Benedetta Capelli e Adriana Masotti – Città del Vaticano
A 6 anni dall’inizio della guerra in Yemen, la situazione è complessa e fortemente compromessa: più di 4,3 milioni di persone, tra cui oltre 2 milioni di bambini, hanno lasciato le loro case, e si stima che l’80% della popolazione – 24,3 milioni di persone – abbia bisogno di assistenza umanitaria. Il Paese sopravvive grazie agli aiuti della comunità internazionale, il 66% della popolazione ne dipende totalmente, c’è da fare ancora molto e per questo oggi a Ginevra si apre la Conferenza dei donatori.
Davanti alla più grave emergenza umanitaria al mondo, come l’ha definita le Nazioni Unite, i grandi donatori internazionali hanno finanziato appena la metà di quanto necessario e sono mancati lo scorso anno all’appello 1,5 miliardi di dollari. Intanto nel Paese dilaga la malnutrizione, il coronavirus – a gennaio 2021, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha segnalato 2.123 casi e 616 decessi, con un tasso di mortalità del 29% – e si teme per i civili in fuga dalla regione di Marib, conquistata dai ribelli houthi, dove si intensificano gli scontri con le forze del governo riconosciuto a livello internazionale. Uno scenario nel quale l’Unhcr ha chiesto l’apertura di corridori umanitari.
La gente ha fame
Monsignor Paul Hinder è il vicario apostolico dell’Arabia meridionale, a Vatican News affida la sua preoccupazione, facendosi portavoce di una popolazione che soffre la fame, è scoraggiata e sfiduciata e vede un futuro a tinte fosche:
R. – La situazione rimane, secondo me, al limite della catastrofe perché c’è il problema della fame, c’è il problema della salute, c’è il problema soprattutto della guerra e dell’insicurezza con tutte le conseguenze che si possono immaginare. C’è la siccità e i contadini sono limitati nel lavorare la terra. E’ un complesso di elementi negativi che influiscono sulla situazione dello Yemen.
Quattro agenzie Onu nei giorni scorsi hanno previsto che nel 2021 quasi 2,3 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni soffriranno di malnutrizione acuta nel Paese. E’ ancora un allarme per i bambini yemeniti…
R. – Certo, questa è una realtà triste e dalla quale è difficile uscire. Se non c’è un cessate-il-fuoco, se chi è in conflitto non si ritrova intorno ad un tavolo, non può essere possibile l’accesso alle agenzie umanitarie che vogliono aiutare lo Yemen. Questo sarà una catastrofe per i bambini ma non soltanto per loro.
La Conferenza dei Paesi donatori si tiene oggi: l’anno scorso ha raccolto poco più della metà dei fondi stanziati nel 2019, mentre i bisogni della popolazione sono aumentati. Secondo lei, quali sono i settori in cui bisogna intervenire con maggiore urgenza?
R. – E difficile dirlo perché i bisogni variano a seconda delle regioni dello Yemen. Sicuramente ci manca il cibo, ci manca tanto nel campo sanitario e poi non bisogna dimenticare l’educazione. Il Paese si trova in guerra da più di 5 anni e tutto il settore dell’educazione si è in parte fermato con conseguenze disastrose anche per il futuro. Allora è difficile dire quale urgenza bisogna affrontare prima, io direi che prima di tutto la gente deve essere nutrita, perché altrimenti si muore, e poi c’è tutto il resto da fare per arrivare ad una vita minimamente dignitosa soprattutto nelle regioni dove il rischio per la popolazione è più grande.
C’è nel Paese qualche prospettiva per la pace, per un ritorno alla normalità?
R. – Io non vedo nell’animo di chi ha il potere la voglia di prendere una decisione in tal senso. Sono un po’ scettico perché c’è una sfiducia alla base, nessuno si fida dell’altro e non è possibile trovare una base comune proprio perché manca un minimo di fiducia reciproca. E’ difficile arrivare a un cessate il fuoco duraturo e ad una pace giusta, se non c’è una soluzione politica la guerra continuerà all’interno e sfortunatamente anche sotto l’influsso dell’esterno.
La Chiesa che cosa può fare cosa o sta facendo per dare un minimo di speranza alla popolazione?
R. – Siamo quasi inesistenti nel Paese ora. Ci sono pochissimi cristiani che sono rimasti e quasi tutti sono migranti che lavorano in alcuni settori necessari per il Paese o che non lo hanno lasciato quando dovevano. Allora la Chiesa quasi non esiste in questo momento, eccetto le suore di Madre Teresa ancora presenti a Sana’a. I cristiani sono pochissimi e anche loro sono a rischio come gli altri. E’ una situazione molto triste e da fuori è quasi impossibile intervenire anche se io sono in contatto con qualche agenzia internazionale o con la Caritas Polonia che ha un ufficio in Yemen, però le possibilità sono poche. E’ veramente una situazione triste che ci fa piangere qualche volta, rimane la speranza che non perdiamo mai perché ci affidiamo a Dio anche se, in queste situazioni, qualche volta diciamo anche noi “perché Signore, perché?”