Giubileo e indulgenze, dall’uomo medievale all’uomo moderno

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Su L’Osservatore Romano l’evoluzione del percorso penitenziale nella Chiesa, dagli albori della pratica della confessione a Lutero e fino al magistero attuale

di Federico Corrubolo

Per capire bene cosa si intende per indulgenza, bisogna fare un passo indietro. Nella Chiesa antica non ci si confessava come facciamo oggi. Il perdono dei peccati era un “fatto sociale”: ci si dichiarava peccatori (senza scendere nei particolari, che tanto non serviva), si entrava in un gruppo (una vera “comunità di ricupero”), e si faceva un percorso penitenziale che poteva durare vari mesi ed anche anni a seconda della gravità del peccato. Perciò, prima si faceva la penitenza e solo alla fine (in genere la mattina del Giovedì Santo) ci si presentava al vescovo che imponeva le mani e dava l’assoluzione dai peccati. La sequenza era quindi: prima la confessione, poi la penitenza e alla fine l’assoluzione.

Era comunque una faccenda lunga, che richiedeva tempo e che imponeva molti sacrifici. Era un percorso che si poteva fare poche volte nella vita, e riguardava peccati gravi (furti, omicidi, ecc….): prima di iniziarlo ci si pensava bene, e di solito si faceva nella vecchiaia (quando anche la capacità di peccare diminuiva).

 Nel medioevo la vita cristiana continuò nei monasteri, e lì la situazione era molto diversa. Vivendo in piccole comunità isolate si commettevano continuamente molti peccati non gravi, e non si poteva fare penitenze di mesi ed anni per ogni piccola mancanza… oltretutto i vescovi si incontravano molto raramente.

Si cominciò a diffondere l’uso di confessare i peccati all’abate del monastero, che dava subito l’assoluzione e dopo assegnava la penitenza, come facciamo ancor oggi.

 In questo nuovo sistema nasce la distinzione fra colpa (eliminata dalla confessione) e pena (da scontare dopo aver avuto il perdono per riparare il peccato). Siccome il sistema antico non era stato abolito, la durata della penitenza era sempre calcolata in giorni, mesi ed anni. Nei monasteri esistevano addirittura appositi “tariffari” (i libri penitenziali) che prescrivevano la durata della penitenza per quasi tutti i peccati possibili.

Tuttavia, in particolari occasioni (feste importanti, eventi eccezionali), un bravo penitente poteva ottenere uno “sconto di pena”. In cambio di qualche opera buona in più, venivano tolti vari giorni, mesi o anni di penitenza. Questa “offerta speciale” prendeva il nome di indulgenza, ed era spesso molto conveniente; perciò, i bravi cristiani non se la lasciavano scappare.

 Fu in occasione di una mission impossible, cioè la riconquista di Gerusalemme invasa dagli arabi che nel 1096 Papa Urbano ii, considerato l’altissimo rischio di questa impresa, fece per la prima volta un’offerta mai vista prima: il condono totale della pena a chi partiva per liberare la Città santa.

Questa fu la prima indulgenza plenaria. Da allora fu sempre più spesso il Papa, come Vicario di Cristo e successore di san Pietro ad usare “il potere delle chiavi” ricevuto da Gesù per aprire il tesoro delle indulgenze, sostituendo direttamente il valore infinito della Redenzione ai giorni, mesi ed anni delle penitenze antiche: un “ufficio di cambio”  richiestissimo per buona parte del medioevo.

 L’uomo medievale aveva un rapporto immediato, intuitivo con Dio: credeva nella sua misericordia, ma ne temeva la giustizia, perché pensava al rapporto con Lui in modo per l’appunto “medievale”, cioè come un patto feudale tra suddito e re. Si metteva letteralmente nelle Sue mani (il gesto del pregare “a mani giunte” proviene dalle cerimonie feudali) e prometteva di obbedire alle Sue leggi; in cambio riceveva difesa, aiuto e protezione contro le insidie del demonio.

 Trasgredire la legge di Dio era considerato un affronto gravissimo al re il quale, togliendo la sua protezione esponeva il trasgressore alla dannazione. Di qui l’ansia per tornare “in grazia di Dio”, contraendo un nuovo patto feudale e così “reinstallare l’antivirus” contro il demonio.

 Quando Bonifacio viii nel 1300 indisse il primo giubileo promettendo a tutti l’indulgenza plenaria in cambio di soli trenta giorni di preghiere a Roma, la città fu invasa da un esercito di pellegrini. Da allora “indulgenza” e “Giubileo” sono un’accoppiata di successo…

 Nei secoli successivi l’ansia della salvezza non si calmò, il che suscitò un approfondimento della dottrina già nota, secondo la quale un’opera buona può abbreviare il tempo della penitenza. In nome della comunione dei santi, cioè del legame che unisce tutti i battezzati nell’unico Corpo mistico di Cristo, si dedusse che lo sconto di pena poteva applicarsi a tutti i cristiani, sia vivi che defunti.

