Michele Raviart – Rieti
“Ascoltare con l’orecchio del cuore”. Questo al centro del È un messaggio molto interessante. Seguendo da tanti anni i messaggi per la Giornata delle comunicazioni sociali, ne ho potuto sperimentare l’evoluzione, che 20 anni fa riguardava i “mezzi”, partendo dalla televisione, dalla radio, dalla stampa, fino ad arrivare al digitale. In questi ultimi anni invece l’attenzione è puntata soprattutto sulla persona che utilizza questi mezzi e sul fenomeno “comunicare”. Questo è importante per una Paolina che per carisma vuole, nell’occasione di questa Giornata, celebrare proprio la comunicazione come fatto sociale e culturale.
La prima parte del messaggio di Papa Francesco si sofferma sul concetto dell’ascolto inteso come il senso preferito da Dio per comunicare con l’uomo…
Certamente è il preferito anche da chi fa esperienza di vita consacrata perché la dimensione dell’ascolto sicuramente deve partire dal nostro ascolto interiore. Dio ci parla sì, ma anche noi dobbiamo metterci in ascolto di Lui e quindi un ascolto che parte dalla nostra consapevolezza, dalla nostra coscienza. Prima di renderci abilitati all’ascolto degli altri dobbiamo abilitarci ad ascoltare noi stessi, il nostro profondo. E da questa profondità del nostro essere metterci in corrispondenza con il progetto di Dio, il piano di Dio. Allora lì si diviene capaci di ascoltare gli altri che ci stanno intorno.
“Ascoltare gli altri” è poi uno dei punti della seconda parte del messaggio, quella più strettamente legata ai media, alla comunicazione. Ci sono due passaggi, “ascoltare come pratica del buon giornalismo” e l’altro, che fa riferimento ai social network sottolinea la differenza fra “ascoltare” ed origliare”…
È il passaggio del messaggio che ho sottolineato, perché dice che “c’è un uso dell’udito che non è un vero ascolto ma è origliare” e che “la mancanza di ascolto si sta profilando anche nella vita pubblica, dove invece di ascoltarsi spesso ci si parla addosso”. Questo è proprio il testo del messaggio. Questo parlarsi addosso questa incapacità di ascolto vero che diventa magari solo origliare per poter poi commentare e poter dire male – o forse anche dire bene – è un sintomo che nella vita pubblica si cerca il consenso più che l’ascolto vero delle altre persone, più che il vero bene. Si cerca magari la battuta a effetto, ma non si capiscono, non si ascoltano le vere ragioni dell’altro.
Un’altra parte riguarda l’ascolto all’interno della Chiesa e il riferimento in questo caso è alla sinodalità…
Certo, per esempio devo sottolineare l’incapacità di ascoltare profondamente le donne. Le donne hanno delle grandi aspirazioni, hanno anche delle grandi competenze, delle grandi esperienze, però le lasciamo in sagrestia, le lasciamo a servire il clero, non le mettiamo nella stanza dei bottoni dove potrebbero poter dire qualcosa, anche a Santa Madre Chiesa.
Lei ha seguito tutti i Festival della Comunicazione – siamo alla diciassettesima edizione – che quest’anno si è svolto a Rieti. Com’è andata?
A Rieti si è realizzato un “signor” Festival, perché qui ho trovato, e anche i miei confratelli lo possono confermare, una Chiesa molto viva, vivace e soprattutto molto attenta. Qui hanno vissuto il terremoto, hanno vissuto delle problematiche davvero molto grosse e hanno avuto la fortuna di avere un vescovo molto capace di ascoltare gli altri. Il messaggio del Papa il vescovo di Rieti lo ha già messo in pratica da anni. Poi i contenuti di questo Festival sono stati davvero molto adatti al territorio e hanno potuto aiutare a raggiungere quello scopo che noi avevamo all’origine, quando abbiamo deciso di istituire il festival della comunicazione. Correva l’anno 2006…
Dove si è svolto il primo festival? E quali sono le specifiche di questo di Rieti nell’intero percorso compiuto nel tempo?
Il primo festival lo abbiamo realizzato a Salerno in un territorio che ci sembrava un po’ povero e che invece abbiamo scoperto essere molto ricco anche di esperienze di ecclesialità. Qui a Rieti, c’è stata nella creazione degli eventi la possibilità proprio di ripercorrere alla grande quelle che sono le vie del comunicare e che noi ci proponiamo come apostoli della comunicazione, in quanto Paoline e Paolini. Il programma è stato orchestrato proprio sulle vie del comunicare la bellezza. La via della bellezza, la via dei linguaggi. Si sono utilizzati qui linguaggi che sono andati, dal convegno, al concerto, all’incontro con l’autismo a quello con i non vedenti, quindi un’inclusività che non fa che onore ad una Chiesa. È la via della conoscenza, che è stata anche appunto quela delle problematiche degli altri. Una conoscenza che nasce sempre dall’ascolto. Non ci possiamo poi dimenticare che la città di Rieti, anche nei dintorni, è ricca di bellezze, a partire dall’acqua che è una ricchezza naturale, a partire dall’ambiente – questa macchia mediterranea che è straordinaria – e quindi è tutto questo è entrato come sostanza nel Festival della comunicazione.
Come nasce l’idea del Festival della comunicazione?
Noi lavoravamo già nei nostri centri. Facevamo tante iniziative e incontri con gli autori attraverso le librerie, ma sentivamo come Paoline e Paolini l’esigenza di incontrare le persone nei territori dove non avevamo per esempio una nostra comunità, una nostra libreria, un nostro centro. Allora abbiamo avuto l’idea di questo Festival itinerante. Individuiamo un diocesi di media dimensione, indaghiamo se in questa diocesi c’è sensibilità alla comunicazione, se esiste già un ufficio della comunicazione – oggi c’è in quasi tutte le diocesi, ma 15-16-17 anni fa, era veramente problematico – poi si vede con il vescovo se c’è la possibilità di realizzare il Festival, si crea una commissione ad hoc e si incomincia a ragionare sulle possibilità di organizzare incontri e eventi. La scoperta che mi porto dietro da 17 anni è sempre la stessa, anche se rinnovata ogni anno: proponendo il Festival alle diocesi aiutiamo le diocesi e i membri della commissione e il vescovo, a mettere a fuoco delle risorse che non ricordavano di avere.
Quali sono i programmi per il prossimo anno? È stata già scelta la diocesi per il 2023?
Ci stiamo lavorando. Quest’anno in conseguenza della pandemia, siamo stati troppo lenti e non siamo potuto uscire per andare a incontrare i vescovi e le diocesi, quindi siamo un po’ indietro nella tabella di marcia. Stiamo lavorando su due o tre diocesi per portare a casa quella per il 2023. La nostra indagine sarà tale per cui avendo realizzato il festival nell’Italia centrale, punteremo probabilmente sull’Italia settentrionale. Perché abbiamo sempre fatto così: l’Italia è uno stivale lungo. Non abbiamo voluto trascurare né la Sicilia né Sardegna né le Puglie, né la Campania, né il Lazio. Abbiamo già un paio di idee, ma non le posso ancora dire. Confidiamo che il messaggio del 2023 sia un messaggio di grande apertura. Non sarà l’ascolto. ma magari sarà la parola.