L’Osservatore Romano
I bacini idrici nei pressi del complesso minerario di Negaunee, nel Michigan, Stati Uniti d’America, sembrano ribollire di lava: la colorazione dell’acqua oscilla infatti tra il rosso acceso e il marrone a causa degli scarti della produzione di minerali di ferro riversati nei fiumi. Scoperte nella metà dell’800, le miniere della zona sono presto diventate una delle fonti più produttive degli Stati Uniti in un’epoca in cui l’accelerazione urbanistica e l’estensione della rete ferroviaria richiedevano grandi quantità di ferro. Nell’area sono attualmente presenti due miniere con una capacità complessiva di quasi 12 milioni di tonnellate di minerali ferrosi prodotti ogni anno.
L’impatto delle attività umane
Qui, come altrove nel mondo, le ricadute delle attività estrattive sulle riserve idriche sono evidenti: basti pensare, ad esempio, all’utilizzo di mercurio e cianuro comunemente usati per l’estrazione dell’oro. Queste attività antropiche finiscono così per impattare pesantemente sulle riserve di acqua dolce in un’epoca in cui, a fronte di una costante crescita demografica, l’accesso all’acqua appare sempre più minacciato da siccità.
Il rischio di mancato accesso all’acqua pulita
Secondo un recente rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, entro il 2050 la domanda di acqua dovrebbe crescere del 55%. A fronte di questo aumento, avverte l’OCSE, 240 milioni di persone rischiano di non avere accesso all’acqua pulita. Preoccupazioni confermate dal programma ambiente delle Nazioni Unite secondo cui, già oggi, un terzo di tutti i fiumi presenti in Asia, Africa e America Latina è contaminato da agenti patogeni.