Adriana Masotti – Città del Vaticano
Un uomo di profonda fede, sostenitore della fraternità universale, costruttore di pace, scrittore fecondo, impegnato in politica, padre di famiglia: la figura di Igino Giordani continua a suscitare interesse in molte persone di diverse età, provenienze geografiche, politiche e culturali. Nato a Tivoli il 24 settembre 1894 e morto a Rocca di Papa il 18 aprile del 1980, Giordani ha avuto un ruolo importante nella politica italiana del secondo dopoguerra, contribuendo in parlamento a porre le basi per la nascente Repubblica Italiana, in un periodo non certo facile, e in qualità di membro dell’Assemblea Costituente. Per lui la politica era servizio alla pace e al bene comune.
Mattarella: si fece costruttore di pace
La biografia dal titolo “Igino Giordani. Un eroe disarmato”, pubblicata da Città Nuova editrice e curata da Alberto Lo Presti, docente di Storia delle Dottrine Politiche all’Università LUMSA di Roma e di Teoria politica all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (Firenze) e direttore del Centro Igino Giordani, offre un ritratto a tutto tondo della sua personalità. La prefazione al volume è firmata dal presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. “La sua fede prorompente, – scrive Mattarella parlando di Giordani – la sua coerenza evangelica, il fervore con cui si batteva per l’equità sociale, la libertà, la pace hanno scosso tante coscienze e promosso azione e pensiero, sia nei tempi bui del fascismo che negli anni della ricostruzione democratica”. “Pensava l’Europa come continente di pace, dopo essere stata teatro di guerre sconvolgenti – continua Mattarella -. Voleva che il suo Paese fosse un ponte. E lui stesso cercava di farsi ponte per avvicinare, connettere, ricomporre”.
Un eroe disarmato
La biografia lo ritrae anche negli aspetti più personali, nei rapporti in famiglia con la moglie Mya e i 4 vivacissimi figli, e descrive la sua aspirazione alla santità attraverso una via compatibile con il suo essere laico. Racconta l’incontro decisivo con Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, le vicende successive fino agli ultimi anni e alla morte. Del suo percorso di vita il libro ne sottolinea l’eroicità vissuta per mantenere fede agli ideali a cui credeva. Un eroe disarmato, però, perchè la sua unica arma restava sempre l’amore per ognuno e per l’umanità. Le sue battaglie coraggiose, come ad esempio riguardo all’obiezione di coscienza su cui aveva presentato in parlamento, insieme con il socialista Calosso, la prima proposta di legge, non gli risparmiano incomprensioni e emarginazioni. Come scrive ancora Mattarella nella prefazione: “La profezia e la politica, intesa come impegno civile per una società più giusta, possono incontrarsi in alcuni tornanti della storia. Igino Giordani ne è stato esempio“. Lo conferma, nell’intervista a Vatican News, l’autore del volume, Alberto Lo Presti:
R. – Effettivamente Igino Giordani ha vissuto la politica riuscendo a testimoniare qualcosa che sembrava difficile da poter riepilogare in una figura sola. Fino a Igino Giordani e a quella generazione di fenomeni che sono stati De Gasperi, Dossetti, La Pira, si pensava che per far politica bisognasse necessariamente sporcarsi le mani e invece Igino Giordani ha mostrato che si può vivere in politica forti di una profezia, nutrita dei valori più belli, e dunque non andando in discesa declinando rispetto alla propria coerenza etico-religiosa, ma invece proprio con quel fervore, proprio con la capacità di seminare storie virtuose e possibilità per il bene comune inusitate. E lui l’ha fatto in tempi difficilissimi in cui c’era la polarizzazione ideologica e si faceva a cazzotti in parlamento, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle strade. Dove c’era una inimicizia che aveva significati politici profondi, lui ha vissuto invece questa virtù: una politica profetica, per la pace, per l’amore per il prossimo, per il bene comune. Non a caso, anche per questa sua politica, la Chiesa lo sta facendo santo.
Igino Giordani veniva definito un “cristiano ingenuo”, per quale motivo?
R. – Fu chiamato un “cristiano ingenuo” da alcuni critici del suo modo radicalmente coerente di vivere dentro le istituzioni politiche, ingenuo significava sicuramente idealista, praticamente Igino Giordani seguiva la sua coscienza, non ammetteva che ci fossero ragioni di partito, ragioni di Stato, strategie e tattiche che potessero evitare l’incontro con il disegno di pace fra i popoli, l’armonia tra i gruppi politici, e allora per tutte queste ragioni fu chiamato ingenuo perchè perse alcune opportunità. Per esempio, ricordiamo che divenne il direttore del Popolo, il principale organo della Democrazia Cristiana, ma proprio perchè lui non si sottoponeva al gioco delle correnti dentro la DC, durò poco meno di un anno, fu invitato a farsi da parte, perché ci volevano persone più malleabili al gioco delle correnti.
