Tiziana Campisi – Città del Vaticano
I membri dell’organismo ecumenico in due diverse dichiarazioni, pubblicate oggi, esprimono solidarietà per il popolo etiope, che sta affrontando una grave crisi, unendosi alle preghiere delle Chiese locali ed evidenziano gli ostacoli che in Terra Santa impediscono una pacifica convivenza fra israeliani e palestinesi.
L’appello per l’Etiopia
A proposito dell’Etiopia, il Coe esprime preoccupazione per la strumentalizzazione politica delle differenze etniche che minaccia il tessuto sociale e la sicurezza della nazione, e esorta le parti in conflitto a tenere conto della sofferenza vissuta in questi ultimi anni dalla popolazione, invitando al dialogo e alla cooperazione. Ad Addis Abeba, migliaia di abitanti originari del Tigrai sono stati arrestati con l’accusa di aiutare il Fronte popolare per la liberazione del Tigrai (Tplf), spesso sulla base di denunce arbitrarie. Tutto ha avuto inizio lo scorso anno, quando il partito al governo nella regione del Tigrai si è opposto al rinvio delle elezioni programmate per il 29 agosto e ha proceduto ugualmente all’organizzazione di una consultazione elettorale per il rinnovo delle istituzioni regionali. Da allora le relazioni tra governo federale e governo regionale del Tigrai si sono incrinate e il primo ministro Abiy Ahmed il 4 novembre ha ordinato un’offensiva militare in risposta agli attacchi tigrini nei confronti di reparti dell’esercito di stanza in quell’area. Ne è scaturito un conflitto che ha generato un grvave crisi umanitaria e un’ondata di profughi verso il Sudan.
Il sostegno alle iniziative di pace
“Tutte le parti devono ricordare le proprie responsabilità, morali e legali, circa la sicurezza delle persone, per le quali saranno ritenute responsabili” si legge nella dichiarazione del Coe che chiede il cessate il fuoco immediato, la fine degli scontri armati, il rispetto dei diritti umani e l’accesso degli aiuti umanitari nelle aree più colpite. L’organismo ecumenico caldeggia poi il processo di pace che la comunità internazionale sta tentando attraverso l’alto rappresentante dell’Unione Africana per il Corno d’Africa, l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo. “La violenza e la divisione hanno causato profonde ferite nella nazione etiope. Sarà necessario un altrettanto profondo processo di dialogo nazionale e di riconciliazione” aggiunge il L’organismo ecumenico, precisando che le Chiese e le comunità religiose dell’Etiopia devono svolgere un ruolo guida e riconoscendo quanto già è stato fatto e gli sforzi compiuti per offrire rifugi agli sfollati interni e aiuti alle vittime del conflitto. Il Comitato Esecutivo del Coe incoraggia, infine, tutte le Chiese del mondo alla comunione ecumenica con le Chiese dell’Etiopia, affinché elevino la loro voce profetica per un dialogo inclusivo, per la pace, la giustizia e l’unità.
L’appello per la Terra Santa
Profonda preoccupazione il Consiglio Ecumenico delle Chiese esprime anche per i recenti eventi verificatisi in Palestina e in Israele, che riflettono “un peggioramento della situazione” nella ricerca di una pace giusta tra i popoli della Terra Santa, e per le conseguenze socio-economiche provocate dalla pandemia di Covid-19. L’organismo ecumenico richiama l’apprensione dei capi delle Chiese e dei leader religiosi della Terra Santa riguardo gli insediamenti e le attività dei coloni israeliani sostenute dalle autorità all’interno della Città Vecchia di Gerusalemme, i cambiamenti nello Status Quo, le minacce alla identità multireligiosa, gli sfratti ai palestinesi dalle loro case e le restrizioni ad attività culturali palestinesi.
Atti discriminatori nei confronti dei palestinesi
Il Coe critica poi il ministro della Difesa israeliano Binyamin Gantz che ha definito 6 organizzazioni non governative palestinesi, impegnate nella difesa dei diritti umani, gruppi terroristici per presunti legami con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, e ritiene la decisione un attacco al movimento palestinese per i diritti umani. Ricorda poi che le autorità israeliane stanno portando avanti progetti per oltre tremila nuove case fra gli insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata. Un’espansione, per in Consiglio Ecumenico delle Chiese, contraria al diritto internazionale e alla quarta Convenzione di Ginevra, che fa vacillare le speranze per un futuro pacifico. E poi ci sono i circa 300 palestinesi che rischiano lo sgombero forzato dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est – dove vivono dal 1956 in base a un accordo tra l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA) e il Regno hashemita di Giordania – e gli atti di vandalismo da parte di coloni israeliani che hanno danneggiato la raccolta delle olive di molte famiglie palestinesi. Ad oggi, riferisce il Coe, sono stati registrati 28 incidenti in questa stagione di raccolta, 1415 alberi sono stati danneggiati e centinaia di chilogrammi di olive sono state rubate.
Pregare e agire per una pacifica convivenza
L’organismo ecumenico conclude la sua dichiarazione assicurando la preghiera ed incoraggiando i pellegrinaggi in Terra Santa, per sostenere l’economia palestinese, sostiene che una pace giusta e sostenibile non può essere costruita con la violenza e l’ingiustizia ed esorta tutti i cristiani e le persone di buona volontà a pregare e agire per mantenere viva la speranza per la pace, la giustizia, la dignità e il riconoscimento dei diritti, sia per i palestinesi che per gli israeliani, e per una soluzione pacifica della situazione secondo il diritto internazionale.