Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Il cielo era plumbeo il 1° maggio del 2011, con poche velature bianche, ma era forte la calura. Il mondo, che ancora non poteva lontanamente prefigurare la pandemia che sarebbe arrivata dieci anni dopo, si era riversato a Roma per celebrare la beatificazione di Giovanni Paolo II. L’evento dell’anno per la Chiesa universale: il Papa polacco, il “gigante della fede”, saliva agli onori degli altari, esaudendo il desiderio delle decine di migliaia di fedeli, che il giorno del funerale, l’8 aprile 2005, in una piazza San Pietro gremita, avevano gridato “Santo subito!”,, accompagnando l’urlo con numerosi striscioni. Un’invocazione che ormai non era più una richiesta, bensì una certezza.
Il volto del nuovo Beato
Un boato spontaneo, accompagnato da applausi e lacrime inquadrate sui maxischermi, aveva accolto, quel giorno di maggio del 2011, lo svelamento dell’arazzo con l’effige del nuovo Beato, tratta da un’immagine del Pontefice di Wadowice del 1995. Svettava dalla Loggia delle Benedizioni, luogo dove quasi tre decenni addietro quel vescovo dal nome complesso, che qualcuno – come si racconta – in un primo momento pensò fosse di origine africana, si presentava al mondo e lo conquistava con la semplice frase: “Se sbaglio, mi corrigerete”.
Un fiume di giovani dai cinque continenti a Roma
La data scelta per la beatificazione dall’allora Papa Benedetto XVI era il primo giorno di maggio, inizio del mese mariano, festa di San Giuseppe lavoratore. Una fortunata coincidenza per la memoria di Wojtyla, operaio in fabbriche e miniere prima della vocazione religiosa. La festa era, però, iniziata molto prima. I cinque continenti – e non c’è retorica nell’usare questa espressione – si erano ritrovati nella Città Eterna già dall’ultima settimana di aprile. Erano soprattutto giovani, così tanti da far rivivere nelle vie dell’Urbe i ricordi e i fotogrammi della Giornata Mondiale della Gioventù durante il Grande Giubileo del 2000. Gli stessi ragazzi e ragazze che a quella Gmg avevano partecipato in prima persona, erano giunti a Roma – mettendosi in cammino dall’Australia, dall’Indonesia, dal Camerun o dalla Costa Rica – per dire grazie a un Papa che proprio a loro aveva rivolto gli appelli più appassionati e vigorosi. A cominciare da quel “Non abbiate paura, spalancate le porte a Cristo” che campeggiava su stendardi, striscioni, frontoni delle parrocchie romane.
La “notte bianca” nelle parrocchie di Roma
Rispolverati cappelli e sacchi a pelo di undici anni prima, il fiume di pellegrini di ogni lingua e nazionalità, sfidando la pioggia e il fango del terreno, si era sistemato la sera del 30 aprile al Circo Massimo per la veglia di preghiera organizzata dalla diocesi di Roma e presieduta dall allora cardinale vicario Agostino Vallini, intervallata dalle testimonianze di chi il pontificato di Giovanni Paolo II lo aveva vissuto da protagonista, come il cardinale Stanislaw Dziwisz o il portavoce Joaquin Navarro-Valls, o della suora miracolata, Marie Simone-Pierre. Insieme ai loro ricordi, anche canti, preghiere del Rosario, spezzoni di filmati. I numerosi gruppi si erano poi trasferiti nelle otto parrocchie del centro della Capitale aperte fino alle 5 del mattino per catechesi, confessioni e adorazione del Santissimo. Molti avevano invece preferito assieparsi nella zona di piazza San Pietro, occupando gli spazi fino a Castel Sant’Angelo e alcune vie del quartiere Prati, per la celebrazione del giorno successivo con il Papa. Scelta previdente ma già tardiva visto che via della Conciliazione, da quarantott’ore, era satura e impraticabile.
Via della Conciliazione, un mosaico cangiante di volti e bandiere
Presidii delle forze dell’ordine, transenne, tribune per i giornalisti, tende da campeggio, seggiole e lettini improvvisati, nugoli di suore e intere famiglie con i bambini, anche nei passeggini, accovacciati sulle panche in travertino romano, impedivano il passaggio. Visto dall’alto il lungo vialone che delinea idealmente il confine tra Stato Italiano e Città del Vaticano, assomigliava ad un mosaico cangiante di colori, bandiere, volti di ogni tipo: indiani, slavi, europei, nordafricani. Quasi due milioni, si disse allora, furono i presenti, quattrocentomila dei quali polacchi, conterranei del Beato, venuti da Cracovia, Varsavia, Danzica, Wadowice. I pellegrini avevano preso d’assalto nei giorni precedenti i bar e le botteghe artigiane della zona di Borgo Pio che, per l’occasione, esibirono statue a grandezza naturale del Papa beato o gigantografie del suo volto, attirando l’attenzione di coloro in quell’epoca di cambiamenti tecnologici sperimentarono il significato del “selfie”.
