“Hermanito, leggilo e vedrai il dramma dei migranti”. Sull’aereo di ritorno dalla GMG di Lisbona, il 6 Agosto scorso, Francesco ha nuovamente fatto riferimento al libro pubblicato nel 2021 da Amets Arzallus, che racconta l’odissea durata tre anni di Ibrahima Balde tra il suo Paese, la Guinea, e la Spagna
Jean Charles Putzolu – Vatican News
“Hermanito”, che Papa Francesco ha citato più volte a partire dal 2021, è un libro che racconta l’odissea di un ragazzo guineano che ha lasciato la propria casa più di otto anni fa. Ibrahima Balde è il primogenito della sua famiglia. Dopo la morte del padre, sente il peso delle responsabilità familiari nei confronti del fratello minore, partito in precedenza per la Libia con l’intenzione di attraversare il Mediterraneo e raggiungere l’Europa. Per adempiere alla missione affidatagli dal padre, ovvero fare tutto il possibile per garantire l’istruzione del fratello minore, Ibrahima parte a sua volta, non per emigrare, ma per trovare il fratello minore prima che si imbarchi nella traversata in mare. Il suo viaggio verso nord lo porta attraverso il Mali, l’Algeria e fino alla Libia, senza trovare la minima traccia del fratello. Ibrahima decide di proseguire il suo viaggio verso la Spagna, dove arriva nel 2018, tre anni dopo aver lasciato la Guinea, piangendo la perdita del fratello e sentendosi un po’ smarrito e in colpa per il fallimento della sua ricerca.
Quattro anni di clandestinità in Spagna
Ibrahima ora lavora in un’officina di Madrid. È un meccanico e ha un contratto valido. Per 4 anni, essendo stata respinta la sua richiesta di asilo, ha vissuto in clandestinità, sostenuto e aiutato, tra gli altri, da Amets Arzallus che, oltre ad essere un giornalista nei Paesi Baschi, lavora con i migranti su base volontaria. Amets lo aiuta a compilare il suo dossier e i due uomini decidono di scrivere ogni tappa dell’odissea di Ibrahima, per rendergli più facile il racconto della sua storia alle autorità spagnole. Invano, visto che la prima richiesta di asilo fallisce. Grazie alla perserveranza, le autorità spagnole concedono un permesso di soggiorno di un anno, che scadrà nell’aprile 2024. La storia di Ibrahima, pubblicata prima in basco, poi in spagnolo, è stata successivamente tradotta in diverse lingue, ad eccezione del francese per il momento, è tristemente simile a quelle di tanti altri mgiranti.
Amets e Ibrahima ora vivono a 400 km di distanza e sono molto amici. Si telefonano più volte alla settimana. Questa storia ha cambiato la vita di Amets: “Penso che tutti vorrebbero vivere e pianificare la vita nella propria terra, assieme alla loro famiglia”, dice il giornalista basco, “ma conoscendo le disgrazie e la situazione economica o sociale di Paesi come la Guinea, ci si rende conto che molte persone sono costrette a pianificare il proprio futuro altrove, cercando di arrivare in Europa”. Ibrahima è speciale, dice Amets Arzallus, che ricorda quando si sono incontrati a Madrid, occasione durante la quale giovane guineano ha subito sottolineato che il suo obiettivo non era quello di venire in Europa. “Questo punto di partenza – spiega il giornalista – ha cambiato un po’ gli stereotipi e l’archetipo del migrante che avevo in testa”.
La nascita del libro
“Non so come siamo arrivati dagli appunti all’idea del libro – ammette Amets – ci abbiamo lavorato per mesi”. All’inizio, gli appunti compilati per la richiesta di asilo di Ibrahima richiedevano ore di conversazione. “Ibrahima non sapeva leggere né scrivere quando è arrivato in Spagna”, il ragazzo aveva però un’incredibile capacità nell’esprimere con le parole ciò che aveva vissuto nei quasi tre anni di vagabondaggio, da quando aveva lasciato la Guinea, di qui è partito l’aiuto. “Quando inizi a chiedere a un migrante che ha attraversato molti Paesi per due o tre anni, che ha vissuto molte atrocità, molta violenza, non è facile, devi passare del tempo con lui”. Amets e Ibrahima si sono incontrati più volte per ricomporre gradualmente il puzzle dei chilometri percorsi. “È nata una relazione – continua il basco – siamo diventati amici e ho scoperto una storia che non mi aspettavo”. Amets non aveva mai scritto un libro prima di “Hermanito”, il suo lavoro di giornalista si era limitato fino ad allora a scrivere articoli e reportage. Ma l’idea che gli appunti sull’odissea di Ibrahima finissero nelle mani di un agente della stazione di polizia, sotto una pila di richieste di asilo, era per lui insopportabile. “Ibrahima si è fidato di me, così ho scritto un piccolo libro in basco, la mia lingua madre e la mia lingua di lavoro”.
Coscienze addormentate
“Ogni giorno, alla radio e sui giornali, sentiamo e leggiamo tragedie”, sospira Amtes Arzallus, che aggiunge: “Credo che siamo stati educati a mantenere una certa distanza dalle notizie che sono disumane e difficili da digerire”. Il giornalista, e ora scrittore, si sente anestetizzato e quasi disumanizzato, costretto a mantenere le distanze dalla realtà. “Penso che dobbiamo avvicinarci un po’ di più, dobbiamo cercare di essere più umani e imparare a sentire il dolore” degli altri. Come quello che provocano le drammatiche notizie delle tragedie sulle coste di Lampedusa e delle Canarie: “Quanti drammi, quante tragedie, quanti naufragi?”
Amets lancia una dura critica alla politica migratoria occidentale e all’Europa in particolare: “C’è una responsabilità diretta […] Questa politica migratoria, troppo violenta e disumana, viene raccontata da una certa distanza, per non turbare troppo le coscienze […]. Dobbiamo smettere di guardare la realtà come se fosse una finzione, perché è una realtà dura, pura e semplice, molto violenta. Dobbiamo cambiare il mondo, non è più possibile”.
“Hermanito” e il Papa
Sentire e leggere che Francesco ha citato questo libro in diverse occasioni, e continua a farlo, “è stata una grande sorpresa. Non so nemmeno come il Papa abbia avuto il libro. Non riuscivo a crederci. Sono ancora sorpreso”. Quando il Papa cita Hermanito per parlare della condizione dei migranti, della Tunisia, della Libia, della politica estera dell’Europa che tende a voler frenare le migrazioni, “non sono più io a dirlo – aggiunge lo scrittore – il fatto che lo dica il Papa ha una risonanza completamente diversa e le cose vengono ascoltate in modo diverso”. “In ogni caso, vorrei ringraziarlo”, conclude Amets, felice di vedere che questo piccolo libro può contribuire a “risvegliare le coscienze”.