ANDREA TORNIELLI
Anche durante il periodo estivo i dicasteri vaticani continuano il loro servizio. Ma c’è un gruppo di lavoro che da settimane è nell’occhio del ciclone. È quello della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi, chiamata a redigere il documento preparatorio e ad aiutare le Chiese locali in un percorso nuovo, che Papa Francesco ha voluto fosse realmente partecipato dal basso. Ne abbiamo parlato con il cardinale Mario Grech, Segretario del Sinodo.
Eminenza, come procede il lavoro preparatorio?
Per fare sinodo bisogna essere sinodo! Prima della pubblicazione del documento sul processo sinodale abbiamo ascoltato i presidenti di tutte le assemblee delle Conferenze episcopali continentali insieme con il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America e il presidente della Conferenza episcopale canadese. Poi, subito dopo la pubblicazione del documento, abbiamo rivolto un invito ai presidenti di tutte le Conferenze episcopali, i loro consigli permanenti ed i segretari generali per un colloquio fraterno durante il quale loro avevano l’opportunità di commentare, dare suggerimenti ed anche porre delle domande. In tutto abbiamo tenuto otto incontri divisi per lingue. Altri due momenti di consultazione sono stati uno con i patriarchi dell’Oriente e l’altro con gli arcivescovi Maggiori. Inoltre, abbiamo accolto l’invito delle Conferenze episcopali del Brasile, Burundi e le Antille che ci hanno chiesto un incontro specificamente con loro”.
Come sono andati questi primi incontri?
Devo dire che questo è stato un esercizio di collegialità episcopale molto apprezzato e fruttuoso. Con questo approccio volevamo comunicare il messaggio che il coinvolgimento sinodale di tutti è importante anche in questa fase del lancio del progetto. Abbiamo intrapreso un approccio simile anche con la Curia, attraverso colloqui con vari dicasteri. Abbiamo creato quattro commissioni di supporto al lavoro in vista del Sinodo: una per l’approfondimento teologico, un’altra per aiutarci a crescere come Chiesa nella spiritualità di comunione, una terza per la metodologia e infine una quarta che si dedicherà all’aspetto della comunicazione.
Che cosa può dire sullo stato dei lavori a proposito dello specifico tema del prossimo Sinodo?
Conosco il mare e so che per un viaggio lungo in nave bisogna preparare tutto con accuratezza. L’attenzione che stiamo mettendo nella redazione del documento preparatorio fa parte di questa preparazione accurata. Certo, dobbiamo essere d’accordo anche sul motivo del viaggio. Il Santo Padre ha assegnato alla XVI Assemblea ordinaria il tema della sinodalità. Tema certo complesso, perché parla di comunione, partecipazione e missione: ma questi sono aspetti della sinodalità e di una “Chiesa costitutivamente sinodale”, come ha detto nel discorso in occasione del 50° dell’istituzione del Sinodo. “Per una Chiesa sinodale”: è verso questa che dobbiamo andare, o meglio, che lo Spirito ci chiede di andare.
Il Papa ha più volte sottolineato l’importanza della sinodalità. Perché?
Vorrei sgombrare il campo da un malinteso. Molti pensano che la sinodalità sia un “pallino” del Papa. Spero che nessuno di noi condivida questo pensiero! Nei vari incontri di preparazione è emerso con chiarezza che la sinodalità era la forma e lo stile della Chiesa delle origini: il documento preparatorio lo mette chiaramente in luce; e mette in luce come il Vaticano II, con il movimento di “ritorno alle fonti” – il Ressourcement – abbia voluto recuperare quel modello di Chiesa, senza rinunciare a nessuna delle grandi acquisizioni della Chiesa nel II millennio. Se vogliamo essere fedeli alla Tradizione – e il Concilio va considerato come la tappa più recente della Tradizione – dobbiamo andare con coraggio per questa via della Chiesa sinodale. La sinodalità è la categoria che meglio compone tutti i temi conciliari che nel post-concilio sono stati spesso contrapposti tra di loro. Penso soprattutto alla categoria ecclesiologica di popolo di Dio, che purtroppo è stata contrapposta a quella di gerarchia, insistendo su una Chiesa “dal basso”, democratica, e strumentalizzando la partecipazione come rivendicazione, non lontana da quella sindacale.
Quali rischi comporta, secondo lei, questa interpretazione?
