Concerto per la pace in Medio Oriente, a due mesi dallo scoppio del conflitto tra Israele e Hamas, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, promosso dal Dicastero per la Comunicazione. Protagoniste sette studentesse e docenti della Scuola di musica di Gerusalemme, ebrei, musulmani e cristiani. Il patriarca Pizzaballa, in un videomessaggio, ricorda che “ascoltare insieme qualcosa di bello, fatto insieme, che è un contributo a salvare le luci” di un Paese diviso
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Una “testimonianza-preghiera in musica” che è possibile “vivere insieme in una terra martoriata”, ebrei, musulmani e cristiani. E non c’è “miglior comunicazione della testimonianza”. Un ascoltare insieme “qualcosa di bello, fatto insieme, che è un contributo a salvare le luci” di un Paese diviso, Israele e la Palestina, in una guerra “che ha approfondito ancora di più le divisioni”, e un “invocare un atto di speranza, un nuovo cessate-il-fuoco, che fermerà morti e distruzioni”. Voci tra le musiche del concerto “Note di pace” della Scuola “Magnificat” di Gerusalemme, organizzato il pomeriggio di oggi, 7 dicembre, a due mesi dallo scoppio della guerra in Terra Santa, dal Dicastero per la Comunicazione e la Pontificia Accademia per la Vita, con la collaborazione della Comunità di Sant’Egidio, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma.
Più di duecento studenti e docenti delle tre religioni
Voci del prefetto del dicastero, Paolo Ruffini, del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini e di padre Gabriele Romanelli, parroco della chiesa latina della Sacra Famiglia di Gaza. La scuola, gestita dalla Custodia di Terra Santa e diretta da fra Alberto Iuan Pari, ha offerto un concerto a Roma come gemellaggio per la pace, tra le due città. La scuola, collegata con il conservatorio di Vicenza, ha sede, dal 1995, nella Città Vecchia di Gerusalemme e offre ogni anno la possibilità di essere introdotti alla musica e accompagnati fino al raggiungimento del diploma di conservatorio, a giovani studenti ebrei, musulmani e cristiani, guidati da docenti per il la maggior parte ebrei, con alcuni cristiani. E diventa, con i suoi 220 studenti, il 70 per cento cristiani, il 20 musulmani e il 10 ebrei, un’occasione proficua di confronto e dialogo tra le religioni abramitiche nella Città santa.
Pizzaballa: si potrà ripartire riallacciando le relazioni
Il concerto si è aperto con la lettura del Salmo 122, dedicato alla città di Gerusalemme, per la quale siamo tutti invitati a “domandare pace”, guidato da Andrea Monda, direttore de L’Osservatore Romano ed è terminato con la recita del Magnificat. Il primo saluto è arrivato via video dalla Terra Santa dal patriarca Pierbattista Pizzaballa, che ha ricordato come il nuovo conflitto in Medio Oriente ha amplificato “i sentimenti di lontananza, di inimicizia tra israeliani e palestinesi in maniera molto profonda forse direi anche di odio in alcune circostanze. É molto difficile parlare l’uno all’altro, non ci si ascolta”. Nella notte di questo momento, non mancano però le luci “persone, istituzioni, movimenti e associazioni che cercano invece di non seguire la linea dello scontro ma, nonostante le grandi difficoltà, di fare qualcosa di bello”. E la musica, che non ha bisogno di traduzioni, tutti la capiscono, “è un modo semplice, bello, concreto, però di fare qualcosa insieme, soprattutto in questo momento nel quale le nostre relazioni sono abbrutite da tanta violenza”. Il Natale vicino ha ispirato al porporato, la sicurezza che si potrà “ripartire, e anche qui, nella comunità cristiana, tra gli ebrei, tra i musulmani, tra israeliani e palestinesi, ci saranno tante persone con le quali potremo riallacciare in maniera nuova, con prospettive nuove e belle, le nostre relazioni”.
Ruffini: il vostro canto nuovo è una luce
Dopo il primo brano, introdotto dal direttore della scuola, fra Alberto Iuan Pari, un “Ave Maria” nei primi vespri della Solennità dell’Immacolata, il prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini ha ringraziato le sette studentesse presenti, con i due frati che le hanno accompagnate, “perché siete una luce. Stiamo camminando in una valle oscura. E la vostra testimonianza, il vostro canto, il vostro cantare insieme è una luce. E’ un canto nuovo. E’ un preparare nel deserto la via della pace”. Nuovo perché “in un mondo diviso testimonia nel canto, nella unità delle voci, la possibilità della unità dei cuori. La possibilità di riscoprire, nonostante tutto, la verità che ci unisce”, quella del nostro essere tutti fratelli e sorelle. E anche il valore del silenzio e delle pause, “Senza le quali non ci sarebbe musica, non ci sarebbe dialogo. E Dio sa quanto bisogno ci sia oggi di avere delle pause. Nel frastuono delle armi, delle parole, dei pensieri confusi. Dio parla anche nelle pause. E nelle pause emerge il canto nuovo”. Il vostro canto, ha concluso Ruffini, “disperde i superbi nel pensiero del loro cuore. Ci ricorda l’importanza dell’unità. Accende una speranza. Pregheremo per voi e per la pace”.
I brani del concerto
Il concerto è proseguito con un brano per due violini di Bach e il contributo di Ilaria Della Bidia, soprano pop, accompagnata dal maestro Attilio Di Giovanni, che gli ascoltatori radiofonici de “Il ruggito del coniglio” ben conoscono, con un canto ebraico, uno arabo e “Dolce è sentire” ispirato a San Francesco. Dopo il “Panis Angelicum”, l’ultimo canto dal Salmo 18, “I cieli immensi cantano” di Benedetto Marcello. In prima fila anche il cardinale Fernando Filoni, gran maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro.
