Le riflessioni del teologo ceco hanno accompagnato i tre giorni, dal 29 aprile al 2 maggio, dell’incontro internazionale di parroci di tutto il mondo a Sacrofano. Tra i temi, la crisi della credibilità della Chiesa anche a causa degli abusi sessuali, il clericalismo, il calo di vocazioni, la missione, il processo sinodale
Vatican News
“Nel cammino della riforma sinodale, occorre avere il coraggio di cambiare diverse cose nella Chiesa – ma i necessari cambiamenti strutturali vanno accompagnati da un approfondimento spirituale. Dobbiamo affinare costantemente l’arte del discernimento spirituale, distinguere lo ‘spirito del tempo’ dai ‘segni dei tempi'”. Così il teologo ceco monsignor Tomáš Halík, nel suo intervento all’Incontro internazionale dei parroci di tutto il mondo che, avviato lo scorso lunedì 29 aprile a Sacrofano, nei pressi di Roma, si conclude oggi giovedì 2 maggio con l’udienza con Papa Francesco. Le riflessioni di Halík hanno accompagnato i tre giorni dell’incontro che vuole essere una preparazione alla seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà il prossimo ottobre. Al centro degli interventi del teologo la necessità del discernimento spirituale e la responsabilità dei sacerdoti per la missione della Chiesa e il loro ruolo nel rinnovamento sinodale.
La crisi come opportunità
Anzitutto monsignor Halík ha sottolineato che “nel cammino sinodale bisogna infondersi coraggio reciprocamente, perché Dio – come sappiamo dalla Bibbia e dalla storia della Chiesa – parla anche attraverso le crisi, attraverso la disgregazione delle certezze di un’epoca. Attualmente stiamo vivendo un periodo di prova di questo tipo. Le crisi sono un invito al cambiamento. Dimostrano che non possiamo più continuare con il nostro corrente modo di pensare, di vivere e di lavorare”. Ecco perché, ha detto, “una crisi è un kairos, un’opportunità per rispondere in modo propositivo all’insegnamento chiave di Gesù: ‘Convertitevi!’”.
Secondo il teologo, “la crisi della credibilità della Chiesa e del sacerdozio a seguito del numero inaspettato di casi di abusi sessuali, psicologici e spirituali è solo uno degli aspetti significativi di questa crisi. Papa Francesco ha avuto il coraggio di riconoscere e ammettere pubblicamente che questi scandali non sono solo le mancanze di singoli individui, ma un sintomo del malessere dell’intero sistema ecclesiale. Gesù ha chiamato questa malattia ‘il lievito dei farisei’ e Papa Francesco la definisce ‘clericalismo’”, ovvero “una concezione dell’autorità spirituale e un suo esercizio improntati alla mondanità e al potere”. Un monito, questo del Papa, per tutti i sacerdoti a non “essere la ‘classe dirigente’ della Chiesa”, bensì “servi di tutti”.
Dio ascolta le nostre preghiere per nuove vocazioni sacerdotali?
Non è mancata una riflessione sul costante calo delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata in molte parti del mondo che, ha detto il monsignore, “è motivo di grande preoccupazione”. Ma, ha aggiunto, “anche laddove ci sono molti candidati al ministero sacerdotale, dobbiamo interrogarci sulla qualità e sull’autenticità della maturità delle loro motivazioni. Non si tratta forse, in alcuni casi, del desiderio di un certo status sociale e di un certo riconoscimento?”, ha domandato Halík. “Da più di cento anni, in questa parte del mondo si tengono regolarmente preghiere, novene, digiuni, adorazioni eucaristiche e pellegrinaggi per sollecitare nuove vocazioni sacerdotali e religiose. Tuttavia, il numero di vocazioni continua a diminuire. Questo significa che Dio non ascolta le nostre preghiere, o piuttosto che noi non sentiamo la sua risposta?”. Dal teologo, quindi, uno spunto di riflessione: “Forse Dio sta dicendo che un certo modo di intendere e svolgere il ministero sacerdotale, di selezionare i candidati e di prepararsi al sacerdozio non corrisponde più a ciò che si aspetta per il futuro. Per favore, non bussate alla porta che ho chiuso per voi. Cercate invece con coraggio e creatività le porte che voglio aprirvi”.
