Gelo a Torino. Nosiglia: apriamo cuori e case all’accoglienza

Vatican News

Adriana Masotti – Città del Vaticano

Il freddo intenso che ha investito in questi giorni la Penisola, ha fatto riemergere, una volta di più, il problema dei senza dimora, italiani e immigrati, che vivono ai margini delle nostre città, sui marciapiedi, ai piedi dei monumenti dei centri storici, sui gradini di molte chiese, nelle stazioni. O anche sul sedile di un autobus, riuscendo a dormire, spesso storditi dall’alcool, mentre l’autista ripete infinite volte lo stesso percorso. Nei mesi di lockdown della primavera scorsa, i senza tetto sono stati pressoché gli unici ad animare le strade e le nostre piazze, rendendo ancora più evidente la solitudine della loro condizione.

Decine di migliaia i senza dimora a rischio in Italia

I dati che li riguardano sono impressionanti: 51mila sono i senzatetto a rischio freddo oggi in Italia, 10 i clochard trovati morti in varie città dall’inizio di quest’inverno, 8 su 10 sono uomini, la metà sono stranieri. A Torino, a causa delle temperature rigide, di recente ne sono morti due, nonostante l’impegno, di giorno e di notte, di migliaia di volontari, ma anche di cooperative e strutture pubbliche che destinano importanti risorse per aiutare queste persone. Due morti arrivate proprio nei giorni della polemica sull’emergenza senzatetto, scatenata nel capoluogo piemontese, da alcune dichiarazioni del comandante dei vigili sull’elemosina a chi vive in strada e dall’allontanamento di alcuni di loro dal centro città.

Da monsignor Nosiglia un appello alla fraternità 

L’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, attraverso una nota, ha lanciato sabato scorso un appello alla comunità, e in particolare ai credenti, chiedendo il “coraggio di fare un passo in più”, aprendosi all’ospitalità. Lo ha chiesto alle parrocchie, alle comunità religiose, ma anche alle famiglie e ai privati. Al microfono di Vatican News ci spiega le motivazioni dell’appello:

Ascolta l’intervista integrale a monsignor Cesare Nosiglia

R. – Mi ha motivato il fatto che abbiamo avuto due senza dimora che sono morti uno dietro l’altro, un fatto che ha creato una situazione molto complessa e difficile anche nell’opinione pubblica, che si è chiesta come mai in una città come la nostra, che è famosa per l’accoglienza e la disponibilità verso tutti, sono successe queste cose. E’ una ferita aperta, ma c’era anche l’impegno di far sì che queste situazioni fossero affrontate insieme da tutta la città e non semplicemente da alcuni volenterosi, che vanno magari a trovare queste persone di notte. E quindi ho chiesto al prefetto di attivare un tavolo di approfondimento e di lavoro insieme, come abbiamo fatto anche per altre situazioni di emarginazione. E poi mi sono rivolto a tutte le realtà cattoliche, ma anche laiche, per dire che tutti dobbiamo fare la nostra parte, che bisogna agire, mettersi in gioco con disponibilità e magari anche qualche sacrificio. Se non è possibile convincere queste persone ad andare nei dormitori, perché sono in troppi e queste persone amano stare da sole, allora cerchiamo di predisporre una piccola casa, magari un locale nelle parrocchie, nelle istituzioni religiose. Ho dato anch’io l’esempio aprendo all’ospitalità l’episcopio e ci sono già una trentina di persone che soggiornano, non solo di notte ma anche di giorno. Ma questo lo faccio già da alcuni anni. Ora ho cercato di accogliere alcune persone anche nella mia casa, per dare l’ esempio che anche proprio dove io abito, c’è questa presenza di fratelli e sorelle in difficoltà.

Sì, da tempo lei ha dato il buon esempio. Ma ha ricevuto risposte al suo invito di questi giorni?

R. – Certamente! In questi ultimi giorni ho avuto la disponibilità da parte di tre istituti religiosi che hanno offerto 4, 5 posti ciascuno, e poi anche alcune parrocchie si sono rese disponibili. Adesso ho in programma di incontrare tutti i moderatori di tutte le unità pastorali della città, che sono 23, e cercherò di far comprendere loro che è importante operare insieme per affrontare le difficoltà che ci sono. Io credo che avremo una buona risposta perché Torino ha sempre reagito in modo molto positivo alle richieste della Chiesa e di tutte le realtà che si occupano di aspetti così importarti per dare motivo di speranza e di vita a coloro che sono in necessità. Noi siamo la città dei “Santi sociali”, potremmo dire, perché qui hanno dato l’esempio san Giovanni Bosco, il Cottolengo, ecc… che hanno lasciato un segno profondo. Poi avremo l’incontro tra le 16 associazioni che si occupano delle marginalità con il prefetto, la sindaca e la Regione, per mettere sul tappeto qualcosa di concreto su cui tutti possiamo agire.

Il nodo centrale è essere comunità, vincere l’indifferenza, al di là dei gesti concreti. E’ questo che la Chiesa deve sempre ricordare a tutti?

R. – E’ proprio così, questo è importantissimo. Ma devo dire che in questi anni a Torino questo c’è stato, insieme abbiamo affrontato vari problemi: ad esempio abbiamo trovato il modo di gestire una situazione molto difficile, dove c’erano quattro palazzine che ospitavano, si fa per dire, persone senza dimora perchè erano rimaste vuote. Erano quasi 1500 persone. Abbiamo costituito un gruppo con il prefetto, la sindaca, la Regione, la Fondazione Operti, le Fondazioni bancarie e siamo riusciti a dare a tutti un posto di lavoro, per dare loro la possibilità di uscire da quella situazione. Abbiamo quindi liberato le palazzine, ma dando a quelle persone la possibilità di trovare un’altra sistemazione e questo è stato un esempio molto bello che ha trascinato la città. La stessa cosa abbiamo fatto con i Rom. E così faremo per questi fratelli e sorelle che sono per strada, per essere tutti fratelli e sorelle, come ci dice sempre il Papa, tutti della stessa famiglia.

“La morte di due nostri fratelli che vivevano in strada e l’ondata di gelo – scrive nella sua nota – suonano come un appello che il Signore manda a tutti, ed in particolare ai discepoli di Gesù, per non rimanere alla finestra, ma per uscire ed aprire la porta della casa e del cuore con generosità”. Insomma, i poveri potranno anche darci fastidio o potranno non essere facili da aiutare, ma sono, come ha scritto lei, nostri fratelli….

R. – Bisogna partire dal fatto che sono persone, cittadini come gli altri poi, soprattutto per noi, sono fratelli e sorelle che condividono con noi la stessa condizione di vita. Dio ci ha creato tutti insieme. Mi ha toccato veramente molto il fatto che il primo senzatetto che è morto a Torino di recente, sia morto proprio nel giorno che Papa Francesco ha indetto come Giornata della Fratellanza (il 4 febbraio, n.d.r.). Allora l’ho fatto presente alla comunità: il Papa l’ha fatto in riferimento a tutta l’umanità e noi qui, in questa città, abbiamo avuto una persona morta per il freddo… Non deve capitare, ho detto, e invece è capitata subito la morte di un altro. Quindi vuol dire che c’è una situazione difficile, che esige una risposta altrettanto impegnativa, ma certamente necessaria e fondamentale.