Sono decisioni disperate quelle a cui è chiamato il personale sanitario in servizio a Rafah. Dopo sei mesi di conflitto fra Israele e Hamas, la devastazione delle strutture ospedaliere mette quotidianamente a rischio la sopravvivenza dei neonati e delle loro mamme. Lo denuncia l’organizzazione Action Aid che lancia un appello per l’invio urgente di aiuti
Paola Simonetti – Città del Vaticano
Nascono senza riparo al freddo estremo, in luoghi di fortuna, spesso senza che le mamme abbiano potuto mangiare a sufficienza per allattarli. I neonati della Striscia di Gaza sono il grido di un’umanità allo stremo su cui ormai i medici in servizio nell’area devono operare scelte strazianti: “Dobbiamo decidere a quale bambino dare la priorità, quale salvare -racconta Aaliyah, dottoressa di Rafah-. Abbiamo 3 o 4 neonati per incubatrice, ad ogni turno due o tre di loro muoiono a causa di infezioni e della catastrofe sanitaria in corso a Gaza”. A raccogliere le testimonianze del personale ospedaliero della Striscia, l’organizzazione Action Aid: “Ci sono casi in cui è necessaria la respirazione artificiale – aggiunge Aaliyah- ma i dispositivi non bastano per tutti”.
Sistema sanitario devastato
Al collasso dunque gli ospedali dell’area dopo sei di bombardamenti con sole 10 strutture malconce ancora parzialmente funzionanti. “Dopo due settimane di assedio, l’ospedale Al-Shifa, il più grande di Gaza – sottolinea ActionIad- è stato ridotto in rovina e non è in grado di funzionare, mettendo ulteriormente sotto pressione le altre strutture sanitarie”. L’organizzazione denuncia la drammaticità della situazione, anche per le donne di Gaza: “I medici dell’ospedale di Al-Awda, nel nord della Striscia, gestito dal partner di ActionAid – aggiunge-, ci raccontano di aver dovuto operare donne che hanno perso i loro bambini a gravidanza inoltrata perché malnutrite”. L’associazione ricorda, che stando ai dati dell’Organizzazione Mondiale della sanità, dal 7 ottobre scorso sono state almeno 100 le strutture sanitarie, tra cui 30 ospedali, colpite da attacchi.
Civili allo stremo
Sullo sfondo una popolazione tormentata dalla fame per la drammatica carenza di cibo e di ogni bene di prima necessità. Uno scenario aggravato, spiega ActionAid, dal sovraffollamento della zona di Rafah che ha visto, con i civili in fuga dal nord della Striscia, quadruplicare la presenza umana nell’area; persone il cui stato di salute è così compromesso dalla mancanza di accesso ai beni alimentari, da arrivare in ospedale in condizioni drammatiche e con esigenze sanitarie complesse che la struttura ospedaliera, spesso, non è in grado di fronteggiare.
Il disperato appello a fornire aiuti e azzerare la burocrazia
“Gli ospedali semplicemente non possono funzionare senza ulteriori forniture di aiuti – dichiar, aRiham Jafari, Coordinatrice per l’advocacy e la comunicazione di ActionAid Palestina-. Sebbene accogliamo con favore l’annuncio, atteso da tempo, dell’apertura di due ulteriori punti di ingresso per gli aiuti al valico di Erez e al porto di Ashdod, questo non sarà comunque sufficiente a garantire l’ingresso a Gaza di aiuti della portata richiesta, soprattutto se questi nuovi valichi saranno afflitti dagli stessi ritardi e dalla stessa burocrazia di quelli esistenti. E siamo profondamente preoccupati dal fatto che – conclude Riham Jafari- il governo israeliano abbia stabilito che queste aperture saranno solo temporanee”.