Francesca Sabatinelli e Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Raid aerei da una parte e razzi dall’altra continuano a mietere vittime e provocare distruzione, mentre la macchina della diplomazia internazionale accelera per arrivare alla fine degli scontri. Hamas ha smentito la tregua prospettata a partire da domani, voce circolata insistentemente ieri, mentre il premier israeliano Netanyahu, che oggi ha convocato gli ambasciatori stranieri in Israele, quasi 70 tra capi missione e altri diplomatici, compresi Usa, Cina, Ue e Russia, ha ribadito che gli attacchi continueranno per tutto il tempo necessario a ripristinare la calma per tutti i suoi cittadini.
L’azione diplomatica
La Francia punta ad un cessate il fuoco. In proposito ha quindi presentato una proposta di risoluzione del conflitto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in coordinamento con Egitto e Giordania, con l’appoggio della Cina, e domani ne discuterà l’Assemblea Generale dell’Onu. Contrari restano gli Stati Uniti, propensi ad un impegno diplomatico autonomo.
La situazione umanitaria
Fonti mediche da Gaza parlano di un bilancio, dal 10 maggio, data di inizio delle violenze, di più di 200 morti, tra cui oltre 60 bambini. 450 gli edifici nella Striscia, distrutti o gravemente danneggiati, compresi sei ospedali e nove centri sanitari di base, con oltre 70 mila sfollati. Gli israeliani continuano gli attacchi alla rete dei tunnel di Hamas, con 12 chilometri di sotterranei bombardati, a Khan Yunis e Rafah, nel sud della Striscia, da dove parte la maggior parte dei razzi su Israele, finora, 3750, di cui circa il 90% intercettato dal sistema di difesa aerea israeliano. Gli scontri divampano anche in Cisgiordania. A Ramallah una folla si è radunata nella piazza al-Manara per manifestare contro i raid israeliani, immagini di negozi chiusi e serrande abbassate sono arrivate anche da Hebron, Gerusalemme Est e la Città Vecchia, da Giaffa e Kafr Qara.
La speranza di una tregua
“Questa è la triste storia di queste guerre, di questi conflitti su Gaza – spiega l’esperto di Medio Oriente Giorgio Bernardelli, giornalista di Mondo e Missione, la rivista del Pime, Pontificio Istituto Missioni Estere – il grande problema è che sono guerre senza obiettivi militari”. Secondo Bernardelli, sia per Hamas, che per Israele, si tratterebbe di dimostrazioni portate avanti per incutere paura a chi è dall’altra parte, che verranno perpetrate fin quando “si riterrà che alla propria opinione pubblica si potrà dire di aver vinto”. Dunque, è l’analisi, essendo entrambe le parti in una situazione in cui non si ha più molto da ottenere, “prima o poi questo cessate il fuoco arriverà”. Sono, ritiene Bernardelli, guerre fatte per avere il favore dell’opinione pubblica interna, che non spostano di un millimetro la possibilità di un’evoluzione del quadro dei rapporti tra Israele e la Palestina o tra Israele e Hamas, ma più che altro condotte per rafforzare le posizioni al proprio interno, per dimostrare al proprio schieramento di avere in pugno la situazione. Resta però la tragedia umanitaria e l’altissimo prezzo che si sta pagando.