Gli auguri di padre Sosa: la nostra nuova fragilità ci faccia più capaci di amore

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

La pandemia che non se ne va, e sta diventando “un viaggio nel cuore” che ci chiede “di rivalutare ciò che è veramente importante nella nostra vita e di vivere in modo diverso”. Il processo sinodale appena iniziato, che è “il modo audace di fare presente la Buona Notizia di Gesù in mezzo alla tormente dal cambiamento epocale”. E infine l’Anno Ignaziano avviato a maggio, non un festeggiamento ma una chiamata alla conversione, a 500 anni da quella di sant’Ignazio di Loyola. C’è tutto questo nel saluto di padre Arturo Sosa Abascal, il 73 enne preposito generale venezuelano, da 5 anni alla guida dei Gesuiti, rivolto ai giornalisti per lo scambio di auguri di Natale.

La pandemia, occasione di conversione e di trasformazione

Il coronavirus, sottolinea padre Sosa, ogni giorno ci chiede “una nuova flessibilità, una nuova conversione”. “Siamo davanti alla sfida – spiega – di accettare internamente i cambiamenti come grazia e opportunità di vita rinnovata, invece di sentirci costretti a rassegnarci a imposizioni non desiderate”. L’immagine di Papa Francesco che sale da solo, il 27 marzo 2020, sul sagrato della Basilica di San Pietro, diventa un simbolo, per il generale dei gesuiti, “della difficoltà e insieme della possibilità di aprirsi alla grazia di trovare spazio per la speranza e la solidarietà in mezzo alle paura di tanti e la confusione politica”. In questo tempo il Papa si è impegnato senza sosta per “aiutarci a leggere i segni dei tempi con parole stimolanti, evitando le false consolazioni”, invitandoci “a cogliere l’occasione di aprirsi a nuove forme di vita personale, familiare, sociale, a trasformare le strutture che producono povertà ingiusta”. I continui appelli a favore delle persone migranti, per padre Sosa, sono uno degli esempi più chiari di questo impegno.

Il Sinodo, una Chiesa in dialogo con la storia e con se stessa

Il Sinodo da poco aperto, per la guida della Compagnia di Gesù, è l’occasione per la comunità ecclesiale di dimostrarsi “capace di dialogare con la storia e all’interno di se stessa” e questo “è, senz’altro, un segno di speranza”. La Chiesa ha avviato un processo che non si deve fermare all’assemblea sinodale del 2023, che invece “va visto come un punto di partenza”. Per il preposito generale dei Gesuiti, non va commesso l’errore di considerare il processo sinodale un evento solo interno alla Chiesa, perché quest’ultima “non ha senso per se stessa, ma per la sua missione evangelizzatrice”.

Anno Ignaziano: conversione per sognare un mondo diverso

La pandemia “che ci ha costretti ad affrontare il fatto che siamo mortali”, coincide con il 500.mo anniversario della ferita di Ignazio di Loyola nella battaglia di Pamplona e con la sua conversione. La Compagnia di Gesù, ricorda padre Sosa, ha iniziato un “Anno Ignaziano” per motivare “tutto il corpo apostolico universale a intraprendere le trasformazioni necessarie per essere capaci di adempiere la nostra missione di riconciliazione e giustizia in modo efficace”. È un appello forte alla conversione: “Abbiamo bisogno di fare le cose in modo diverso – spiega il generale del Gesuiti – d’immaginare un mondo diverso… e di mettere in atto misure in modo tale da contribuire a rendere possibile un mondo nuovo”. 

Accettare i rischio del cambiamento, per un nuovo futuro

Le tante vittime della pandemia e “i fatti delle nostre vite” ricordano a padre Sosa “che la chiamata ai cristiani è di vivere e condividere la speranza”. Non una falsa o superficiale rassicurazione che “andrà tutto bene” ma la certezza “che il nostro Dio sta al lavoro volendo fare nuove tutte le cose e vuole il nostro contributo”. Così, “se apriamo le porte dei nostri cuori e accettiamo il rischio di cambiare le nostre relazioni, non avremo un futuro uguale al passato. Avremo invece un nuovo futuro”. E ai giornalisti ribadisce la vocazione, al di là della fede personale, di “ampliare gli spazi di libertà nella vita degli esseri umani. Il vostro è un impegno di liberazione”.

Verso il nuovo mondo immaginato con il Papa

L’invito finale del preposito dei Gesuiti è di “camminare non solo con i nostri amici, ma anche con coloro che sono ai margini, coloro che sono messi da parte”. E camminare “con i giovani che possono insegnarci, con i vecchi che possono consigliarci”. Ora che abbiamo sperimentato “la fragilità” nostra e dei nostri simili, delle nostre case, delle nostre istituzioni e “delle nostre relazioni”, questo ci faccia più capaci “di ricevere e dare amore”. E l’augurio di padre Arturo Sosa è che il 2022 “possa essere un anno di avventura, di visione, di immaginazione e di azioni concrete per realizzare il nuovo mondo che Papa Francesco ci chiama a immaginare”.

Per le vocazioni: preghiera e accoglienza dei nuovi chiamati

Al termine del suo saluto, il preposito generale si ferma a dialogare con i giornalisti presenti, ed anche con Vatican News.

Ascolta l’intervista a padre Arturo Sosa

Quale primo, parziale bilancio si può fare di questo Anno ignaziano, a metà del cammino?

Un bilancio molto positivo: è stato molto ben accolto in tutta la Compagnia di Gesù e ha generato tantissime iniziative in tutti i nostri apostolati, soprattutto tra i nostri compagni e compagne laici che hanno trovato qui l’opportunità di conoscere meglio cosa vuol dire essere ignaziano, cosa vuol dire trasformare la vita al modello di Ignazio, cioè seguendo questa spiritualità che ci avvicina a Gesù povero e umile dei Vangeli. E che dovrebbe essere il modo nel quale le nostre istituzioni presentano la buona novella del Vangelo.

Papa Francesco ha incontrato la comunità dei gesuiti greci nel suo ultimo viaggio, come fa sempre in ogni viaggio, ed ha parlato della difficoltà che si vive nelle vocazioni, comune a tanti altri ordini religiosi, ma anche poi di come viverla con creatività e umiltà…

Il Papa ha cominciato la risposta ai gesuiti della Grecia dicendo che le vocazioni vengono da Dio, è Dio che chiama, non siamo noi a chiamare. E questa è la prima cosa che io ribadisco anche qui: la prima consapevolezza è che Dio chiama. Quindi il primo passo per promuovere le vocazioni è pregare il Signore che ci invii e dopo dobbiamo essere capaci di capire dove sono queste vocazioni, di sapere chi chiama Dio in questo momento e di accoglierli. Sicuramente non sono quelli che abbiamo in mente, non è lo stesso modello di 100 anni fa o 50 anni fa. Dobbiamo essere aperti ad accogliere nella Compagnia quelle persone che oggi portano questo messaggio di speranza e di futuro, seguendo Gesù nel cammino della spiritualità di Sant’Ignazio.