Benedetta Capelli – Città del Vaticano
La carovana di 9mila persone, partita da San Pedro Sula, nel nord dell’Honduras e diretta negli Stati Uniti, si sta pian piano sbriciolando. Le autorità del Guatemala hanno continuato in modo incessante a far tornare indietro nel loro Paese oltre 3.660 honduregni, tra questi 510 minori. Un massiccio rientro, in soli sei giorni, che ha attirato diverse critiche sul governo guatemalteco soprattutto per l’impiego della forza ai danni dei migranti.
Le cause strutturali dell’immigrazione
Rispettare il “diritto di emigrare e non respingere tutti coloro che hanno bisogno di protezione internazionale”. E’ uno dei passaggi del messaggio del Sedac, Segretariato Episcopale per l’America Centrale, che sottolinea come i flussi migratori riguardino l’intera regione e pertanto si invitano i governi dell’area a sradicare “le cause strutturali che danno origine alla migrazione”.
Una crisi perenne
In Honduras opera don Ferdinando Castriotti, da anni nel Paese come sacerdote fidei donum, è originario di Melfi. Si occupa tra le altre cose della Fondazione “Alivio del Sufrimiento” che si prende cura degli invisibili, ma il suo impegno e quello della diocesi di Tegucicalpa è anche sul fronte della tossicodipendenza, dei migranti che grazie all’aiuto del Papa si trovano in una struttura accogliente. “Le carovane e le scene viste in questi giorni – afferma – ormai si ripetono da alcuni anni. La gente si riunisce in queste folle oceaniche a San Pedro Sula, si mette insieme perché pensa che, con la forza dei numeri, possa attraversare il Guatemala, il Messico e arrivare negli Stati Uniti”. “Le ragioni – spiega il sacerdote italiano – sono tante e tutte fondate nella crisi perenne in cui vive questo nostro Paese e alcuni altri Paesi centroamericani. Parliamo di crisi dovuta alla povertà, la crisi perenne di sicurezza, la crisi perenne di educazione, questa volta la crisi è aggravata sia della pandemia, sia dai due uragani che hanno praticamente messo in ginocchio mezzo Paese”.
Sfidare la strada
Eta e Iota, infatti, hanno provocato danni incalcolabili sia nelle strutture che nella vita delle persone. Don Ferdinando racconta di famiglie che vivono ancora in mezzo alla strada, “molti – dice – non hanno casa, hanno perso tutto”, per questo “la gente si anima e si unisce, programma e insieme cerca di arrivare in una situazione dignitosa”. “E’ triste – aggiunge – vedere che molti si avventurano con bambini piccoli, sfidando la strada dove succede di tutto. Abbiamo dei racconti di quanto accade nella carovana, della speranza che si coltiva e che poi si infrange. E’ triste”.
La Chiesa che cura le ferite
Don Ferdinando rivela poi che non ci sono solo gli honduregni in questa carovana ma anche persone che provengono da El Salvador, dal Nicaragua, dallo stesso Guatemala.
“La gente ha fame e quando non ha nulla cerca in tutti i modi di ottemperare a queste esigenza, in più cerca di poter dare ai propri figli un futuro diverso”. Il sacerdote si sofferma anche sul ruolo della Chiesa chiamata a curare le ferite, a curare le piaghe. “Abbiamo un centro per chi rientra nel Paese, per cercare di dargli degli strumenti importanti e potersi difendere qui, senza emigrare perché la migrazione è una grande speranza ma può comportare pericoli”.
Una speranza da riaccendere
“Noi come Chiesa abbiamo un centro nel quale assistiamo giornalmente circa 150 minori ai quali cerchiamo di dare degli strumenti importanti per potersi difendere qui nel Paese. Investiamo nell’educazione, insegniamo piccoli lavori di artigianato… è un progetto che abbiamo fatto insieme con il Banco Interamericano, con Unicef, con il governo stesso, il contributo del Santo Padre, la conferenza Episcopale italiana è uno dei donatori più importanti di questo progetto”. La speranza di don Ferdinando è che quello che è accaduto porti ad una svolta perché “la gente è stanca, sta soffrendo molto e non ha alternative”. “Se cercano di emigrare – conclude il sacerdote – non è per il piacere di stare buttati in mezzo alla strada ma perché davvero non hanno altre possibilità. L’Honduras è un Paese ciclicamente in crisi morale, economica e sociale”. Un quadro complesso e difficile ma la speranza di una luce è pronta lì ad accendersi.