Gestione dei fondi della Santa Sede, la difesa chiede la piena assoluzione di Crasso

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Nell’aula dei Musei Vaticani, con la settantasettesima udienza del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede, si è concluso l’intervento del legale di Enrico Crasso, ex consulente finanziario della Segreteria di Stato. L’avvocato Panella ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste da tutte le imputazioni, dalla truffa alla corruzione, dal peculato all’autoriciclaggio, per le quali l’accusa ha chiesto una condanna a 9 anni e 9 mesi. Prossima udienza il 20 novembre

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Assoluzione da tutti i reati contestati, dalla truffa alla corruzione, dal peculato all’autoriciclaggio, in 20 capi d’imputazione, perché “il fatto non sussiste”, e la revoca del sequestro dei fondi bancari dell’imputato in Svizzera. E’ stata questa la richiesta al Tribunale vaticano, al termine della settantasettesima udienza del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede, del difensore di Enrico Crasso, il 75 enne ex consulente finanziario della Segreteria di Stato. Che, in una dichiarazione spontanea, ha ricordato, commuovendosi più volte, i 26 anni di collaborazione con la Santa Sede, da “cattolico credente e praticante” che “si è fatto da sé”, e i tentativi di incontrare il promotore di Giustizia, prima dell’inizio del dibattimento, per chiarire la sua posizione, convinto “di non aver fatto nulla di male e di non aver commesso reati”.

“Un processo costruito su elementi senza fondamento”

L’avvocato di Crasso, Luigi Panella, ha concluso le ultime quattro ore della sua arringa, dopo le cinque di ieri, sostenendo che il procedimento penale, a carico del suo assistito e di altri nove imputati, “è stato costruito su elementi privi di fondamento” e il promotore di giustizia “non ha offerto nessun dato empirico”. Al termine della sua requisitoria, a fine luglio, il promotore Alessandro Diddi ha chiesto per l’ex consulente finanziario, dal 1993 al 2014 dipendente di Prime Consult e poi di Credit Suisse, una condanna a 9 anni e 9 mesi di reclusione, più 18 mila euro di multa, per i reati di riciclaggio e autoriciclaggio, truffa, peculato, abuso d’ufficio, corruzione, estorsione, falso materiale di atto pubblico commesso dal privato, falso in scrittura privata e indebita percezione di erogazione a danno dello Stato. E la condanna per truffa anche per le tre società riconducibili a Crasso: HP Finance LLC, Prestige Family Office SA e Sogenel Capital Investment.

“Nessuna corruzione di Crasso per il palazzo di Londra”

Panella ha ripreso il suo intervento dall’incontro all’Hotel Bulgari di Milano, a dicembre 2018, di Crasso e Fabrizio Tirabassi, l’ex funzionario dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, anche lui imputato, da una parte, e il broker Gianluigi Torzi, ugualmente imputato, dall’altro. Una “riunione molto tesa”, che “fortunatamente”, per il suo legale, Crasso decise di registrare, nella quale i rappresentanti della Segreteria di Stato cercarono di convincere Torzi a cedere alla Santa Sede le mille azioni con diritto di voto della società Gutt che controlla il palazzo di Sloan Avenue 60 a Londra, perché tornasse sotto il controllo dell’ufficio vaticano. Torzi avrebbe voluto 15 milioni di euro, ma dalla registrazione, “integrale e senza tagli”, sostengono i periti della difesa, non risulta che nessuno gli abbia offerto 9 milioni, quindi non sussiste, per Panella, l’estorsione di Torzi nei confronti della Segreteria di Stato, né la corruzione verso Crasso e Tirabassi. Perché in realtà, secondo il suo legale, se Torzi avesse dato soldi a Crasso, glieli avrebbe rinfacciati nell’incontro da Bulgari, ma in realtà “lui voleva Crasso fuori dalla gestione di tutti gli investimenti del Vaticano”.

