraini che cosa vorrebbe scrivere?
Vorrei scrivergli che, con molto affetto, mi auguro che viva a lungo, che continui con questa sua vitalità straordinaria, e che continui con la sua attenzione verso gli umili, verso coloro che sono ai margini della società, e soprattutto che continui con la sua politica di pace. E quindi non posso che salutarlo con molto affetto.