Giornata della pace: la politica metta sempre al centro la dignità della persona

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Michele Raviart – Città del Vaticano

“Nessuno può salvarsi da solo”. Il monito di Papa Francesco durante la pandemia di coronavirus è al centro anche del messaggio per la Giornata mondiale della pace che si celebra oggi. A tre anni dall’apparizione del Covid-19 il mondo è cambiato e se da un lato si è spesso riscoperto un rinnovato senso di solidarietà, scrive il Papa, dall’altro “nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità”. “La guerra in Ucraina”, che “miete vittime innocenti e diffonde incertezza”, anche a chi a migliaia di chilometri ne soffre gli effetti indiretti, come l’approvvigionamento del grano e i prezzi del carburante.

Nessun vaccino per la guerra

“Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate”, sottolinea il Pontefice, che chiede l’impegno di tutti a essere artigiani di pace. Un appello rilanciato pure durante la Messa della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nel successivo Angelus. Ciò che è necessario per raggiungere l’obiettivo indicato dal Papa, spiega professor Giulio Alfano, delegato alla Pontificia Università Lateranense per il ciclo di studi in Scienze della pace e cooperazione internazionale, istituito proprio dal Pontefice nel 2018 è un ripensamento delle priorità della società contemporanea.

Ascolta l’intervista a Giulio Alfano

Professore, cosa emerge dalle riflessioni del Papa?

Papa Francesco richiama l’attenzione proprio sul concetto di pace. La pace non è composta di tecnica, ma di principi sui quali si deve costruire un edificio della convivenza tra culture, esperienze, religioni, educazione. Il Santo Padre attraverso queste riflessioni, per esempio quando dice che non c’è un vaccino per la guerra, ci fa venire in mente come la scienza, essendo una materia tecnicamente esatta può produrre un vaccino per le malattie, ma per l’uomo la patologia più grave che vediamo è oggi ancora proprio la permanenza della guerra. Appare quindi evidente l’emergenza e il bisogno di tre unità, che gli ultimi pontificati di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e attualmente ancora di più di Francesco hanno richiamato. Innanzitutto l’unità di tutte le nazioni del mondo per l’effettivo ripudio della guerra. Ripudiare la guerra non significa solo rifiutare – si rifiuta qualcosa che viene offerto –, ma si ripudia qualcosa che non si prende assolutamente in considerazione. C’è poi l’unità per la comprensione, il confronto e la possibile coesistenza di tutte le religioni del mondo. Il Santo Padre si rivolge anche a questo, con fini spirituali, ma anche con il conseguente superamento di ogni fondamentalismo. Basterebbe scorrere la bellissima enciclica Fratelli Tutti.  Poi c’è bisogno dell’unità del diritto, secondo i principi fondamentali delle diverse costituzioni, con il rifiuto di leggi che contrastano con i principi fondamentali della dignità della persona.

In questo senso come si educa alla pace? 

L’emergenza della pace appare veramente come un percorso educativo. Non deve essere una generosa utopia, ma una prassi anche mediante il dialogo e il confronto. La scelta della Pace proprio come istituzione principe significa che le chiese non siano più finalizzate alle guerre di religione, ma alla pacificazione; che la scuola non sia più strumento di discriminazione tra gli uomini, ma servizio per la crescita culturale comune; che proprio la politica oggi non si serva di strumenti finalizzati alla contrapposizione per la conquista dell’egemonia e del potere, ma realizzi dei dispositivi di reale comunicazione per un mondo libero dalle guerre e naturalmente dalle tirannidi. Poi l’organizzazione economica non deve essere finalizzata all’accumulazione, al monopolio delle risorse, ma al loro impiego per uno sviluppo armonico. Non ci siano più sacche di sottosviluppo e non ci siano rivalità economiche tra i popoli. Il Santo Padre ricorda sempre che si è liberi quando non c’è un’oppressione e quando c’è un’emergenza economica l’uomo non è più libero. Da questo nascono proprio le guerre. È necessario abbandonare il concetto di politica come rapporto di forza. La politica va intesa come arte della comunicazione e realizzare quello che è prezioso nell’uomo e per l’uomo. Dobbiamo un po’ cambiare il nostro modo di vivere nelle moderne società.

A differenza del Covid, scrive il Papa, la guerra è guidata da scelte umane consapevoli e proviene dall’interno del cuore umano corrotto dal peccato. Come si può intervenire su questo?

Si può intervenire sempre attraverso l’educazione, ponendo al centro della cultura della pace – proprio dopo questa fase così inaspettata e così drammatica che è stata la pandemia – quella che si può chiamare “l’extraterritorialità della coscienza”, cioè andare oltre le divisioni etniche e religiose attraverso, torno a ripetere, il dialogo e il confronto, perché la concezione cristiana dell’uomo va costruita sul principio di solidarietà. Se manca la solidarietà, la scienza, l’etica, la politica diventano l’astrazione. Ogni uomo ha una coscienza. Ecco perché Il Santo Padre porta sempre il discorso sul confronto e sulle differenze. Bisogna abituare i giovani a capire che le differenze non sono delle diminutio, ma sono degli arricchimenti. Il confronto, il dialogo, il capire l’altro purtroppo oggi avviene sempre meno anche perché la tecnologizzazione dei rapporti ha un po’ più individualizzato il nostro modo di vivere. C’entra in tutto questo anche una riflessione su che cosa sia l’idea di progresso oggi, che non è solo il progresso economico, ma è la promozione dell’uomo, della dignità dell’uomo.

All’Urbi et orbi il Papa si è anche soffermato sul rischio di carestia per le persone che non sono direttamente coinvolte in paesi in guerra, ma che ne subiscono le conseguenze. Come si affrontano queste che sono ormai crisi globali?

Queste crisi hanno un impatto fortissimo anche sulle persone che direttamente non sono coinvolte, per motivi collaterali e non solo dal punto di vista economico, ma anche attraverso una sempre maggiore diffusa presenza della paura. L’emergenza della pandemia l’ha fatta ritornare di grande attualità, ma anche l’idea della guerra, che per molti anni non era così diffusamente presente come oggi. Il Papa parla di “guerra mondiale a pezzi”, perché se mettiamo insieme tutti i processi bellici in corso questi costituiscono una sorta di guerra mondiale. Nella Laudato Si’ Francesco sottolinea proprio la necessità di fare appello ai diversi saperi, anche a quello economico per una visione più integrale e integrante. Forti nella carità, non nel senso solo liturgico, ma proprio come un’esperienza di vita di incontro con l’altro. Non costruire qualcosa sulle popolazioni interessate, ma con le popolazioni interessate. Il Papa ricorda sempre la necessità di superare le frontiere. Dialogare significa non solo capire le ragioni degli altri, ma acquisire le ricchezze degli altri dialogando e quindi riportare al centro il valore etico di quella che si chiama amicizia.