Dal Fondo Centurion “una plusvalenza di 5,5 milioni di euro”

Cosa che poi è avvenuta, ha ricordato Panella, dopo che i “magnifici tre” dal nome che hanno dato alla loro chat su whatsapp, Torzi, con Giuseppe Milanese e l’avvocato Manuele Intendente, ottenuto un incontro col Papa a fine dicembre 2018, riescono ad estromettere Crasso dalla gestione di investimenti per conto della Santa Sede. Il legale di Crasso ha contestato l’imputazione di truffa per la sottoscrizione di quote del Fondo Centurion, facente capo al consulente finanziario, “che sono state proposte – secondo Panella – alla Segreteria di Stato da monsignor Alberto Perlasca”, ex responsabile dell’Ufficio amministrativo, “e non da Crasso”. Come anche per gli investimenti attraverso le società Hp Finance, Prestige e Sogenel, riconducibili a Crasso, in tutti i casi la Segreteria di Stato “non ha tratto alcun danno dalle operazioni”. Anzi, come unico sottoscrittore del Fondo Centurion, con 65 milioni di investimento, finché vi è stato presente Crasso (uscito dopo essere stato coinvolto nelle indagini) ha avuto una plusvalenza di 5,5 milioni di euro. “Non è stato un investimento fallimentare, e tantomeno una truffa”, ha sostenuto l’avvocato difensore.

“Nessuna prova che Mincione abbia corrotto Crasso”

Non c’è prova, per il legale di Crasso, nemmeno della corruzione di Crasso e Tirabassi compiuta dal broker Raffaele Mincione, tra gli imputati, come sostenuto da Torzi (in una dichiarazione non utilizzabile nel processo) e il testimone Fabio Perugia, che riferisce accuse sentite da Alessandro Noceti e che “aveva solo l’interesso di prendere il posto di Crasso come consulente della Segreteria di Stato”. E nemmeno del successivo autoriciclaggio, perché il Fondo Athena di Mincione ha corrisposto alla società Aspigam (di Simetovic e non di Crasso) 2 milioni 259 dollari americani, ma da questa sono stati versati 3 milioni e mezzo di euro (quasi 4 milioni di dollari) a Divanda, società di Crasso. Non c’è corrispondenza tra le cifre, perché, per Panella, le seconde sono le commissioni versate da Credit Suisse (che usava Aspigam per questo) a Crasso, per la sua attività di introducer, esercitata dal 2014, una volta lasciata la banca svizzera da pensionato. 

Le richieste di risarcimento contestate

Infine Panella ha contestato le cifre dei risarcimenti per danni patrimoniali e di immagine chiesti dalle parti civili Segreteria di Stato, Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica (Apsa) e Istituto per le opere di religione (Ior). Rispetto alla prima, il legale ha precisato che i danni non patrimoniali, per 128 milioni, sono stati quantificati da una perizia “che non li ha collegati ai fatti contestati, ma ha fatto una rassegna stampa del processo”, dando un valore numerico “ai danni di immagine causati dal clamore mediatico del processo, non dalle accuse”. “E’ legittimo chiedere un danno – ha insistito Panella – se c’è un nesso di casualità diretto con i fatti che vengono contestati”.

“Non legittime le richieste di Apsa”

L’Apsa, ha proseguito il difensore di Crasso, per i 270 milioni per danni patrimoniale ha invocato il “Motu Proprio” del 26 dicembre 2020, che le trasferisce competenze in materia economico-finanziaria prima della Segreteria di Stato, ma proprio lo stesso – a suo dire – la esclude da qualsiasi pretesa, perché “i fatti sono antecedenti”. E ancora, i danni patrimoniali relativi al lucro cessante, secondo il legale, sono stati calcolati su “asseriti investimenti privi di rischio, con alti tassi di interessi”. “In economia – ha detto – non esistono investimenti privi di rischio”. Infine ha contestato che Ior “chiede agli imputati soldi dati alla Segretaria di Stato”, somme che “non erano sufficienti alla gestione della Curia Romana e che nulla dimostra che siano state investite a Londra”.

Le prossime udienze, dal 20 novembre

In chiusura, il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha ricordato che nelle prossime udienze sono previsti gli interventi dei legali di monsignor Carlino (il 20 novembre dalle 14.30), di Gianluigi Torzi (il 21) e del cardinale Angelo Becciu (il 22). Ed ha sollecitato, per riuscire ad emettere la sentenza entro metà dicembre, il deposito, prima possibile, di tutte le memorie difensive.