Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Il prossimo 29 luglio, Marta, Maria e Lazzaro, i tre fratelli di Betania descritti dai Vangeli, saranno per la prima volta ricordati insieme come Santi. La decisione di Papa Francesco è stata illustrata da un decreto della Congregazione per il Culto Divino, il 2 febbraio scorso. Ma al di là dei calendari e dei libri liturgici la memoria della famiglia di Betania è un invito a riscoprire la dimensione relazionale e familiare della vita ecclesiale e a valorizzare la diversità nella consapevolezza che Gesù ci accoglie proprio nelle nostre fragilità.
L’incertezza sull’identità di Maria
Alle radici della scelta di Francesco c’è la volontà di chiarire un’incertezza sull’identità di Maria di Betania, come spiega padre Corrado Maggioni, il liturgista dal 2014 sotto-segretario della Congregazione per il Culto Divino. “La tradizione occidentale ci tramandava un dubbio: c’era chi in passato aveva identificato Maria di Betania con la Maddalena, Maria di Magdala, ma in realtà già negli anni Cinquanta chi aveva posto mano alla riforma del Calendario romano aveva verificato come questa identificazione fosse incerta. Si è perciò pensato che i tempi fossero maturi per risolvere definitivamente questa perplessità anche perché al nostro Dicastero arrivavano richieste di unificare nella stessa celebrazione i santi Marta, Maria e Lazzaro ed esistevano già dei calendari, come quello dei benedettini o quello della Terra Santa, che al 29 luglio celebravano insieme questi tre fratelli, amici di Gesù”. “D’altronde – spiega il religioso monfortano – già il restaurato Martirologio Romano, pubblicato nel 2002, aveva chiarito questo dubbio sull’identità di Maria di Betania. Perciò abbiamo rivolto al Papa questa richiesta affinché fosse approvata la variazione al Calendario romano generale”.
Accogliere Gesù in famiglia
Padre Maggioni non ha dubbi sul significato pastorale della nuova memoria. “Il Vangelo dice che Gesù voleva molto bene ai tre fratelli di Betania. Da Luca e Giovanni apprendiamo che hanno temperamenti diversi, ma sono tutti capaci di accogliere il Signore Gesù nella loro casa. Mettono a disposizione di Gesù uno spazio fisico, quando desidera trascorrere dei momenti di serenità con degli amici. Questa memoria sottolinea perciò l’accoglienza dei tre fratelli nei confronti di Gesù e della sua parola e l’amore che Gesù ha per loro. Un’occasione perciò per valorizzare l’amicizia, l’accoglienza, ma anche le relazioni familiari che aiutano ad aderire alla Parola di Gesù”. “Può succedere che la famiglia sia di impedimento all’adesione al Vangelo, a fare delle scelte radicali per seguire Gesù”, spiega padre Maggioni. “Ma la casa di Betania ci mostra che sono proprio le relazioni familiari, i fratelli, le sorelle, i parenti, ad aiutarci con il loro esempio ad aprire il nostro cuore per ospitarlo”.
L’amicizia è l’alfabeto del Vangelo
Un paio d’anni fa, don Luigi Maria Epicoco, sacerdote e scrittore, preside dell’Istituto Superiore Scienze Religiose Fides et Ratio dell’Aquila, aveva dedicato a questi tre personaggi evangelici un libretto di meditazioni, stampato da Tau Editrice, centrato sul tema dei legami di amicizia. “La scelta del Papa di ricordarli insieme in un’unica festa – commenta – è una bellissima notizia perché questi tre personaggi sono una vera e propria famiglia e Gesù frequenta la loro casa. Quindi era giusto non dare spazio solo a uno dei protagonisti, ma allargare questa festa a tutto il clan familiare che ci dice, in fondo, che il cristianesimo funziona sempre all’interno di una dinamica di relazione e non semplicemente nell’eroismo del singolo”. Secondo Epicoco la dinamica relazionale è l’unica all’interno della quale è possibile comprendere il Vangelo. “Questo cristianesimo che a volte respiriamo oggi così solipsistico, individuale, chiuso nell’intimismo, non è il cristianesimo di Gesù Cristo. Gesù ci ha infatti insegnato che per capire la Buona Novella bisogna giocarsi la vita nei rapporti. L’amicizia non è mai riempimento nella vita di Gesù, ma è l’alfabeto base per poter comprendere il suo messaggio. Se pensiamo che anche nel Getsemani Gesù ha avuto bisogno di amici, capiamo che la nostra più grande presunzione è quella di voler affrontare la vita da soli”.
