Cecilia Seppia – Città del Vaticano
La vita è un dono. La vita si custodisce, si salva. La vita non si butta. Eppure la cronaca italiana e mondiale è piena di notizie macabre, tristi, spesso sconcertanti di rifiuto, di abbandono, di quello scarto che contro ogni legge morale è diventato addirittura “cultura”. Quanti bimbi, troppi, vittime di guerra, di povertà, di sfruttamento, di migrazioni, rimangono improvvisamente soli, loro malgrado? Quanti nascono, senza aver chiesto di venire al mondo, e trovano ad accoglierli anziché le braccia calde e sicure di mamma e papà, il gelo e la ‘puzza’ di un cassonetto? Spesso però Dio regala loro un destino diverso, grazie alla scelta dell’adozione di tante coppie che, avendo difficoltà a concepire, pur dopo essersi rivolti alla medicina e aver sostenuto cure, terapie e interventi durissimi, decidono di offrire il loro amore a chi non lo ha mai avuto e, come c’è scritto nel Vangelo, finiscono per ricevere in cambio una gioia più grande. È quanto è successo alla figlia e al genero di Graziana. 65 anni, un lavoro nella Pubblica Amministrazione, Graziana è nonna di quattro nipoti, tra cui Jordan, un bimbo italiano adottato da piccolo, arrivato come un dono del Cielo, dopo anni di snervante attesa.
La gioia, dopo una lunga attesa
“Ho avuto questa notizia, una mattina, così all’improvviso. Mia figlia era stata convocata in Tribunale dal giudice, insieme col marito, non sapevano il motivo e neanche io lo immaginavo. Poi mi ha chiamata e al telefono mi ha detto che le avevano dato un figlio e potevano andare a prenderlo. Questa notizia è stata fulminante perché non ce lo aspettavamo: era stato un percorso duro, con molte difficoltà, incontri faticosi con gli assistenti sociali durante i quali erano stati proposti anche bambini con delle problematiche serie di salute, che però in quel momento mia figlia e mio genero non si sentivano di poter affrontare, anche perché si trattava di un primo figlio… L’emozione è stata talmente grande che a me è rimasto dentro quel momento, come il momento del parto di mia figlia ed è stata una cosa che io le ho ripetuto spesso: quando penso a mio nipote, penso a un figlio nato veramente dalle viscere. Ho avuto realmente la percezione di essere fuori dalla sala parto e di vedere uscire l’ostetrica che mi diceva: ‘È nato il bambino, è un maschio, è andato tutto bene’. Sembra assurdo ma è così, anzi l’impatto emotivo forse è stato ancora più forte e doloroso, perché non abbiamo dovuto aspettare solo una mezza giornata o un giorno per vederlo… A quel punto sono dovuta uscire dalla stanza dove lavoro e non sono riuscita a rientrare per molto tempo. Poi appena mi sono ripresa, ho dato la notizia anche ad una mia collega che è anche una cara amica, e insieme abbiamo pianto di gioia”.
Un dono per la famiglia
Gli attimi successivi sono stati frenetici, “siamo tutti completamente impazziti”, racconta ancora Graziana, che da nonna premurosa è uscita di corsa per comprare tutto il necessario per suo nipote: dal corredino, alla carrozzina a tutto ciò che poteva servirgli per farlo sentire amato e al sicuro. E così hanno fatto gli altri figli, gli altri nonni, fino a riempire la casa, perché in fondo è questo che fa la vita quando arriva all’improvviso: ti riempie di stupore e gratitudine. Il giorno dopo parenti e amici hanno organizzato una piccola festa domestica, e alcuni sono anche andati presso la pasticceria di zona per ordinare dolci su cui c’era scritto: “Benvenuto Jordan!”, “Finalmente sei arrivato!”, tanto che anche il pasticcere, alla terza torta, si è permesso di dire: “Scusate ma è nato un bambino?”.
La responsabilità dei nonni
I nonni paterni e materni già all’inizio del percorso, avevano dato la loro testimonianza e adesione all’adozione, ma al momento della formalizzazione giuridica dell’atto sono stati chiamati a mettere la loro firma, assicurando che fosse stata una scelta consapevole. E Graziana ricorda anche quel momento con tanta emozione, mentre mette l’accento sulla responsabilità che l’ha investita: “Ci sono stati tanti momenti in cui mi sono sentita custode di mio nipote; ho sentito che questo nipote mi apparteneva e che io ero chiamata a custodirlo, a difenderlo, come fanno gli angeli con noi, perché una cosa hanno i bambini adottati: sono più fragili, più deboli degli altri, si portano dietro e dentro vuoti e carenze di affetto, perciò ho sentito ancora di più che Jordan aveva bisogno di tutto l’amore la cura e la sensibilità possibili”. “Non c’è alcuna differenza tra Jordan e gli altri nipoti, anzi”. Non esiste né in termini educativi né relazionali, dice Graziana: “Non mi viene mai in mente che Jordan può essere un nipote diverso dagli altri, quello è mio nipote e basta! Io lo sento talmente nostro, in una maniera così viscerale, che addirittura ravviso in lui i lineamenti del viso di mio genero”.
L’adozione, un percorso ad ostacoli
La storia di Jordan è anche spunto per allargare lo sguardo e riflettere sul difficile percorso che attende quelle persone che decidono di scegliere l’adozione. Ci sono tantissime coppie che cercano un figlio, che non arriva mai e che ad un certo punto della loro vita, si rendono disponibili ad accogliere quei bimbi, quei ragazzi, “figli dello scarto”, abbandonati dai genitori biologici. D’altro lato, ci sono molti piccoli che soffrono, che sono soli, che aspettano una mano che possa tirarli fuori dal baratro in cui si trovano e perciò dovrebbe essere più semplice far comunicare queste due realtà. Invece, sottolinea Graziana, “quello dell’adozione è un percorso ad ostacoli, fatto di porte che si chiudono anziché aprirsi e che spesso scoraggia le coppie che alla fine rinunciano al sogno di diventare genitori, addirittura vivono un doppio fallimento: per non essere riusciti a concepire naturalmente e per non essere arrivati alla fine di questo cammino”.
Il dialogo tra le generazioni
Nel giorno in cui la Chiesa ricorda i Santi Angeli custodi, Graziana ringrazia l’angelo che ha regalato Jordan alla sua famiglia e coglie questa occasione anche per ribadire l’importanza e la figura dei nonni di tutto il mondo, che come afferma Papa Francesco, sono depositari di amore, pazienza e saggezza, scrigni di memoria, autori di sogni profetici, custodi di radici. Ma anche eredità di fede e anello di congiunzione tra le generazioni. A questo proposito ricorda il rapporto meraviglioso che Jordan aveva con la sua bisnonna, la mamma di Graziana, che quando è morta, dopo una lunga malattia, ha lasciato un vuoto nei cuori di tutti, ma in particolare del piccolo che entrando in casa cercava la sua sedia a rotelle o raggiungeva il suo letto chiedendo dove fosse. “Noi nonni – conclude – siamo fondamentali, per tutti i nipoti, dobbiamo noi riscoprire questo ruolo e comprenderne l’importanza, ma anche la società deve smettere di tenerci ai margini e di dimenticarci!”.