Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La veste da religiosa di suor Elvira Tutolo è color kaki, come la sabbia del deserto, e calza degli scarponcini gialli da quando si è storta la caviglia mentre faceva lezioni di guida alla consorella Ruth, che è centrafricana. Ma spicca tra i giovani molisani e abruzzesi protagonisti della terza tappa del summit itinerante “The Last 20”, soprattutto per la sua voce forte e decisa, con la quale racconta la sofferenza e gli orrori del “suo” Centrafrica, dove vive e serve gli ultimi dal 2001, anche se è nel continente dal 1991.
Dal Ciad al Camerun e poi in Centrafrica dal 2001
Prima in Ciad, 8 anni, e poi in Camerun, altri due, questa coraggiosa religiosa della Congregazione delle Suore della Carità di Santa Giovannia Antida-Thouret che ha superato i 70 anni, molisana di Termoli, ha imparato a stare con i ragazzi “difficili” prima di partire in missione. La sua scuola è stata la Comunità Cenacolo di Saluzzo (Cuneo), dove nascono a nuova vita tanti giovani tossicodipendenti.
L’ orrore delle bande armate che dal 2012 portano morte nel Paese
La incontriamo dopo che aggrappata alla cisterna cinquecentesca della Piana dei Mulini, si è fatta voce dei suoi ragazzi e ragazze di strada, a Berberati prima e oggi nella capitale Bangui. “Mi hanno legato ad un palo e davanti ai miei occhi hanno ucciso mamma e papà”. Per loro ha fondato l’Ong “Kizito”, nella quale decine di genitori centrafricani accolgono dalla strada questi ragazzi senza famiglia. Li strappa ogni giorno dalla violenza delle bande armate e dalla prostituzione, creando scuole di taglio e cucito per le giovani e un centro agro-alimentare per i ragazzi.
Commendatore della Repubblica due volte, in Italia e a Bangui
Per “il suo impegno nella difesa e recupero dei bambini e ragazzi di strada” il presidente Mattarella, nel dicembre 2018, l’ha insignita del titolo di Commendatore della Repubblica Italiana, e pochi mesi dopo, a marzo 2019, stessa onorificenza l’è stata attribuita dalla Repubblica Centrafricana. A Colle d’Anchise presenta anche il libro della giornalista Antonella Salvatore “L’ Africa nel cuore”, i cui diritti d’autore finanzieranno i suoi progetti in Centrafrica.
Suor Elvira, delle tante voci e storie dei suoi ragazzi e ragazze che sono riportato su questo libro, ce ne vuole ricordare una o due più significative?
Sono davvero tanti, non so più quanti figli ho perché con la scelta della vita religiosa non si è sterili. Sono veramente madre di tanti, tanti ragazzi e ragazze. Due storie mi vengono in mente. Abbiamo aiutato delle ragazze con la formazione, insegnando loro prima di tutto a leggere e scrivere, perché magari non hanno mai messo piede a scuola. Una ragazza un giorno mi ha detto: io non ho più bisogno di uscire la notte perché la prestazione di una notte è un euro e qualche centesimo, perché con quello che ho imparato a fare e a cucire, lo posso vendere e guadagno più della prestazione notturna. Poi un ragazzo che purtroppo ha ucciso suo papà per un motivo molto difficile anche da spiegare, perché loro vanno nei cantieri dei diamanti, e il papà, per avere la fortuna di trovare il diamante, aveva già sacrificato il suo primo ragazzo e anche il secondo. Allora Samuel pensa: “Adesso è il mio turno, toccherà a me e poi ci sono i miei due fratellini più piccoli. Allora un giorno ha preso un bastone e gliel’ha dato in testa, uccidendolo. Il padre che aveva ucciso due suoi figli, non ha fatto mai un giorno di prigione, mentre questo ragazzo di 13 anni che ha fatto questo gesto è stato messo in prigione con gli adulti. Sono andata a trovarlo in prigione e gli ho detto: “Senti Samuele, dopo domani che c’è il processo, andiamo in tribunale. Ti consiglio di dire che tu non volevi uccidere papà, volevi solo dargli una botta in testa. E lui che cosa mi risponde? “Mamma, tu mi dici sempre che noi dobbiamo dire la verità e adesso mi dici di non dirla”. Allora gli ho detto: “Fai quello che vuoi”. Poi però grazie a Dio il tribunale, che non riusciva a capire che c’era stato un condizionamento psicologico, il ragazzo aveva paura, quindi non ha ucciso il papà perché lo volevo uccidere, non lo puoi mettere in prigione e condannarlo dai 6 ai 10 anni di carcere con gli adulti, perché ha fatto questo gesto. Finalmente, parlando col giudice istruttore e col presidente del tribunale, siamo riusciti a convincerli e Samuele ci è stato affidato e adesso è un anno già che sta con noi. Si sta riprendendo piano piano, ma a me ha fatto molto bene quando mi ha detto: “Ma come, tu ci dici di dire sempre la verità e adesso mi dici di dire altro?”.
