Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Lavoro, speranza, dignità, impegno: sono tanti gli spunti che Papa Francesco ha offerto ai cento giovani delle imprese e cooperative del Progetto Policoro della Conferenza episcopale italiana, ricevuti in Vaticano a 25 anni dalla sua fondazione.
Nato dopo il Convegno ecclesiale di Palermo del 1995 dall’intuizione di don Mario Operti, prete torinese capace di convogliare intorno all’iniziativa le migliori energie della Chiesa nel Sud Italia. In questi anni il Progetto è cresciuto, arrivando a toccare circa 130 diocesi, con quasi 180 animatori di comunità e il supporto di alcune associazioni. In 25 anni di attività, sono nati più di quattrocento “gesti concreti”: imprese, cooperative, attività commerciali spesso sorte in contesti segnati dalla crisi economica e che hanno preso il via grazie allo strumento del microcredito.
Cultura e comunità: le direttrici del futuro
Don Bruno Bignami è il direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, così racconta le reazioni dei ragazzi alle parole del Papa, sottolineando le parole chiave del discorso di Francesco:
La parola chiave è “lavoro”, nel senso che la richiesta venuta dal Papa è ancora di più quella di un impegno proprio sul tema del lavoro, soprattutto in questo periodo di crisi, di pandemia in cui la questione rischia di essere sempre un po’ marginale. Rimettere al centro il lavoro è stata la grande richiesta pervenuta dal Papa ai giovani che mi sono sembrati molto carichi, erano entusiasti dell’incontro che hanno avuto e soprattutto del messaggio che hanno ricevuto. E’ stato un messaggio di speranza, quasi un’investitura, una richiesta proprio di essere loro un segno di speranza. Questo elemento mi è sembrato l’elemento cardine intorno a cui lavorare nel futuro, cioè guardare al Progetto Policoro come una opportunità per i giovani e per quei territori di periferia, marginali che rischiano di vedere continuamente una fuga dei giovani verso altri territori e altri paesi. Invece il Papa l’ha detto molto bene in un passaggio, ha invitato ad amare la terra in cui si nasce, a spendersi per il proprio territorio. E’ un messaggio che mi sembra sia stato molto recepito e loro che vivono in direttamente questo servizio in alcune zone, a volte più faticose, lo hanno recepito con entusiasmo, con la disponibilità, con la voglia di mettersi in gioco.
Papa Francesco ha sottolineato l’importanza dell’abitare anche i conflitti, l’abitare il sociale, la politica senza paura di sporcarsi le mani perché spesso l’associazione che si fa è quella dei giovani che mancano di responsabilità, invece forse il progetto Policoro dice una cosa diversa.
Assolutamente. Proprio il tema di abitare i conflitti è uno dei grandi punti su cui anche noi lavoriamo dal punto di vista formativo. A volte idealizzando le cose, si pensa che nelle situazioni basti l’impegno e poi tutto accade e invece i giovani si rendono conto, attraverso esperienze conflittuali sui territori, che le cose sono sempre più complicate di quanto appaiono e poi anche dentro la comunità cristiana tante volte ci sono sensibilità così diverse: c’è sempre chi vede questo tipo di impegno, non come un impegno evangelizzatore come suggerito oggi dal Papa, ma lo vede come un di più, come qualcosa che magari esula dal compito del credente. In realtà tutto ciò genera conflittualità, quindi abitare il conflitto è stato anche questo un grande messaggio da recepire per i giovani.
Venticinque anni del Progetto Policoro, oggi è una realtà importante per la Chiesa italiana, quali le sfide per il futuro? E cosa vi insegnano questi 25 anni?
I 25 anni ci trasmettono due grandi idee su cui il progetto si è sostenuto e che sono due idee che dobbiamo anche far diventare un segno per il nostro paese e per il futuro. La prima idea è l’idea della cultura, perché ci sia lavoro serve una cultura dell’impresa, la cultura del mettersi in gioco, una cultura del ‘che cosa posso fare io’ e non solo dell’attesa di ricevere dagli altri. Questo è un elemento su cui noi lavoriamo moltissimo. L’altro aspetto che è tipico del Progetto Policoro e va ripreso e proprio affidato al futuro è il tema della comunità, perché ci si rende conto che esperienze lavorative nascono e fioriscono all’interno di comunità di persone che progettano sul territorio, non è mai un genio o un supereroe che genera lavoro, ma è sempre una comunità che sa prospettare per quel territorio qualcosa di nuovo, di diverso oppure di concatenato con quelli che vivono lì e così nasce davvero qualcosa di bello. Per cui mi sembra che queste due cose siano un po’ tra i punti cardine del Progetto e mi pare che su queste ci sia anche una prospettiva di futuro.
In questo tempo di pandemia il vostro Progetto come è cambiato, se è cambiato, e che cosa ha insegnato ai giovani impegnati proprio questo periodo di emergenza sanitaria?
I giovani in genere ci hanno sorpreso perché anche noi inizialmente nel periodo di lockdown abbiamo chiesto loro di rimanere fermi. Molti hanno preso in mano l’iniziativa suggerendo di usare le piattaforme on-line per incontrare studenti, persone e lo hanno fatto, non aspettando tempi migliori ma già in quella stagione, riuscendo a dare e offrire segni di speranza in momenti anche difficili per tutti. Alcune iniziative sono gradualmente riprese e però sicuramente, come per tante realtà di carattere sociale, anche per noi la pandemia è stato un momento difficile. Adesso abbiamo ripreso con la formazione, ancora on-line, e gradualmente intendiamo offrire opportunità di formazione come nei campi estivi, che sono occasioni forti per recuperare relazioni, per ridare fiato agli incontri perché spesso le idee belle nascono proprio nella condivisione, nel mettere insieme e poi sui territori nascono tante opportunità.