I simboli di Avvento: la quarta settimana

Vatican News

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Settimana dopo settimana le candele sono state accese: la prima è quella dei pastori e della speranza, la seconda, quella di Betlemme e della chiamata universale alla salvezza, la terza, quella dei pastori e della gioia e infine, la quarta, questa, degli angeli e dell’amore.

La candela dell’amore

La quarta candela è di nuovo viola, secondo la liturgia del periodo. Come se all’euforia della gioia per la lieta novella, che ha contraddistinto la terza settimana di Avvento, di colore rosa, fosse necessario attendere il Natale in un più profondo raccoglimento. Come il momento sospeso prima dell’esplosione della luce, come nei bambini, quando trattengono il respiro prima della sorpresa che li renderà felici. Il conto alla rovescia si fa più serrato. La preghiera e la meditazione propri dell’Avvento hanno bisogno ora di essere esercitati con maggiore intensità per ben preparaci alla memoria della venuta di Cristo tra gli uomini. Accendiamo la candela e pensiamo, anzi crediamo, che non si tratta solo di una celebrazione ma di un vero rinnovamento. Il Bambino sta per nascere ancora e di nuovo per non abbandonarci mai, né oggi né mai.

Dalla terra al cielo

Nel primo giorno della IV settimana, l’antifona eleva parole di poesia e di musica:

Stillate, cieli, dall’alto,
le nubi facciano piovere il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore
. (Cf. Is 45,8)

La prima settimana parlava del passato che guarda al futuro come presente eternità. La seconda settimana di storia, attraverso la menzione di un luogo fisico sulla terra, Betlemme. La terza ha parlato ancora della terra e degli uomini attraverso i più umili e i poveri, i pastori. La quarta settimana sposta, invece, lo sguardo verso il cielo, dal quale scende una pioggia di luce che cade sulla terra e si apre per accogliere il seme che sta per germogliare.

Gli angeli

Gli angeli volano nello spazio del cielo e annunciano la Novella. Nessun presepe sarebbe completo senza angeli. Nessuno dimentica di porre la statuina dell’angelo con il cartiglio appuntato sul culmine della capanna, vicino alla cometa di cartone contro il cielo di carta e stelle. Gli angeli sono i “postini” del Signore e ci avvertono, ci parlano, spesso anche proprio attraverso i sogni come hanno fatto con Giuseppe, i pastori, i Magi…
In questi giorni lasciamo liberi i sogni anche noi. Come per il pastore Benino del presepe napoletano che abbiamo incontrato la scorsa settimana, il sogno permette a noi sulla terra di vedere davvero, di capire, di credere. Il sogno è un dono che ci permette di scollarci dal nostro essere terreno per farci entrare in una dimensione priva di materia, difficile da vivere altrimenti, così come siamo, calati nel quotidiano terreno, a volte pesante, al punto di diventare zavorra della nostra esistenza. 

La presenza di Maria

In queste settimane una presenza ha pervaso il tempo: la Madre, prima apostola. Attraverso le ricorrenze, come quella dell’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, e oggi nella liturgia che ricorda l’incontro di Maria con Elisabetta (Lc 1,39-45), la Vergine ci accompagna giorno dopo giorno. Sarà lei a sollevare il panno per mostrarci il Bambino che dorme nella mangiatoia.

La parabola ebraica delle quattro candele 

Il cardinale Gianfranco  Ravasi riporta una parabola ebraica a proposito della festa della Candelora, ma che bene si adatta anche ai simboli dell’Avvento ripercorsi fino ad ora attraverso la corona e le quattro candele.

In una stanza silenziosa c’erano quattro candele accese. La prima si lamentava: «Io sono la pace. Ma gli uomini preferiscono la guerra: non mi resta che lasciarmi spegnere». E così accadde. La seconda disse: «Io sono la fede. Ma gli uomini preferiscono le favole: non mi resta che lasciarmi spegnere». E così accadde. La terza candela confessò: «Io sono l’amore. Ma gli uomini sono cattivi e incapaci di amare: non mi resta che lasciarmi spegnere». All’improvviso nella stanza comparve un bambino che, piangendo, disse: «Ho paura del buio». Allora la quarta candela disse: «Non piangere. Io resterò accesa e ti permetterò di riaccendere con la mia luce le altre candele: io sono la speranza». In questo racconto al centro c’è un bambino, come il neonato Gesù del testo evangelico (Lc 2, 22-40): è lui a far sfavillare nuovamente le candele spente. Sì, perché sulla storia le tenebre si allargano spegnendo le luci della pace, dono sempre sospirato, della fede che allarga gli orizzonti e dell’amore che riscalda la vita. Rimane l’ultimo filo di luce, quello della candela della speranza. Ad essa si rivolge il bambino per riportare in vita la pace, la fede e l’amore (Breviario laico. 366 riflessioni giorno per giorno, Mondadori 2006).

La successione dei simboli legati alle candele di Avvento segue nella terza e nella quarta un ordine inverso rispetto a quello di questa parabola. Nella corona di Avvento è l’amore a chiudere il cerchio e a brillare per ultima, perché realizza la speranza. Il racconto ebraico parte da un punto di vista umano, che ha bisogno della speranza per sopravvivere al buio, mentre il Natale è certezza della divinità che viene tra noi e ci salva. Con il Natale è l’amore a regnare su tutto, a travolgere ogni dubbio e ogni incertezza.