Il rischio della logica mondana
Anche gli ambienti ecclesiali corrono il rischio di essere luoghi di mera convivenza? Secondo Epicoco “è un rischio che la Chiesa corre, cioè quello di tenere insieme la gente con dinamiche mondane”. “Noi come Chiesa dovremmo stare insieme con una logica diversa da quella di una ‘pro-loco’ o di un’organizzazione sociale. Il nostro stare insieme è essenziale perché Gesù ci dice che dove due o tre sono riuniti nel suo nome Lui è lì. La sua presenza dipende dai legami e né la solitudine, né l’utilitarismo portano alla presenza di Gesù”.
Marta e Maria: sorelle che si aiutano
Un pregiudizio vuole che nella famiglia di Betania Marta sia la donna del fare e Maria quella dell’ascolto, ma Epicoco consiglia di andare oltre il luogo comune. “Un pregiudizio negativo nei confronti di Marta ha attraversato un po’ tutta la storia della Chiesa. Abbiamo sempre pensato che le persone per indole più pratiche, più prese dal fare, siano peggiori di quelle più capaci di ascolto, interiorità. Ma, notate bene, Gesù non chiede a Marta di diventare Maria. In fondo è l’agitazione di Marta che non funziona, il fatto che il suo fare la porti a vivere in maniera vuota la propria esistenza. Se Gesù giunge in quella casa è grazie agli intrallazzi di Marta, però quando l’ospite arriva Marta non sa godere della sua presenza, a differenza della sorella Maria che è ai piedi di Gesù e lo ascolta”. “Ma anche Maria – spiega Epicoco – corre dei rischi. Le persone che tendono ad essere più contemplative rischiano di cadere in depressione di fronte alle difficoltà, come accade a Maria al momento della morte di Lazzaro. C’è allora bisogno di una Marta che tiri fuori i contemplativi da questa tentazione. Marta e Maria, si aiutano a vicenda, in modo tale che Marta recuperi il punto focale della sua vita e Maria venga fuori dalle sue paturnie”.
Il protagonismo di Lazzaro
Poi c’è Lazzaro e don Epicoco – scherzando – ha scritto che il suo più grande contributo “è stato quello di morire”. “In effetti – spiega – non parla mai, non fa mai nulla, ma dietro questa figura credo ci sia il desiderio di ciascuno di noi di trovare un protagonismo. Sembra sempre tagliato fuori, ma finalmente poche ore prima che inizi la passione di Gesù, a casa di Betania, Lazzaro siede a tavola con Lui, non è più semplicemente un morto tirato fuori dalla tomba”. “Marta Maria e Lazzaro sono in fondo tre aspetti che ognuno di noi si porta dentro: il nostro fare, la nostra capacità di ascolto e il nostro desiderio profondo di trovare un posto nel mondo”.
La taranta, la monaca e il morto che parla
Don Epicoco era stato tentato di intitolare le sue meditazioni sui tre fratelli di Betania: “La taranta, la monaca e il morto che parla”. “Beh, la taranta, nella tradizione popolare della mia terra, è un ballo che nasce da una puntura, ci mette in agitazione e descrive bene Marta. La monaca è invece Maria, più portata alla contemplazione, mentre il morto che parla è Lazzaro”. “In fondo, estremizzando i lati di questi tre personaggi e guardandoli in un’ottica più ironica, impariamo a sorridere anche un po’ di noi stessi, ma impariamo soprattutto che Gesù ci converte lasciandoci pienamente noi stessi”. “La conversione – conclude – non è diventare persone diverse da quelle che siamo ma trovare la dimensione giusta in quello che siamo”.