VATICAN NEWS
“Il Myanmar oggi si trova in un altro capitolo di oscurità, spargimento di sangue e repressione”. È un incipit addolorato e fosco quello con cui il cardinale Charles Bo tratteggia il presente del suo Paese, caduto nelle mani dei militari dopo il colpo di Stato del primo febbraio scorso, che ha portato all’arresto di Aung San Suu Kyi e a una fase, come afferma, di repressione fatta di “brutalità e di violenza”. Ma c’è anche uno squarcio di luce, uno sguardo alla Pasqua non lontana come a un segno di resurrezione per tutto un popolo, del quale mette in luce l’“incredibile coraggio”, e l’“impegno e creatività” per “non permettere – dice – che la democrazia e le libertà duramente conquistate vengano ora sottratte”.
La voce di Cristo in un tempo buio
Dopo la fase dei “proiettili, pestaggi, spargimenti di sangue e dolore”, dei morti e dei feriti nelle strade, dopo le tante migliaia di persone “arrestate e scomparse”, l’arcivescovo di Yangoon e presidente dei vescovi birmani, ribadisce che anche “in questi tempi bui, oscuri, sentiamo la voce del Signore che chiama la Chiesa ad essere ancora una testimonianza, ad essere uno strumento per la giustizia, la pace e la riconciliazione, ad essere le Sue mani e i Suoi piedi nel fornire assistenza ai poveri e a coloro che hanno paura, a contrastare l’odio con l’amore”.
Lavoriamo per un Myanmar in pace
Il porporato cita Isaia e il brano proposto dalla liturgia per il 15 marzo, giorno del Global Day of Prayer, i “nuovi cieli e una nuova terra” cui adesso anelano la sua terra e la sua gente. “Pregheremo e lavoreremo per un nuovo Myanmar che nasca da questa attuale tragedia”, un Myanmar in cui veramente ogni essere umano abbia un uguale interesse nel Paese e uguali diritti alle libertà fondamentali, un Myanmar in cui la diversità etnica e religiosa sia celebrata e in cui si goda di una vera pace, un Myanmar in cui i soldati mettano giù le loro armi, facciano un passo indietro dal potere e facciano ciò che un esercito è destinato a fare: difendere piuttosto che attaccare il popolo”.
“Prima che sia troppo tardi”
Il cardinale Bo chiede preghiere per Aung San Suu Kyi e per “i leader del nostro movimento democratico”. Le chiede per i militari perché siano toccati nel cuore come san Paolo sulla via di Damasco. E perché, soggiunge, “i risultati delle elezioni, in cui la volontà del popolo è stata espressa così chiaramente, siano rispettati, e perché il Myanmar si muova verso un cammino di autentica democrazia, accompagnato da dialogo, riconciliazione, giustizia e pace”. Prima, conclude, “che sia troppo tardi”.