Giordani fu uomo di unità prima di tutto in se stesso. Coniugava l’ascesi con l’impegno per gli altri. Nel libro si legge che tentò di scrivere con la propria vita le pagine di quella storia che amava definire Quinto Evangelo…
R. – Nella visione di Igino Giordani, i quattro Vangeli sono l’annuncio della salvezza verso l’umanità e la storia umana è la marcia inarrestabile dell’umanità per raggiungere il traguardo di questa salvezza, ecco perché chiamava la storia dell’umanità Quinto Evangelo. Di fronte alle tragedie del proprio tempo, alle sofferenze di comunità e di gruppi, lui non lasciava mai che nulla potesse scoraggiarlo, si rimboccava le maniche, riusciva a lavorare, ad operare perché aveva la fiducia che proprio questo Quinto Evangelo doveva chiamare tutti a non arrendersi al male, ma a superarlo, a guarirlo e ricordiamo che lui ha creduto questo in trincea durante la prima guerra mondiale, nella seconda guerra mondiale quando si fa costruttore della pace, oppure quando salva degli ebrei dalla deportazione, o salva dal linciaggio un gerarca fascista, all’indomani della Liberazione, o si mette a dialogare con i comunisti. Cioè era un costruttore attivo di questo Quinto Evangelo perché ci credeva fermamente.
È impressionante vedere quanti lavori Giordani ha svolto in Italia, negli Stati Uniti, in Vaticano. Quante pubblicazioni ha fatto, quante conferenze e quante frequentazioni in campo ecclesiale e civile, ma Igino Giordani incontrando Chiara Lubich comincia una nuova vita. La sua fu una svolta notevole…
R. – Anche questo ci illustra come Igino Giordani vivesse nella profezia: effettivamente poteva godere di contatti e amicizie, era uno che dava del tu ai cardinali, era ricevuto dai Papi, conosceva benissimo la prima generazione del Partito Popolare, della Democrazia Cristiana, eppure a 54 anni, quando incontra una signorina che ne ha appena 28, una signorina che non è neanche una suora, che non è nulla, siamo nel 1948 prima del Concilio Vaticano II, quando le donne nella Chiesa non è che contassero granché, eccetto per gli ordini femminili, Giordani capisce di aver incontrato la risposta a tanti interrogativi che si era posto nella vita. E allora fa questa scelta coraggiosissima: decide di seguirla, diventando proprio uno strumento all’opera per l’edificazione del nascente Movimento dei Focolari. Incontrò una miriade di incomprensioni, fu invitato a togliersi da quel gruppo strano, ma lui tenne duro. Si ricorda che nel 1951 fu convocato dal Sant’Uffizio e alcune personalità importanti gli dissero: Giordani, lasci stare quel gruppo di signorine, lasci stare Chiara Lubich e vedrà che recupererà la stima che la Chiesa le ha sempre tributato. La risposta fu: date una guida spirituale a questo gruppo perché è un potente mezzo di santificazione. Ora, questo ci dice una cosa importante, che è proprio necessario seguire lo Spirito Santo lì dove soffia e essere capaci di disporre dei propri beni di stima, di fiducia, di conoscenza in modo tale da non corrompere quella chiamata che in quel momento sta avvenendo. E oggi riconosciamo Giordani come cofondatore dei Focolari.
La figlia Bonizza, nella postfazione, descrive la grande stima del padre per le donne, dice che aveva rispetto per tutti e una grande apertura mentale. Aveva una visione profetica, anche qui, del laicato.
R. – Sì, l’interrogativo che sollecita Igino Giordani lungo tutta la sua vita è come fare ad essere laico e insieme uno strumento pieno nelle mani di Dio. Ciò che Giordani prova è che si può fare una vita completamente proiettata nella contemplazione e al tempo stesso essere immersi nel mondo, nelle cose più comuni della quotidianità. E la figura che per eccellenza ha insegnato questo è Maria, la Vergine di Nazareth a cui Igino Giordano dedica libri bellissimi. Aveva anche un amore appassionato per Caterina da Siena, una figura al tempo stesso mistica e molto politica e aveva anche l’idea che solo l’unione di quello che oggi chiamiamo il profilo mariano e il profilo petrino, poteva dare una nuova generatività all’interno della Chiesa e della cristianità.
Lei lo accennava all’inizio, è in corso il processo di beatificazione e canonizzazione di Igino Giordani. A che punto è la causa?
R. – La causa di canonizzazione di Giordani in questo momento è alla Congregazione delle Cause dei Santi ed è sollecitata da tantissimi che nel mondo, in tutto il mondo, si ispirano a lui per dare senso alla propria scelta civile, politica, per dare senso alla verità che c’è nella famiglia naturale, per dare senso al mestiere di giornalista, di scrittore, di studioso, e siccome Giordani è stato tutto questo, in molti oggi ne vogliono ripercorrere l’esperienza per riuscire a dare senso alla propria iniziativa e al proprio essere. Ed è questa fama di santità circolante e diffusa che è un impulso evidente affinché la Chiesa possa riconoscerne la santità canonizzata.
Una statua dedicata a Giordani
Di recente una scultura dell’artista Peter Kostner, dedicata a Igino Giordani, è stata collocata nel giardino del Centro Internazionale dei Focolari a Rocca di Papa: lo raffigura seduto su una panchina. Negli ultimi anni della sua vita, infatti, Giordani era solito sedersi spesso su una panchina di quel parco e durante gli incontri internazionali che si svolgevano presso il Centro, giovani e adulti si avvicinavano a lui per salutarlo. La panchina diveniva così luogo di incontro e di dialogo.