Gerusalemme, il Triduo al Santo Sepolcro: qui è Risorto

Vatican News

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

“Ogni liturgia ci rende contemporanei all’evento salvifico, ma questa è davvero l’unica Basilica al mondo dove possiamo veramente affermare: qui Gesù Cristo è stato crocifisso, è stato sepolto ed è risorto”. Monsignor Vincenzo Peroni parla con la Radio Vaticana dalla Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dove vive da qualche mese e presta servizio assieme ai frati della Custodia di Terra Santa. Sacerdote della Diocesi di Brescia, monsignor Peroni, per otto anni, dal 2012 al 2020, è stato cerimoniere pontificio e poi, in accordo con il suo vescovo, ha chiesto di poter andare in “missione” a Gerusalemme. Grazie anche alle sue competenze liturgiche, ha spiegato come si è aperta la Settimana Santa nella Città Santa e quali sono i riti particolari con cui si celebra il Triduo pasquale nella Basilica del Santo Sepolcro.

L’intervista a mons. Vincenzo Peroni

R.- La Settimana Santa si è aperta domenica con due momenti molto solenni, preparati e vissuti insieme in sinergia tra il Patriarcato Latino e la Custodia di Terrasanta. Inizialmente la mattina, nella Basilica del Santo Sepolcro, c’è stata la benedizione delle Palme e la processione interna con una caratteristica che è tipica delle processioni del Sepolcro: il ruotare per tre volte attorno all’edicola della Resurrezione fino a spingersi poi fino alla Lastra dell’unzione, ai piedi del Calvario. È un modo per ricordare i tre giorni di Gesù nel Sepolcro, ma anche una memoria dell’antica liturgia bizantina che sempre venerava il luogo di un mistero attraverso l’incensazione in forma circolare. Dopo la processione c’è stata la Santa Messa celebrata dal Patriarca di Gerusalemme. Il pomeriggio della Domenica delle Palme c’è stata invece la festosa processione sul Monte degli Ulivi, con il Patriarca e il Custode, che partendo da Betfage è arrivata fino in città, imitando le folle che accompagnarono Gesù nel suo trionfale ingresso a Gerusalemme. In quell’occasione abbiamo registrato una grandissima partecipazione di popolo. Chiaramente in questo momento non ci sono pellegrini, per i divieti legati al Covid, però c’erano tantissimi cristiani locali in gran parte arabi, ma anche numerosi cattolici provenienti da diversi Paesi del mondo che per ragioni lavorative sono qui in Israele. Ormai sono parte integrante della Chiesa che è in Terra Santa.

Quali celebrazioni caratterizzano invece il Triduo al Santo Sepolcro?

R.- Allora, la struttura fondamentale dei riti è quella della liturgia latina, così come è normata dai libri liturgici. Ci sono però alcune particolarità che fanno riferimento anche alla liturgia dei primissimi secoli, così come ci è stata raccontata dalle testimonianze degli antichi pellegrini, in modo particolare dalla pellegrina Egeria che visitò la Terra Santa nel IV secolo. C’è però, prima di tutto, una specificità della liturgia qui nel Santo Sepolcro. Se la liturgia, ovunque venga celebrata, di fatto ci mette in contatto diretto col mistero celebrato, ci rende contemporanei dell’evento salvifico, di fatto qui è l’unico posto al mondo nel quale si può dire: qui il Signore è stato Crocifisso, qui ha versato il sangue, qui è stato sepolto e qui è risorto. Quindi, già solo il fatto di celebrare qui, in questa Basilica, è davvero del tutto singolare. Poi, come dicevo, ci sono alcune particolarità.

Ci faccia qualche esempio…

R.- La mattina del Giovedì Santo – perché per le regole dello “status quo” tutte le liturgie vengono celebrate la mattina presto – al termine della “missa in Coena Domini”, che ingloba in sé anche i riti della Messa Crismale, attorno all’edicola della Resurrezione avviene la processione con l’Eucarestia e al termine l’Eucarestia stessa è riposta nel tabernacolo preparato sulla lastra della Risurrezione, all’interno dell’edicola del Sepolcro. Lì, poi, per tutta la giornata e la notte, i frati della Custodia garantiscono l’adorazione eucaristica. È interessante che la cosiddetta “reposizione del Santissimo” avvenga proprio lì. Forse molti ricorderanno che quelli che il Giovedì Santo vengono giustamente chiamati gli “altari della reposizione” anticamente venivano chiamati i “Sepolcri”. Non si trattava però di un riferimento alla morte, ma piuttosto a questa usanza di Gerusalemme del Santissimo posto nel Santo Sepolcro. Si tratta di un uso che, in qualche modo, afferma ritualmente il contenuto della Fede: è come dire che l’Eucaristia è la presenza reale, qui, del Signore risorto. Risorto proprio qui, nel Sepolcro, perché è l’Eucaristia che ci comunica efficacemente la grazia pasquale.  