Questa interpretazione fa paura a molti. Ma noi non dobbiamo guardare alle interpretazioni, soprattutto se vogliono dividere: dobbiamo guardare al Concilio, e ai guadagni che ha portato, ricomponendo l’aspetto solo giuridico, gerarchico, istituzionale dell’ecclesiologia con quello più spirituale, teologico, storico-salvifico. Il popolo di Dio del Vaticano II è il popolo pellegrino verso il Regno. Quella categoria ha permesso di recuperare la totalità dei battezzati come soggetto attivo della vita della Chiesa! E non lo ha fatto negando la funzione dei pastori, o del Papa, ma ponendo questi come principio di unità dei battezzati: il vescovo nella sua Chiesa, il Papa nella Chiesa universale. La Chiesa è comunione, ha ribadito il Sinodo del 1985, avviando la ben nota ecclesiologia di comunione. La Chiesa è costitutivamente sinodale, siamo chiamati a dire “noi”. Le due affermazioni non sono in contraddizione, ma l’una completa l’altra: la Chiesa-comunione, se ha come soggetto – e non può averne un altro! – il popolo di Dio, è una Chiesa sinodale. Perché la sinodalità è la forma che realizza la partecipazione di tutto il popolo di Dio e di tutti nel popolo di Dio, ciascuno secondo il suo stato e la sua funzione, alla vita e alla missione della Chiesa. E lo realizza attraverso la relazione tra sensus fidei del popolo di Dio – come forma di partecipazione alla funzione profetica di Cristo così come indicato in Lumen gentium 12 – e la funzione di discernimento dei pastori.
La centralità del Popolo di Dio sembra a volte che faccia fatica ad essere compresa e condivisa nell’esperienza concreta. Perché?
Forse dobbiamo confessarci che abbiamo chiara – e forse anche cara, nel senso che la affermiamo e difendiamo volentieri – la funzione gerarchica e magisteriale. Non altrettanto quella del sensus fidei. Ma per comprenderne l’importanza basta sottolineare il tema del battesimo, e di come il sacramento della rinascita non abiliti solo alla vita in Cristo, ma innesti immediatamente nella Chiesa, come membra del corpo. Il documento preparatorio tutto questo lo sottolinea bene. Se sapremo riconoscere il valore del sensus fidei e sapremo muovere il popolo di Dio a prendere coscienza di questa capacità data nel battesimo, avremo avviato il vero cammino della sinodalità. Perché avremo posto, oltre al seme della comunione, anche quello della partecipazione. Per il battesimo, tutti i battezzati partecipano della funzione profetica, sacerdotale e regale di Cristo. Per questo, ascoltando il popolo di Dio – a questo serve la consultazione nelle Chiese particolari – sappiamo di poter ascoltare ciò che lo Spirito dice alla Chiesa. Questo non significa che sia il popolo di Dio a determinare il cammino della Chiesa. Alla funzione profetica di tutto il popolo di Dio (pastori compresi) corrisponde il compito di discernimento dei pastori: da ciò che dice il popolo di Dio, i pastori devono cogliere ciò che lo Spirito vuole dire alla Chiesa. Ma è dall’ascolto del popolo di Dio che il discernimento deve partire.
C’è chi si dice spaventato per la mole di impegno che il percorso sinodale comporterà per le Chiese locali. Non teme il rischio di complicare la vita ordinaria della Chiesa?
Tutto questo non è in realtà un processo che complica la vita della Chiesa. Perché senza sapere ciò che lo Spirito dice alla Chiesa, potremmo agire a vuoto e addirittura, senza saperlo, contro lo Spirito. Una volta riscoperta la dimensione “pneumatologica” della Chiesa, non possiamo che adottare il dinamismo di profezia-discernimento, che sta alla base del processo sinodale. Questo vale soprattutto pensando al terzo dei termini in gioco: la missione. Il Sinodo dei giovani ha parlato di sinodalità missionaria. La sinodalità è per la missione, è l’ascolto di come la Chiesa diventa sé stessa vivendo, testimoniando e portando il Vangelo. Tutti i termini proposti dal titolo sono collegati: stanno o cadono insieme! Chiediamo anche noi di essere profondamente convertiti alla sinodalità: significa convertirci a Cristo e al suo Spirito, lasciando a Dio il primato.