Nel corso del convegno del 7 e 8 giugno a Roma, presentati i risultati del Progetto sperimentale nazionale di giustizia riparativa. Un progetto che ha coinvolto otto Caritas diocesane, attive nei rispettivi territori a promuovere percorsi di riconciliazione nelle carceri, nelle scuole, nelle comunità
Vatican News
“Se la giustizia riparativa è un paradigma, lo dobbiamo diffondere in tutte le azioni che la Caritas porta avanti”. Così don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, fa il punto della situazione rispetto all’impegno nell’ambito della giustizia riparativa (o restorativa). L’occasione è data dal convegno che si è tenuto a Roma il 7 e l’8 giugno. Il Progetto sperimentale di giustizia riparativa promosso da Caritas Italiana in collaborazione con PiscoIus, Scuola romana di psicologia giuridica, ha coinvolto otto Caritas diocesane di tutto il Paese – Agrigento, Ancona, Cerignola, Cuneo-Fossano, Milano (in particolare la zona di Lecco), Napoli, Prato, Verona – e ha avuto gli obiettivi d far conoscere la Giustizia riparativa, divulgare e sperimentare il paradigma e al tempo stesso testimoniare la fattibilità di un percorso dove Caritas può essere protagonista nel produrre cambiamenti coinvolgendo la comunità.
Effetto di un processo tra persone e comunità
“La giustizia riparativa è un paradigma”, sottolinea Patrizia Patrizi, ordinaria di Psicologia giuridica e pratiche di giustizia riparativa presso l’Università di Sassari, presidente dell’European Forum for Restorative Justice. “Dobbiamo ripeterlo – continua – perché il cambiamento è difficile. Non è un modello e non è limitato a un sistema penale: se lavoriamo con le comunità riusciamo ad adottare il cambiamento”. “Non bisogna – ricorda Andrea Molteni, sociologo di Caritas Ambrosiana – cadere nella trappola della delega riparativa da parte di un sapere esperto. La riparazione non è un effetto degli esperti, ma l’effetto di un processo fra persone e comunità”.
Impegno delle persone
Il Convegno ha visto anche l’intervento di Maria Costanza Cipullo, referente per l’educazione alla salute, alla legalità e all’educazione finanziaria del Ministero dell’Istruzione e del Merito («Bisogna sensibilizzare sempre più e formare docenti. La prima cosa che un docente deve fare è gestire la mediazione, saper ascoltare, essere una guida») e dell’ex magistrato Gherardo Colombo, presente con un videomessaggio: “Il futuro della giustizia riparativa dipende dall’impegno che le persone ci mettono e prima ancora dalla pratica, perché non è semplice e coinvolge le emozioni”.
Gli spunti dalle diocesi
Molti gli spunti dalle otto realtà diocesane coinvolte. Da Cerignola-Ascoli Satriano spiegano: “Siamo partiti dalle scuole. Dopo il terzo incontro una docente ci ha detto che aveva applicato alcuni nostri suggerimenti e avevano funzionato. Abbiamo incontrato assistenti sociali e avvocati. Poi ragazzi e ragazze del centro educativo. Obiettivo: coinvolgere la comunità tutta”. Dalla diocesi di Ancona-Osimo invece si sottolinea: “Abbiamo diffuso, sensibilizzato, proposto film sul tema del carcere, evento al quale la cittadinanza ha risposto bene. Incontri pubblici con protagonisti di percorsi di riconciliazione”. Ancora, Verona: “Abbiamo iniziato a lavorare con le scuole superiori e quest’anno anche con una quinta elementare. Siamo entrati nelle carceri e abbiamo sempre ascoltato prima di parlare perché volevamo capire bene”. E da Milano “con operatori e cittadini volontari” è stato “proposto delle storie nelle scuole, così gli studenti hanno potuto ragionare attorno al conflitto”.
Dalla diocesi di Prato l’idea iniziale era di “partire lentamente, ma le parrocchie sono aumentate da cinque a nove. Per noi un successo. Alla fine, una parrocchia ci ha detto: ‘Noi ora stiamo meglio perché qualcuno ci ha dato uno spazio di parola’”. A Fossano, invece, “sono state contattate persone appartenenti a realtà molto diverse, a cui ha fatto seguito un bel passaparola. Diversi gli incontri di sensibilizzazione che abbiamo promosso”. A Napoli si è “lavorato più con i ragazzi studenti che con gli insegnanti. Tutti i nostri incontri, non solo nelle scuole, sono stati caratterizzati dall’impegno di abbattere il muro di indifferenza”. Iniziali resistenze, invece, ad Agrigento: “Ci siamo demoralizzati, ma senza mai perdere l’entusiasmo. Poi è arrivato il cambiamento: da una comunità che non riusciva a mettersi in ascolto a una comunità aperta al dialogo”.
Gli ospiti
Importanti nella giornata di sabato le sessioni parallele di lavoro e i contributi di Gianluigi Lepri e Lucrezia Perella, del Team delle pratiche di giustizia riparativa dell’Università di Sassari (“Cerchiamo di portare avanti una trasformazione interiore…”), Micaela Furiosi de “L’Innominato”, tavolo lecchese della giustizia restorativa (“Un gruppo di cittadini che ha provato a conoscere una giustizia gentile perché non parte dall’alto, perché attenta alle relazioni, perché attende i tempi delle persone, che devono essere preparate a quell’incontro…”). A tracciare alcune sottolineature finali e delineare le prospettive per il lavoro che ci attende (con un invito alla creatività e a sognare “città riparative”) è stata Cinzia Neglia, referente per Caritas Italiana dell’ambito Giusti