Gudrun Sailer – Inviata a Nur-Sultan
Gertrude Detzel ha sfiorato il martirio. Lei che proveniva da una rispettata famiglia russo-tedesca del Caucaso settentrionale, ha vissuto la deportazione in Kazakhstan per i lavori forzati nel 1941, come molti altri russo-tedeschi. Il motivo è che non nascondeva la sua fede. Nel 1949 fu arrestata dopo una denuncia e deportata in un campo di lavoro e rieducazione comunista chiamato “villaggio Tschemolgan”, nella zona dell’attuale Almaty.
Fede profonda ed enorme coraggio
“Ciò che vedo nella vita di Gertrude è una fede profonda e un enorme coraggio”, afferma il vescovo di Karaganda, monsignor Adelio dell’Oro, che ha aperto il processo di beatificazione lo scorso autunno. “Ovunque si trovasse, anche nei lager, non aveva paura di vivere la fede e di testimoniarla a tutti. Spesso infastidiva i responsabili del lager perché parlava a tutti di Dio e della fede. La domenica organizzava preghiere congiunte fra cattolici e luterani. Tutto questo attraeva la gente che andava da lei e la seguiva”.
L’annuncio nei lager
Monsignor dell’Oro ha parlato in questi anni con diverse persone che hanno conosciuto Gertrude e ne sta intervistando altre, anche in Germania, perché è lì che molti kazaki tedeschi si sono trasferiti dopo il 1991. Qualcuno ha raccontato al vescovo questo episodio: “Quando Gertrude veniva svegliata di notte e interrogata, non aveva paura di parlare con il direttore del lager. La cosa andò così avanti che lui, a un certo punto, fermò tutto, chiamò le guardie e disse: ‘Riportatela nella baracca. Perché sto quasi iniziando a crederci anch’io!’. Dopo la morte di Stalin, nel 1953, i prigionieri cominciarono a essere rilasciati. In una testimonianza si dice che Gertrude doveva essere tra le prime ad essere mandata via. Perché? Perché in questo modo chi resta nel lager non arrivi alla fede tramite lei”.
I sacramenti di nascosto
Gertrude Detzel non fu proprio liberata. Fu portata in un “insediamento speciale” tedesco vicino a Semei, sotto stretta sorveglianza, dove era vietato uscire. Ma questo non preoccupava la donna, che bruciava per la fede. Con la sorella Valentina, si recava di nascosto nei villaggi vicini dove vivevano altri tedeschi. Andarono di casa in casa, battezzarono bambini e adulti, diedero loro preghiere copiate a mano di nascosto, sposarono coppie. Se le sorelle fossero state scoperte, ciò avrebbe significato altri 20 anni di lavori forzati per entrambe.
Quando l’insediamento speciale fu abbandonato, Gertrude si trasferì a Karaganda alla fine degli anni Cinquanta. Lì la donna, che per scelta era rimasta nubile, divenne membro del Terzo Ordine di San Francesco. E organizzava la vita ecclesiale dei numerosi esuli.
Al posto dei sacerdoti
“In Unione Sovietica la fede cattolica fu trasmessa per 60, 70 anni quasi senza sacerdoti, perché erano stati deportati nei campi”, spiega monsignor dell’Oro. “E così i fedeli rimasero senza sacramenti per decenni, ad eccezione del battesimo, che donne coraggiose amministravano ai bambini”. È esattamente ciò che ha fatto Gertrude Detzel che in segreto riuniva i fedeli per le preghiere del Rosario e per la Messa domenicale, spiegava loro la Bibbia e presentava loro i santi. Aveva, come affermano i testimoni, il dono della predicazione. “È grazie a lei che intere generazioni di cattolici esiliati hanno potuto vivere i Sacramenti in condizioni di persecuzione della Chiesa”, si legge in un opuscolo sulla beatificazione scritto dal vescovo dell’Oro. “In tempi difficili per la Chiesa, Gertrude Detzel sostituì un sacerdote per il popolo”.
Verso la beatificazione
Per questo il vescovo di Karaganda – dove Detzel morì nel 1971 e dove si trova attualmente la sua tomba – tiene molto a questa beatificazione. Il presule vede in questa determinata e gioiosa testimonianza di fede un modello per i laici del Kazakhstan di oggi, in un Paese in cui la Chiesa registra l’esodo di molti credenti verso l’Occidente. In questa situazione, sono i laici kazaki che oggi – come dice il vescovo – proprio come Gertrude allora, hanno la missione di portare avanti la fede. A modo loro, diversamente e in un certo senso meglio, perché più liberi dei sacerdoti.
Esempio di evangelizzazione dei laici
“Quello che la figura di Gertrude ci suggerisce per oggi è di vivere la fede, di essere aperti a tutti, per esempio anche ai musulmani. Perché la fede non si trasmette gridando ‘Gesù, Gesù!’, ma attraverso la nostra umanità. Qui in Kazakhstan non possiamo fare nulla come Chiesa nella società, ma questo riguarda tutte le religioni. Siamo liberi solo dietro le mura della nostra chiesa. Ecco perché i laici sono importanti: nessuno impedisce ai laici di essere testimoni dove lavorano, dove studiano. Quindi abbiamo bisogno di laici che siano testimoni nella società di oggi, che siano vivi e aperti, che vadano incontro a tutti e lascino tutto alla grazia di Dio e alla libertà dell’individuo”.