Alazraki: “Il mondo era venuto a dire grazie al Papa”
Scene “indimenticabili”, come ricorda Valentina Alazraki, vaticanista di lungo corso dell’emittente messicana Televisa che ha seguito Wojtyla nei suoi 104 viaggi per il mondo e che ha collaborato per la causa di beatificazione: “Sono arrivata a San Pietro intorno alle 3 del mattino ed era già tutto pieno. Quello che mi colpì moltissimo furono i colori delle bandiere perché c’erano persone da tutte le parti del mondo venute a ringraziare il Papa che aveva visitato i loro Paesi”.
“Credo che la beatificazione – prosegue Alazraki – sia stato un riconoscimento della santità dell’uomo che non è iniziata da quando era Papa. Sono stata testimone della causa di beatificazione e la cosa che più mi ha colpito, leggendo oltre 100 testimonianze, è che tutte le persone interpellate parlavano di tratti comuni sulla sua santità che andavano da quando Wojtyla era giovanissimo, fino all’ultimo giorno della sua vita. La sua fede, la sua maniera di pregare che chi l’ha vissuta è qualcosa di assolutamente indimenticabile, ma anche la testimonianza durante il periodo della sofferenza. Quel darsi fino alla fine… Anche due-tre giorni prima di morire si è affacciato, nonostante le cannule della tracheotomia, senza riuscire neppure a parlare, senza poter quasi neanche dare la benedizione, ma con un esempio di fortezza straordinario. Quell’immagine penso sia stata nel cuore di tutti quelli che hanno assistito alla beatificazione”.
Sul Colonnato del Bernini il racconto di un pontificato
Il ritratto di un Wojtyla dolente, aggrappato al crocifisso, era forse quella che maggiormente catturava l’attenzione tra la serie di fotografie disposte sul colonnato del Bernini, quasi a voler raccontare visivamente di un pontificato lungo ventisette anni, iniziato il 16 ottobre del 1978. La maggior parte delle foto erano state scattate da Arturo Mari, tra le persone più vicine a Papa Wojtyla, che oggi si definisce suo “figlio” e “fratello”. La beatificazione, dice Mari, “per la Chiesa è stato un segno dovuto per il suo operato, per me è stato l’ossequio a un santo. Per come l’ho conosciuto, per quello che ho potuto vedere, toccare con mano, vivere e che è difficile anche raccontare, è stato davvero un Santo vivente in terra”.
L’omelia di Benedetto XVI: “Il profumo della santità di Giovanni Paolo II”
E di “profumo di santità” parlò Papa Benedetto nella sua intensa omelia, rievocando i funerali da lui celebrati sei anni prima, con il vento che soffiava forte sfogliando le pagine aperte dell’Evangeliario poggiato sulla nuda bara lignea.
Sei anni or sono ci trovavamo in questa Piazza per celebrare i funerali del Papa Giovanni Paolo II. Profondo era il dolore per la perdita, ma più grande ancora era il senso di una immensa grazia che avvolgeva Roma e il mondo intero: la grazia che era come il frutto dell’intera vita del mio amato Predecessore, e specialmente della sua testimonianza nella sofferenza. Già in quel giorno noi sentivamo aleggiare il profumo della sua santità, e il Popolo di Dio ha manifestato in molti modi la sua venerazione per Lui. Per questo ho voluto che, nel doveroso rispetto della normativa della Chiesa, la sua causa di beatificazione potesse procedere con discreta celerità. Ed ecco che il giorno atteso è arrivato; è arrivato presto, perché così è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è beato!
“Santo Padre, ci benedica!”
“Il mio servizio”, disse ancora Papa Benedetto, interrotto a più riprese da fragorosi applausi, condividendo la sua esperienza di stretto collaboratore del Pontefice Beato, “è stato sostenuto dalla sua profondità spirituale, dalla ricchezza delle sue intuizioni’”.
L’esempio della sua preghiera mi ha sempre colpito ed edificato: egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle molteplici incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza nella sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una “roccia”, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno. Così egli ha realizzato in modo straordinario la vocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e offre nella Chiesa. Beato te, amato Papa Giovanni Paolo II, perché hai creduto! Continua – ti preghiamo – a sostenere dal Cielo la fede del Popolo di Dio. Tante volte ci hai benedetto in questa Piazza dal Palazzo! Oggi, ti preghiamo: Santo Padre ci benedica! Amen