Le testimonianze di Paglia e Impagliazzo
Si sono alternati ai brani del concerto altri saluti, come quello dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che ha ricordato come la Basilica di Santa Maria in Trastevere, “è il primo luogo di culto qui a Roma, tutto dedicata a Maria”, una giovane 14 enne “più o meno della vostra età, partita da Nazaret per raggiungere la cugina Elisabetta e cantare il Magnificat. Ci uniamo, ha detto Paglia “al sogno di un gruppo di ragazzi per cantare il Magnificat alla pace e all’incontro”. Quindi la testimonianza di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, che ha sottolineato come “abbiamo bisogno di segni di pace, di riconciliazione e di futuro, che non si vede nell’oscurità della guerra e del terrorismo. Incontrarvi qui dove si prega spesso per la pace, ci dice che un segno di pace c’è, anche se vediamo ancora tanta sofferenza. Il segno della vostra amicizia, della vostra collaborazione, ci colpisce e ci da’ speranza”.
Padre Romanelli: non ci arrendiamo, domandiamo pace
Da Gerusalemme, dove si trovava quando è scoppiato il conflitto, il parroco della chiesa latina della Sacra Famiglia di Gaza, padre Gabriele Romanelli, in un video, ha lamentato che nella Striscia la situazione è gravissima, ora che la tregua si è interrotta. “Bisogna veramente fermare questa guerra e chiedere un cessate il fuoco” ha detto. “Non è solo un atto di giustizia, è un atto di speranza, che veramente diminuirà i numeri di morti, di feriti, di distruzioni”. Ha chiesto che tutti possano “piangere i propri morti, curare i feriti, e che l’aiuto umanitario arrivi non soltanto al sud della Striscia ma al nord, dove ancora ci sono centinaia di migliaia di persone. E che “quelli che sono privati della libertà vengano rilasciati” e restituiti ai loro familiari. Da Gaza “ci chiedono di pregare e lavorare per la pace – ha concluso padre Romanelli – quindi non ci arrendiamo. Domandiamo a Nostra Signora, la Regina della Pace, che conceda la pace nella Palestina, a Israele, a tutti gli abitanti di questa Terra Santa”.
Fra Pari: siamo un laboratorio di coesistenza pacifica
A Trastevere c’era invece padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, che ha ricordato come sia la prima volta, da 35 anni, che in periodo natalizio lascia la Terra Santa. E ha chiesto di pregare anche per Betlemme, “che è chiusa completamente, come una prigione a cielo aperto, e tutti sono senza lavoro, perché vivono di turismo. La basilica è vuota, non c’è la solita fila per entrare. Gli abitanti di Betlemme, già senza lavoro per due anni per il Covid, sono di nuovo senza sostentamento”. Al termine del concerto, abbiamo raccolto la testimonianza del direttore della Scuola “Magnificat” di Gerusalemme, fra Alberto Iuan Pari.
Che significato ha il concerto di oggi, “Note di pace” e questo viaggio in Italia del giovani della scuola di musica “Magnificat” di Gerusalemme?
Innanzitutto era un viaggio che è stato un punto di domanda fino alla fine, minacciato dalla situazione della guerra. Quando abbiamo saputo che era fattibile venire per dei concerti che facciamo ogni anno a Roma, amici del Vaticano hanno pensato di organizzare un concerto extra che è quello di questa sera che è una testimonianza-preghiera in musica. E’ l’identità di questo concerto per noi importantissimo, perché vogliamo portare un messaggio che è quello che è possibile vivere insieme in una terra martoriata. E infatti la scuola è formata da studenti e professori che vengono da diversi background, sia culturali che religiosi, cristiani, musulmani ed ebrei.
Che difficoltà ha portato alla scuola, agli studenti e anche ai docenti l’attuale guerra tra Israele e Hamas?
All’inizio della guerra siamo rimasti tutti sotto shock. La prima settimana abbiamo continuato a fare delle lezioni online, come ci ha insegnato il periodo del Covid, e poi appena è stata possibile l’apertura abbiamo voluto che la scuola funzionasse a pieno. Però logisticamente non è stato possibile. Due insegnanti sono stati bloccati nei Territori palestinesi, un abitante a Betlemme, uno a Ramallah, quindi hanno dovuto continuare le loro lezioni online. Alcuni studenti non hanno potuto tornare perché sono stati arruolati nell’esercito ed altri perché, abitando in Palestina, non potevano raggiungere Gerusalemme. Però la scuola ha continuato, anche con queste limitazioni, perché abbiamo pensato che fosse la cosa migliore che questi ragazzi avessero un po’ di bellezza nelle loro giornate che invece erano state sconvolte.
Oltre all’impegno, da studenti di musica nelle varie materie, ci sono momenti in cui i giovani riescono a confrontarsi, e anche parlare di queste di questa drammatica situazione?
Quando abbiamo riaperto la scuola abbiamo chiesto, soprattutto agli insegnanti, di evitare di parlare di politica. Però girando nei corridoi ho visto che è stato un po’ difficile, perché tutti sentivano il bisogno di confrontarsi e di parlare di quello che stavano vivendo. Per cui anche non volendo si fa veramente un laboratorio di coesistenza pacifica e di dialogo, anche se la scuola non è nata per fare un dialogo interreligioso, ma di fatto lo fa e lo vive. Quindi i ragazzi hanno occasione, soprattutto con gli insegnanti, perché tra di loro quando si incontrano devono far musica quindi orchestra e coro, però nei momenti liberi vedo che si confrontano.