Sono seimila i minori arruolati in tutto il mondo ogni anno per combattere in milizie irregolari e regolari, vittime di droghe e abusi di ogni tipo. Una tragedia più volta denunciata da Papa Francesco. Simoncelli di Archivio Disarmo: le Nazioni Unite cercano di recuperarne quanti più possibile, ma il reinserimento rimane un ostacolo difficile da superare
Michele Raviart – Città del Vaticano
Quella dei “tanti bambini strappati alle famiglie a alla scuola per essere usati come soldati” è “una tragedia”. Lo ricordò Papa Francesco all’Angelus del 19 febbraio del 2017, parlando delle violenze in Repubblica Democratica del Congo. Francesco è poi tornato spesso a parlare di questo “crimine abominevole”, l’ultima volta nella conferenza stampa con i giornalisti di ritorno proprio dal Paese africano – dove questo fenomeno è particolarmente diffuso – visitato insieme al Sud Sudan la scorsa settimana. “I ragazzini sono reclutati per fare parte della milizia e combattere con altri ragazzini”, ha affermato, ricordando come questo sia un effetto diabolico della vendita delle armi, che distruggono la persona, la società e il creato.
L’Onu: una violenza insopportabile
Le Nazioni Unite condannano questo fenomeno, che coinvolge almeno 18 Paesi nel mondo e hanno istituto, per ogni 12 febbraio, una giornata internazionale proprio per ricordare questo abominio. “I bambini di tutto il mondo continuano a essere colpiti in modo sproporzionato dai conflitti armati” si legge in una dichiarazione congiunta Onu-Unione europea rilasciata in occasione della giornata, “e sono costretti a subire livelli di violenza insopportabili, vengono privati della loro infanzia e del diritto all’istruzione e rimangono con profonde cicatrici fisiche e psicologiche che durano tutta la vita”.
Oltre seimila i minori arruolati nel 2021
Secondo gli ultimi dati Onu disponibili, sono almeno seimila i minori arruolati ed utilizzati nelle guerre nel mondo, alcuni dei quali hanno solo sei anni. Uno dei Paesi più coinvolti è la Somalia, dove 1200 bambini sono stati rapiti e impiegati dai miliziani di al-Shabab e in alcuni casi anche da esercito e polizia. Tra gli altri Stati: Afghanistan, Colombia, Repubblica Centrafricana, Iraq, Mali, Nigeria, Sudan, Siria e Yemen. Proprio nello Stato della penisola arabica, in guerra da anni, i minori tra i 10 e 17 anni reclutati dai ribelli Houti e morti in combattimento tra il gennaio 2020 e il maggio 2021 sono duemila. Ottomila in tutto il mondo, con circa 3500 episodi di rapimento e 1300 casi di violenza sessuale.
I reclutamenti nei villaggi e nei campi profughi
“Di solito il reclutamento avviene secondo due principali modalità”, spiega Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo, cha ha svolto numerosi studi sull’argomento. “Da un lato – spiega – c’è il rapimento diretto nei villaggi e nelle scuole ad opera delle milizie, nella maggioranza dei casi si tratta di forze armate irregolari ma ci sono episodi anche in quelle regolari, dall’altro si va nei campi profughi, dove i bambini spesso sono isolati, senza punti di riferimento, senza famiglia e a volte l’idea di entrare a far parte di un gruppo armato può dare un nuovo senso di protezione, anche se poi questi bambini vengono usati per compiti pericolosissimi e le bambine vengono usate anche come schiave sessuali”.
Il dramma del reinserimento
Quello che può fare la comunità internazionale, sottolinea Simoncelli, “è sostenere l’impegno delle Nazioni Unite, che stanno cercando da anni di recuperare questi bambini soldato coinvolgendo le forze armate per rilasciarli. La buona notizia è che, nel 2021, 12.200 bambini sono stati rilasciati, anche se poi rimane un problema su cui purtroppo rimane molto da fare che è quello del reinserimento”. “Psicologicamente – conclude – non è facile reinserire dei bambini che hanno passato metà della loro vita a combattere e uccidere”.