Chiesa Cattolica – Italiana

Gli effetti della pandemia sulla salute mentale

“Dare un’attenzione speciale a coloro che hanno disturbi mentali: che non avvenga che siano i primi ad essere emarginati e scartati dalle cure necessarie”. È l’appello rivolto da mons. Stefano Russo, Segretario generale della Cei, nel suo saluto al convegno “Chiesa italiana e la salute mentale. Pandemia Covid-19. Effetti sul benessere mentale e relazionale”, promosso in modalità virtuale dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute e dal Tavolo sulla salute mentale. “Questa pandemia – ha osservato mons. Russo – sta mettendo a dura prova la nostra esistenza fisica e il nostro equilibrio mentale. Ci sono però categorie che rischiano di sconfinare in vere e proprie patologie: penso ai poveri, alle famiglie che si sono ritrovate a dover assumere ruoli diversi e complessi, ai bambini e agli anziani, ai giovani che devono stare insieme agli altri per apprendere e crescere, ai tanti che hanno perso il lavoro”.

“La pandemia che stiamo attraversando ha risvolti medico-clinici immediati, ma anche una serie di effetti collaterali meno evidenti ma estremamente incisivi. Cambiare stili di vita disorienta le persone e incide profondamente sulle relazioni”, ha rilevato don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio per la pastorale della salute evidenziando che “quello della pandemia non è un tempo sospeso, ma da vivere e accompagnare”. “La pastorale della salute – ha precisato – abita i mondi della sofferenza per accompagnare i sofferenti anche dal punto di vista spirituale, e testimonia il Vangelo della misericordia che porta speranza e consolazione aprendo all’infinito, alla domanda di Dio”. “Abbiamo raccolto un grido di aiuto da parte dei curanti che hanno chiesto dignità, sia dal punto professionale sia personale, e risorse sufficienti per il bene e la salute di tutti” per respingere quella cultura dello scarto “che – ha proseguito don Angelelli – sembra riemergere laddove si debbano prendere decisioni su chi valga la pena curare e chi no”.

Don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro, si è invece soffermato sulle nuove forme di povertà, “uno degli aspetti più duri della pandemia” di fronte alle quali è fondamentale “attivare gli anticorpi della solidarietà”, e sulle “fragilità relazionali” alle quali rispondere con una pastorale di prossimità. Occorre, ha spiegato, “allenare gli occhi e tenerli ben aperti sulle nuove forme di povertà, soprattutto quelle invisibili”; “allenare i piedi” per accompagnare “chi è caduto a rimettersi in piedi”; “allenare il cuore dando il proprio tempo” come il Buon Samaritano e “allenare le mani al servizio”.

L’emergenza sanitaria, infatti, ha avuto un impatto su tutti gli ambiti della vita, compresi quelli pastorali della catechesi, dell’educazione e dei giovani. “Questo tempo deve diventare occasione per rigenerare le nostre proposte. Occorre dare slancio alle relazioni, all’ascolto dell’altro, alla narrazione, alla creatività”, ha detto mons. Valentino Bulgarelli, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio catechistico nazionale.
Anche l’oratorio è chiamato ad “una revisione profonda dei propri compiti: il lockdown ha mostrato come in famiglia funzionino gli affetti, la relazione”, ha affermato don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile, per il quale è importante “essere vicino ai ragazzi reinventando sistemi educativi che li mettano in relazione”.
Secondo don Gionatan De Marco, direttore dell’Ufficio per la pastorale del tempo libero, turismo e sport, bisogna “attivare esperienze per stimolare i ragazzi a vivere lo stupore, la meraviglia” e rieducarli “all’armonia del tempo creando esperienze integrate”.
In questa situazione, la pastorale, con la presenza di adulti significativi, deve “educare soprattutto alla speranza”, ha fatto eco Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università per il quale “anche la scuola può farlo, a maggior ragione è un compito della comunità ecclesiale: educare è un atto di speranza”.

“L’orizzonte della speranza che grida questo tempo ha bisogno di uomini e donne credenti che riconoscono nella speranza non il sogno immaginario, la fantasia di un futuro fiabesco, ma la reale possibilità di credere che lo Spirito ci dà l’opportunità di costruire qualcosa di nuovo, di concreto, di reale, per domani”, ha affermato don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni e sottosegretario della Cei, sottolineando che “questo tempo ci mette davanti le domande più importanti della vita: per cosa vale la pena vivere, per cosa vale la pena morire, cosa rimane: e quello che rimane – ha concluso – è soltanto la carità, cioè l’amore che abbiamo potuto ricevere e condividere con gli altri”.

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