 

Un altro rito davvero sempre profondamente atteso, è la cosiddetta “processione funebre” che si celebra la sera del Venerdì Santo all’interno della Basilica. Come si svolge?

R.- È un “pio esercizio”, al quale sono molto legati i cristiani di Gerusalemme e anche i frati della Custodia, ricco di Parola di Dio che, potremmo dire, è sia Parola “ascoltata che vista”. Infatti, oltre alla proclamazione dei Vangeli nelle diverse lingue del mondo, vengono presentati in modo suggestivo alcuni momenti salienti della Passione del Signore. Nella celebrazione della Domenica delle Palme, in San Pietro, il Papa ci ha detto che dobbiamo guardare il crocifisso con stupore, commozione. Ebbene, questo avviene proprio il Venerdì Santo nella Basilica del Santo Sepolcro. È particolarmente commovente la deposizione del Crocifisso dalla croce che viene fatta per imitare il gesto di pietà di Giuseppe d’Arimatea. Nel silenzio intenso, carico di contemplazione e d’amore, si sentono risuonare nella Basilica i colpi del martello che schioda il Corpo dalla Croce. Poi questo Corpo viene portato dai diaconi con devozione sulla Lastra dell’unzione, ai piedi del Calvario. Lì viene preparato dal Custode con olii ed essenze, secondo le indicazioni evangeliche, e infine viene portato al Santo Sepolcro per la sepoltura. C’è da ricordare infine che in tutte le liturgie che vengono celebrate davanti all’edicola del Santo Sepolcro durante il triduo Pasquale, anche il giorno di Pasqua, il libro dei Vangeli viene sempre preso dall’interno dell’edicola e riportato all’esterno perché venga annunciato a tutti coloro che sono presenti. In particolare, durante la veglia Pasquale, è il vescovo stesso, secondo una tradizione di Gerusalemme, che canta il Vangelo della Resurrezione, stando davanti all’edicola dell’Anastasis. È bellissima questa simbologia, perché in fondo il cuore dell’annuncio evangelico, il “kerygma”, è esattamente questo: il Crocifisso è risorto. Il giorno di Pasqua, nella Messa solenne, sempre facendo una processione lungo il percorso della Basilica, il Vangelo di Pasqua viene poi cantato nelle sue quattro versioni dei quattro evangelisti, perché da proprio qui, dal luogo della Resurrezione, raggiunga tutti i confini della terra.

Dopo una lunga esperienza in Vaticano come cerimoniere pontificio, lei da pochi mesi è giunto nella comunità del Santo Sepolcro. Come ha vissuto questo passaggio da Roma a Gerusalemme?

R.- Sono certamente le città cardine della vita cristiana. A Roma, ho avuto la grazia di servire la preghiera del Papa, sia Benedetto XVI e poi Papa Francesco, ed è stata davvero una grande grazia poter aiutare il Santo Padre a pregare bene, sia in San Pietro che nei Viaggi Apostolici, e quindi aiutare la liturgia del Papa esprimendo e sperimentando l’universalità della Chiesa. Ora, qui a Gerusalemme, ho l’opportunità di vivere un po’ più nel nascondimento, ma ancora una volta, celebrando i misteri di Cristo, avvertiamo una profonda comunione con tutti i cristiani del mondo. Il grande vescovo americano Fulton Sheen diceva che il sacerdote, come Gesù, è al tempo stesso “sacerdote e vittima”. Direi che qui, nel luogo del supremo sacrificio Redentore di Cristo, nel nascondimento e nella semplicità, garantendo la continuità dei Misteri della celebrazione – che  non sono mai stati sospesi durante il drammatico periodo della pandemia –  noi ci uniamo all’offerta di Cristo intercedendo per tutti i cristiani che sono sulla terra. Nella speranza poi che presto possano tornare qui ad attingere per la loro fede.