Guerra mondiale, fa paura solo parlarne

Vatican News

Sergio Centofanti

Qualche grande leader ne ha cominciato a parlare. È preoccupante soltanto sentire queste parole: “guerra mondiale”. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha esortato ieri i cittadini americani a lasciare subito l’Ucraina perché “le cose potrebbero impazzire velocemente”. “È una guerra mondiale – ha aggiunto – quando gli americani e la Russia cominciano a spararsi”.

Fa paura sentir parlare di “guerra mondiale”. Colpisce un verbo che è stato usato: “impazzire”. Papa Francesco all’udienza generale di mercoledì scorso, invitando con forza a continuare a pregare per la pace di fronte alle tensioni crescenti per la crisi ucraina, ha detto: “Non dimentichiamo: la guerra è una pazzia!”.

Lo aveva già detto altre volte, come all’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” a Bari, il 23 febbraio 2020:

La guerra (…) è contraria alla ragione (…) è una follia, perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone e annientare risorse anziché costruire relazioni umane ed economiche. È una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare.

Il 13 settembre del 2014, nella Messa presieduta al Sacrario militare di Redipuglia nel centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, Francesco lo aveva detto con altrettanta forza:

La guerra è una follia. Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione! La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto. L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?”. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… “A me che importa?”. Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”. Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni…, ma le loro vite sono state spezzate. Perché? Perché l’umanità ha detto: “A me che importa?”. Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni (…) Come è possibile questo? È possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante! E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”. È proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere.

Nel secolo scorso, dopo le parole di Benedetto XV sull’inutile strage della prima guerra mondiale e quelle di Pio XII sulla seconda, “Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra”, Giovanni XXIII, nel 1963, di fronte alle minacce di un conflitto nucleare, scriveva la Pacem in terris:

Gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico.

Nella storia abbiamo visto tante scintille trasformarsi in incendi devastanti. Oggi fa paura solo il fatto che si parli di “guerra mondiale”. Nella guerra in Bosnia ed Erzegovina degli anni ’90 del secolo scorso, molti sopravvissuti hanno ripetuto una frase che suonava simile, pur essendo su fronti contrapposti: “Mai avrei immaginato che sarebbe potuto succedere di nuovo qui”.