La fame di indulgenze si mantenne viva per altri secoli nel popolo cristiano.

 Fu con l’uscita dall’economia agricola tipica del medioevo e l’ingresso in quella monetaria tipica dell’età moderna che anche le indulgenze entrarono nei mercati.

La ricchezza del medioevo era data dalla terra che garantiva sostentamento e quindi autonomia; la ricchezza della modernità è il denaro, che permette di comprare al mercato ciò che prima si otteneva dalla terra. Nella società civile si iniziarono a vendere cariche pubbliche, titoli nobiliari, magistrature… Nella Chiesa cardinalati, abbazie, diocesi.  I mercanti più ricchi prestarono denaro anche a re, imperatori, papi, vescovi.

 Un vescovo tedesco ventiseienne si è indebitato con una grossa banca per comprare una grossa diocesi. Ha fatto il passo più lungo della gamba e per rientrare dal debito deve batter cassa in tempi rapidi. Per lo stesso motivo anche il Papa ha bisogno di soldi: deve continuare a costruire la basilica di san Pietro. Entrambi usano lo stesso sistema: una campagna di predicazione per ottenere l’indulgenza plenaria. Solo che ora l’opera buona da compiere non è più riconquistare Gerusalemme, ma solo una modica offerta in denaro. L’ansia di salvezza è sempre molto alta, solo che adesso entra brutalmente nella logica di mercato, con tanto di slogans pubblicitari: Wenn die Münze klingt, die Seele springt! (“Quando la moneta suona, l’anima salta in Paradiso”).

Il vescovo fa predicare l’indulgenza del Papa nella sua diocesi e trattiene per sé una percentuale sulle offerte. Il gettito è alto, favorito dall’ambiguità della proposta (oggi la chiamiamo “pubblicità ingannevole”), ma a un certo punto il gioco si inceppa.

 Un giovane agostiniano, professore di Sacra Scrittura che si chiama Martin Luther mette il dito sulla piaga: se non c’è la conversione del cuore è inutile svenarsi a comprar certificati papali!

 L’uomo è cambiato, e cambia anche il suo rapporto con Dio: l’uomo moderno non è più suddito di un patto feudale, ma un individuo dalla coscienza tormentata, alla ricerca della verità, insofferente verso tutte le mistificazioni. Con Dio vuole un rapporto sincero e libero, non levarsi il pensiero pagando la bolletta. Quando invita i suoi colleghi a discuterne, il programma della discussione gli scappa di mano e invade tutta la Germania, riscuotendo enorme successo.

L’indulgenza, da aiuto per la conversione diventa sinonimo di infamia e detonatore di una protesta che esplode in tutta Europa: e tale è rimasto per molte coscienze, ancor oggi scandalizzate dalla gravità di quanto accaduto cinque secoli fa.

 Cerchiamo di rimettere ordine: cosa dice oggi la Chiesa sulla dottrina delle indulgenze?  Cominciamo col dire cosa non è più valido: i giorni, mesi e gli anni di “sconto della pena” sono stati aboliti da Paolo vi nel 1967. L’indulgenza oggi può essere solo parziale o plenaria, ed è molto limitata rispetto al passato. Queste qualità non sono poi la cosa più importante: oggi si predica soprattutto la dottrina spirituale che ci sta dietro: la dottrina dei residui del peccato.

 Dopo la confessione il peccato è eliminato, ma resta la nostalgia del sapore del peccato. Il male mantiene la sua attrattiva, continua a tentarci, ci rende deboli, ci fa ricadere sempre negli stessi peccati. Chiunque “fa sul serio” col Signore, sa bene che non ci si può illudere che basti una confessione per farla finita col peccato. Se avessimo fede certamente sarebbe così, ma la nostra debolezza è tale che purtroppo non basta. Anche il corpo, dopo una malattia grave ha bisogno di una lunga convalescenza prima di guarire del tutto. L’attrattiva del peccato, i suoi residui diventano un ingombro per chi vuol camminare speditamente nella volontà di Dio.

La pena del peccato è proprio questa lunga convalescenza  che ci impedisce di correre speditamente verso l’amore di Dio per noi.

 La Chiesa allora, per venire incontro a chi desidera guarire più in fretta indica alcune opere buone sicuramente utili per guarire prima: in realtà sono sempre le solite. Si chiede infatti di rafforzare la comunione con Cristo nei sacramenti, con la fede della Chiesa (recita del Credo e preghiera per il Papa) e con i fratelli (opere di carità). Quando a queste opere viene assegnata una indulgenza (parziale o plenaria) noi crediamo per fede che l’attrazione per il peccato diminuisce e si accresce invece in modo particolarmente intenso la carità e la santità. Le scorie del peccato sono eliminate e si guarisce più velocemente di prima.

Ecco perché oggi come allora, un bravo cristiano non si lascia scappare questa “offerta speciale”!