Roberta Barbi – Città del Vaticano
Intraprendere un cammino sulla Profezia: è questo l’invito contenuto nel messaggio dei vescovi della Commissione episcopale per l’Ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana per la 33.ma Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei del 17 gennaio 2022. Un’occasione, fanno sapere i presuli, “per sottolineare il vincolo particolare che lega Chiesa e Israele” e che quest’anno si vuole dedicare a un tema particolare, visto il protrarsi dell’esperienza della pandemia mondiale.
Nella Lettera di Geremia esilio paragonato a “nuovo Esodo”
La proposta è quella di rileggere la Lettera agli esiliati, significativo passo del Libro del profeta Geremia in cui l’esilio di Israele tra i pagani, ben distante dalla “terra promessa” di Dio e dal tempio, ricorda la condizione del medesimo popolo durante l’Esodo. Da qui la missione che affida Dio al suo popolo: ripartire dalle cose semplici come le relazioni, la famiglia, il lavoro, per ricominciare, per “mettere radici”. Ma da queste indicazioni sul come vivere il tempo dell’esilio, scaturisce anche un’importante promessa per il futuro: abbandonarsi, lasciar andare il passato e il desiderio che tutto torni come prima.
I rischi dell’esilio come i rischi della pandemia
Sono fondamentalmente due i rischi che correva il popolo durante l’esilio, che in sostanza sono gli stessi che corre ancora oggi in questo tempo di pandemia mondiale che stiamo vivendo: perdere ogni speranza nel futuro, ma anche costruire una comunità chiusa, prigioniera dell’autoreferenzialità. “Nella pandemia, come credenti, abbiamo avuto le stesse tentazioni – spiegano i vescovi nel messaggio – le stesse tentazioni che proviamo di fronte alla situazione di esculturazione del fenomeno religioso”. Quando vediamo, infatti, che Dio e la fede vengono spinti sempre più fuori dalla vita dell’uomo, il rischio è proprio quello di rinchiudersi in se stessi, mentre la sfida che il mondo pone alle religioni è esattamente l’opposto: “Stare positivamente dentro la realtà, metterci radici e starci in modo generativo – sottolineano i presuli – uscire dal rischio della depressione e dell’autoreferenzialità. Come cristiani e come ebrei possiamo aiutarci ad affrontare tale sfida, perché la Promessa resta costante nella storia. Il Signore lavora per ‘rigenerare’, per ‘far ricominciare’”.
L’ospite e lo straniero: una risorsa per tutti
La Lettera di Geremia evidenzia come, in un contesto quale quello dell’esilio, l’ospite e lo straniero, “colui che viene da fuori” sia una risorsa per il paese, addirittura una benedizione: “L’ospitalità, così centrale nelle tradizioni ebraica e cristiana può essere lo stile con cui oggi i credenti stanno nella storia e animano la società”, affermano ancora i vescovi nel messaggio. “La Lettera di Geremia è dunque un testo che può aiutarci a collocare la nostra esperienza di fede nell’odierna stagione di cambiamento epocale” concludono i vescovi, ricordando le parole di Papa Francesco secondo cui queste iniziative comuni aiutano “vicendevolmente a sviscerare le ricchezze della Parola, come pure condividere molte convinzioni etiche e la comune preoccupazione per la giustizia e lo sviluppo dei popoli”.