Chiesa Cattolica – Italiana

Hollerich: non ci sono Chiese nazionali, camminiamo insieme e aiutiamo chi soffre

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Un contributo a sensibilizzare i credenti a vivere un cristianesimo incarnato soprattutto nelle sofferenze e difficoltà del prossimo, specialmente i profughi dell’Ucraina come del sud del mondo. Una occasione per le chiese di uno stesso continente di abbandonare rischiosi ‘nazionalismi’ e chiusure e guardare “l’intero mosaico” per “camminare tutti insieme”. È soddisfatto il cardinale Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo sulla sinodalità e anche presidente della Comece, dei risultati ottenuti finora dal percorso sinodale che ha concluso la sua prima fase e si avvia alla seconda. A colloquio con Vatican News, il porporato guarda all’attualità ma anche al lavoro dei prossimi mesi. 

Il percorso sinodale dall’avvio a ottobre si è intrecciato, lungo il suo cammino, alla guerra in Ucraina. E questo ha richiesto anche un cambiamento del ruolo e dell’azione della Chiesa. Secondo lei, come relatore del Sinodo ma anche presidente di un organismo ecclesiale europeo, in che modo si uniscono le due cose, il percorso sinodale e il contesto di guerra? 

Anzitutto vorrei far cenno all’esperienza di tanti fedeli in Lussemburgo, il mio Paese, che hanno ospitato e ospitano tuttora nelle loro case rifugiati dell’Ucraina. Anche io accolgo una famiglia di tre persone… È bello essere con loro e vivere questa solidarietà, mostra che la missione della Chiesa è importante. Una missione prima di tutto per la pace, la giustizia, l’aiuto a chi soffre. Il percorso sinodale, in particolare, offre un contributo perché sensibilizza la gente a capire che essere cristiani non significa solo andare a Messa di domenica, ma che il cristianesimo bisogna viverlo. Se mi metto sotto la guida dello Spirito Santo io cambio, la società cambia. I profughi ucraini hanno trovato un’accoglienza meravigliosa che non è stata data, ad esempio, ai profughi della Siria e via dicendo. Sono i cristiani ad aver detto: questo non è giusto! Non vuol dire dare meno agli ucraini, ma dare più agli altri. E questo è un frutto dello Spirito nelle nostre Chiese.

Nelle chiese di uno stesso continente ci sono tante diversità e sensibilità e alcuni percorsi sinodali avviati in alcune diocesi hanno mostrato finora un passo ad una velocità differente dagli altri. Come si può arrivare a quel “camminare insieme” che lei diceva è primo obiettivo del Sinodo, ed evitare fughe in avanti o che qualcuno rimanga indietro?

Penso che il Sinodo stesso sia la risposta. Non abbiamo chiese nazionali, siamo una Chiesa, naturalmente con culture e tradizioni diverse. E noi dobbiamo parlarci, ascoltarci, capirci gli uni gli altri. Forse negli ultimi anni le Conferenze episcopali nazionali si sono molto sviluppate… È una cosa buona! Ma c’è anche l’esigenza, la domanda di fare le cose insieme. Il percorso sinodale è l’occasione meravigliosa ora per guardare tutto il mosaico, non solo la piccola parte del mio Paese.

Dopo un anno della fase consultiva, cosa si è imparato? E soprattutto vede qualche cambiamento ad oggi di questo che il Papa ha descritto come un “processo”?

È giusto citare le parole di Papa Francesco perché quello sinodale è un cammino insieme, un ascolto, senza paura della diversità. Abbiamo trovato un’unità che è molto più grande della diversità che viviamo ora. E sono contento che si è arrivati alla fase continentale. Stiamo scrivendo la storia della Chiesa.

Nella fase continentale prevede qualche passo ulteriore rispetto alla precedente?

Non vedo cambiamenti precisi, ma penso che dobbiamo prestare attenzione ad ascoltare tutti e che tutti si sentano ascoltati. Quindi non solo gli specialisti, non solo coloro che vogliono o vogliono combattere una guerra nella Chiesa e così via, ma ascoltare davvero tutti e prendere sul serio le persone. Prendere sul serio le loro risposte, perché parlano di vita di tutti i giorni, di ciò che sperimentano, di ciò che li ferisce, di ciò che li rende felici. E come posso essere un pastore della Chiesa se non so tutto questo? Penso che il Sinodo debba continuare in questa direzione, anche a livello locale. Non si tratta solo di questioni di politica ecclesiastica, ma di domande: come le nostre comunità possono essere più piene di vita? Come possono servire davvero? Come possono svolgere la loro missione?

Il Papa è stato informato dei risultati di questa prima fase del percorso sinodale?

Il cardinale Grech e io teniamo costantemente il Santo Padre al corrente del processo. E lui ci incoraggia a proseguire: “Andate avanti”.

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