Missione in dialogo
Ancora monsignor Halík si è soffermato sulla “comprensibile” paura da parte di alcuni cristiani dei “cambiamenti che il processo di rinnovamento sinodale porterà”: “Temono che il cristianesimo in questo processo possa perdere la sua identità. Tuttavia, il processo di rinnovamento è, al contrario, una sfida a riscoprire l’identità del cristianesimo in modo nuovo e più profondo. Cristo, che è presente nella Chiesa e la cui presenza deve crescere nella storia del mondo, non può essere racchiuso in poche definizioni”. Sul tema della missione, ha sottolineato invece come, dopo il Concilio Vaticano II, essa “ha smesso di essere una strada a senso unico per assumere la forma del dialogo che comprende l’ascolto degli altri, il rispetto e lo sforzo di capire”. “I missionari – ha aggiunto Halík devono liberarsi dell’atteggiamento di superiorità coloniale nei confronti di coloro a cui sono inviati e della loro cultura. Questo vale non solo per i missionari occidentali nelle ex colonie, ma anche per il rapporto dei cristiani con la cultura moderna e postmoderna in Occidente”. L’obiettivo non è dunque “una Chiesa più grande e potente, ma una presenza più intensa di Cristo nella famiglia umana e una nuova forma di Chiesa in quanto mediatrice più umile e quindi più efficace di questa presenza”. La sinodalità segna un altro passo in questa direzione: “Dobbiamo intraprendere un cammino comune (syn hodos) con gli altri, puntando alla fraternità universale, come si legge nell’enciclica Fratelli tutti“.
La Chiesa ha bisogno di scuole di contemplazione e di maturità cristiana
Ma la Chiesa sinodale deve anche creare “oasi di riposo e momenti di festa”; vuole essere “una Chiesa accogliente, in ascolto, un luogo di ospitalità”. E dovrebbe essere anche “una scuola di fede e di saggezza”. “Nel mondo di oggi, la Chiesa non può reggere se non offre scuole di preghiera, di relazione personale con Dio e luoghi di contemplazione”, ha spiegato il teologo. “La rete delle parrocchie locali – ha proseguito – dovrà essere integrata da centri di vita spirituale, dove si impara la preghiera contemplativa e la vita spirituale personale e dove c’è anche spazio per lo scambio di esperienze e per la ricerca comune di risposte ad interrogativi incalzanti. Ciò che i fedeli, ma anche coloro che sono in cerca di spiritualità, oggi chiedono maggiormente è l’accompagnamento spirituale”. In questo ministero è possibile “coinvolgere molti laici, uomini e donne, purché abbiano una formazione in teologia e nella consulenza personale e, soprattutto, i carismi e l’esperienza necessari… Abbiamo bisogno di scuole di maturità cristiana!”.
Il processo sinodale è un processo di riforma e guarigione
Ancora guardando al cammino sinodale, il sacerdote ha rimarcato che esso “deve condurre la Chiesa fuori dalla malattia del clericalismo e del trionfalismo”, come pure dalle “manifestazioni del peccato di orgoglio” e dalla “forma di un sistema confessionale chiuso alla forma della vera cattolicità, dell’universalità, di una Chiesa aperta a tutti”. “Dovremmo portare nel nostro ministero nelle parrocchie la buona esperienza delle riunioni sinodali. È necessario sedersi al tavolo con coloro a cui siamo inviati, e non solo con quelli che si limitano ad annuire passivamente”, ha detto. “A volte le persone che sono ‘ai margini’, ‘al limite’, vedono più in là dei confini. È fondamentale creare un clima di fiducia affinché tutti possano esprimere apertamente il proprio punto di vista”. Halík si è detto convinto che “se introduciamo nelle nostre parrocchie questa cultura della condivisione, improntata alla riflessione, decisione e responsabilità di comunità, essa potrà contribuire in modo significativo al rinnovamento della vita della Chiesa”.
La sinodalità come ispirazione per la convivenza della famiglia umana
“È ovvio che il processo di rinnovamento sinodale della Chiesa sarà ‘a più velocità’: alcune chiese locali sono già pronte per alcune riforme, altre no”, ha concluso monsignor Tomáš Halík, spostando lo sguardo sui “paradossi del processo di globalizzazione” che stiamo vivendo: “Più le società convergono nella loro interconnessione tecnica ed economica, più le differenze culturali diventano evidenti. Le religioni, che dovrebbero creare ponti di comunicazione, comprensione reciproca, rispetto e cooperazione, spesso svolgono il ruolo opposto”, ha detto. “La legittima difesa dell’identità culturale, se non unita agli sforzi per comprendere e rispettare gli altri, diventa un’arma nelle ‘guerre culturali’ che possono degenerare in guerre calde, come stiamo vedendo oggi. Il processo di sinodalità, il cammino comune, deve essere applicato nelle parrocchie e nella vita della Chiesa, ma dovrebbe essere un’ispirazione per la convivenza nell’intera famiglia dell’umanità”.