di Giampaolo Mattei
Zakia Khoudadadi e Hossain Rasouli, i due atleti paralimpici afgani che nei giorni scorsi erano riusciti a lasciare Kabul, sono a Tokyo e gareggeranno rispettivamente giovedì 2 settembre nel taekwondo e venerdì 3 settembre nei 400 metri.
Lo hanno resto noto, insieme, il Comitato internazionale paralimpico e il Comitato paralimpico afghano. In un primo momento i due atleti erano stati dati erroneamente per rifugiati in Australia: in realtà sono stati accolti una settimana fa a Parigi, dove hanno anche avuto la possibilità di continuare ad allenarsi proprio in vista della loro partecipazione ai Giochi di Tokyo.
Zakia sarà la prima atleta donna afghana a partecipare alle Paralimpiadi nel taekwondo: sarà in gara il 2 settembre (categoria k44-49 chili). Non è la prima donna afghana in assoluto a essere alle Paralimpaidi: nel 2004 ad Atene c’erano, infatti, la velocista Mareena Karim e la ciclista Qaher Hazrat.
Hossain, invece, sarà di scena il giorno successivo, 3 settembre, nelle batterie dei 400 metri (categoria t47), allo stadio olimpico di Tokyo. Proprio dove martedì scorso, 24 agosto, durante la cerimonia di apertura, aveva sventolato anche la bandiera dell’Afghanistan, per testimoniare un messaggio di speranza che ora — con la presenza in gara dei due atleti in Giappone — assume contorni ancora più significativi.
Per poter partecipare ai Giochi, osservando i protocolli anti Covid, Zakia e Hossain hanno dovuto sottoporsi a due test molecolari: uno 96 ore prima e uno 72 ore prima di volare a Tokyo. E stanno ora rispettando il tempo di isolamento.
Il Comitato internazionale paralimpico ha reso anche noto che Zakia, Hossain e Arian Sadiqi, capo della piccola delegazione afghana, non saranno disponibili per le interviste al termine delle loro gare, anche per evitare ritorsioni sulle loro famiglie rimaste nel Paese. Non transiteranno, dunque nella cosiddetta “zona mista”, dove è prevista la presenza di giornalisti e telecamere.
«Mi sono allenata duramente per quattro anni per raggiungere il mio sogno e al momento non ho nemmeno la sicurezza della mia vita, figuriamoci di partecipare alla competizione» aveva dichiarato Zakia lo scorso 17 agosto, quando non sapeva se sarebbe riuscita a lasciare l’Afghanistan. Lanciando sui social un accorato appello perché fossero rispettati i suoi diritti: «Non c’è nessuno in questo grande mondo che mi possa aiutare? Ho attraversato alti e bassi per raggiungere questo traguardo, ho lavorato giorno e notte e fatto moltissimi sacrifici».
L’eco era stato enorme. E la risposta è arrivata. L’aiuto c’è stato. «Quello che è successo è una storia pazzesca, un segno di resilienza dello sport paralimpico ed è, soprattutto, una gioia immensa» fa sapere il presidente del Comitato italiano paralimpico, Luca Pancalli. «Riempie di gioia anche il fatto che Zakia e Hossain potranno gareggiare e questo anche grazie al fatto che siamo riusciti, con il nostro peso nel mondo, a smuovere questa situazione».
«Apprendere che Zakia e Hossain sono arrivati nel villaggio paralimpico è veramente già una grandissima vittoria per tutti. Che poi Zakia sia la prima donna afghana paralimpica a partecipare nel taekwondo è una grande gioia per il nostro sport» rilancia il presidente della Federazione italiana taekwondo, Angelo Cito. «È veramente una vittoria per tutto il movimento olimpico e paralimpico e per tutto quello che le ragazze afghane stanno attraversando in questo momento» aggiunge Cito, tra i primi a mobilitarsi per la causa dei due atleti afghani.
Gli fa eco Vito Dell’Aquila, medaglia d’oro italiana alle Olimpiadi proprio nel taekwondo: «Sono troppo contento che siano riusciti a portarli fuori da Kabul e ora spero che la mia collega Zakia possa finalmente realizzazione il suo sogno di gareggiare alle Paralimpiadi. Ma spero anche che tantissime altre ragazze riescano a salvarsi da quella bruttissima situazione».