Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Una Giornata diffusa su tutto il territorio nazionale e diocesano per sostenere le vittime di abusi e sollecitare un cammino di cambiamento profondo nelle comunità dove il tema non può più essere sottaciuto e dove deve crescere la consapevolezza e l’impegno a tutti i livelli. Rispondendo alla sollecitazione che già nel 2016 il Papa aveva rivolto alle Conferenze episcopali, la Chiesa italiana ha indetto per il 18 novembre la sua prima Giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi.
La parola d’ordine è la prevenzione oltre che la formazione e molto si sta già facendo, spiega monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia e presidente del Servizio nazionale della Cei per la tutela dei minori.
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Come nasce questa Giornata e come l’avete pensata a livello delle singole diocesi?
La data del 18 novembre è stata scelta in corrispondenza di una analoga giornata pensata in Europa per la tutela delle vittime degli abusi. Dunque la Cei ha pensato di dedicare questa giornata alla preghiera per le vittime, per i sopravvissuti agli abusi, e nello stesso tempo anche per sensibilizzare tutta la comunità cristiana circa la cura, la protezione, la vigilanza sui minori, sugli adolescenti e sulle persone vulnerabili. Per questo è stato preparato materiale per la preghiera, c’è anche una preghiera ufficiale che la CEI ha lanciato in tutte le parrocchie e comunità religiose; poi ci sono altri materiali utilizzabili per organizzare veglie, incontri o altri momenti di preghiera la domenica successiva a questa giornata e in altri momenti. E ci sembra che, almeno guardando i siti internet delle diocesi, già ci siano tante adesioni. Molti eventi si sono già avviati o comunque sono stati già proposti dalle diocesi con la presenza dei rispettivi vescovi. Pensiamo che con questa giornata di preghiera non solo si sostengano le vittime, anche quelle che non hanno mai parlato, che non sono mai venute alla luce, ma nello stesso si sostenga anche un cammino di cambiamento dentro nelle nostre comunità, perché questo tema degli abusi è sempre stato sottaciuto, messo in secondo piano, mentre deve diventare un obiettivo significativo. Non si può più pensare ad una comunità cristiana, ad un gruppo di catechismo, ad un oratorio, ad una scuola paritaria cattolica, a un luogo sportivo di aggregazione per i ragazzi, senza che ci sia una vigilanza. Occorre evitare che persone che vogliano approfittarsi dei ragazzi o dei bambini possano accedere ai nostri ambienti per compiere questi reati. Naturalmente questo serve anche a far crescere la formazione di tutti gli operatori pastorali: su questo abbiamo fatto molto in Italia. In ogni diocesi oggi c’è un referente e un servizio per la tutela dei Minori, che non solo è disponibile ad ascoltare le vittime, ma soprattutto è impegnato a proporre dei cammini di formazione per tutti, clero, religiosi, catechisti, fino ad arrivare indirettamente alle famiglie e a tutto il resto della società, là dove sappiamo che avviene la stragrande maggioranza di questi reati. Sappiamo che avvengono purtroppo per lo più nell’ambito familiare o parentale, nei luoghi di ritrovo sportivi e in piccolissima parte, purtroppo avvengono anche nei nostri ambienti e anche per opera di personale religioso. Su questo abbiamo assunto come vescovi italiani un impegno particolarmente significativo, a cominciare dalle linee guida del 2019, per poter dare una formazione iniziale e una formazione permanente a tutti i nostri operatori pastorali perché siano aiutati a non cadere in questo terribile peccato, che un terribile reato, e nello stesso tempo perché siano i primi a vigilare e a tutelare i più piccoli o i più fragili.
Una piaga quella degli abusi, un reato, come ha ripetuto spesso il Papa. Ma la prima parola di Francesco in questo ambito è sempre dedicata e rivolta alle vittime. Lo abbiamo visto anche dopo il Rapporto reso noto dalla Chiesa di Francia: recupero umano e spirituale delle vittime. Cosa pensa di questo e cosa fa la Chiesa italiana?
Allora, c’è già in tante parti del mondo e in tante Chiese un impegno su questo perché, negli ultimi vent’anni, da quando questo problema è emerso e tutti ne abbiamo preso coscienza, abbiamo cominciato a muoverci seppure in modi e tempi diversi. Direi che abbiamo anche attuato dei percorsi. Oggi in Italia abbiamo tante persone capaci di fare un accompagnamento umano e psicologico per le vittime, perché tutta la società è segnata dalle violenze sui minori, sui bambini e sugli adolescenti e quindi già esistono tante persone competenti che lo possono fare. Noi, come Chiesa, abbiamo per esempio le persone che lavorano nei consultori familiari, e ogni diocesi italiana ne ha almeno uno dove fare un cammino di accompagnamento con specialisti per una vittima ma anche per i familiari più stretti se si tratta di un minore. Esistono delle persone competenti che possono dare una mano dal punto di vista spirituale perché, non dobbiamo dimenticare che se una ferita di questo genere è stata inferta da una persona che appartiene al clero è un doppio scandalo, ma è anche una doppia ferita che mette in crisi seriamente la fede della persona che è stata colpita. Occorre quindi anche un cammino di recupero spirituale per riuscire ad affrontare questo fatto e a viverlo, non a subirlo, ma a viverlo in modo attivo, reagendo, magari diventando proprio capaci di mettere in atto azioni per tutelare gli altri. Da vittime quindi a persone che sanno difendere i più piccoli: abbiamo qualche esempio di questo genere e mi sembra che sia un bel cammino.