Lei e anche le sorelle centrafricane che l’aiutano, cercate di lavorare coi ragazzi. Può partire da loro un nuovo Centrafrica?
Ne sono sicura, perché questi ragazzi che hanno vissuto sulla strada, queste ragazze come quella che dice: “Mi ritrovo con 3 figli e non so neppure perché” mentre era nel gruppo armato, naturalmente hanno approfittato di lei, adesso che possono, li aiutiamo a reinserirsi nella società, sono molto volitivi, molto decisi ad essere veri, ad essere onesti, quindi sicuramente. Poi per i ragazzi abbiamo un centro agricolo di 250 ettari di terra, facciamo un lavoro psicologico di ascolto, di terapia e poi anche lavorando e stando con gli altri. L’altra cosa bella, senza fare differenze con gli altri: io ho 14 ragazzi a Bangui all’Università che ho incontrato sulla strada. Oggi uno fa giurisprudenza, uno fa gestione, un altro fa informatica e tre hanno trovato già lavoro. Jouvenal è stato preso nella Minusca, nella missione umanitaria delle Nazioni Unite in Centrafrica, un altro non so neppure io come ha fatto ha vinto una borsa di studio ed è Manchester, si chiama Odylon, altri hanno trovato lavoro come meccanici, e uno ora ha uno studio di parrucchiere dove vado a tagliarmi sempre i capelli. Sono persone che hanno sofferto e ora mi dicono: “Io adesso sono una coppia, perché sono diventati anche loro giovani coppie. Io avevo incontrato una famiglia, e voglio essere famiglia per altri ragazzi che sono ancora sulla strada”.
Veniamo a questi incontri di “The Last 20”. Lei ha raccontato queste storie anche a questi ragazzi: da loro possono venire proposte per migliorare anche le condizioni di questi Paesi da dare ai grandi della Terra?
Sì, abbiamo fatto molta amicizia. I primi giorni, loro erano un po’ bloccati, poi piano piano si sono aperti. La difficoltà è di proporre proposte concrete: non ho voluto imporre la situazione del Paese, non sono l’unica, ci sono 20 paesi che fanno parte di questo evento, però abbiamo toccato molti punti, e sono stati molto attenti, facevano domande. Quindi per me questi giorni sono stati una gioia grandissima. Mi preparo a ripartire per il Centrafrica, il 12 ottobre, ma parto con una forza, una vitalità che questi ragazzi mi hanno dato. Perché ho speranza, anche per il Molise, perché è una regione piccola, quindi corrisponde proprio al tema di “The Last 20”: “I più piccoli con i più poveri possono cambiare il mondo”. Quindi spero che si riuscirà l’ultimo giorno a stilare almeno un messaggio con due o tre proposte concrete, che poi si presenterà ai grandi della Terra.
E poi magari la prossima estate porta qualcuno di questi giovani in Centrafrica, per fargli conoscere i suoi ragazzi di strada, visto che non è riuscita a portarli qui…
Questa cosa mi è costata molto, perché almeno due li volevo portare. E mi fa molta rabbia, non lo posso nascondere, perché l’ambasciata di Francia a Bangui non ha dato il visto far uscire questi ragazzi. Ai ragazzi che sono qui, gliel’ho spiegato, non ho osato ancora invitarli nell’immediato perché ancora, il giorno che sono partita, la notte hanno sparato. Non c’è non c’è ancora sicurezza, non vorrei creare problemi. Ma con la speranza forte che la situazione si calmi, non c’è problema è mia gioia di accoglierli e che vedano, che tocchino, che si incontrino con questi ragazzi centrafricani.