Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
È il tempio nel quale ogni cattolico sogna almeno una volta nella vita di vivere una Santa Messa. Ma proprio per il suo essere un polo d’attrazione di riti, lingue e tradizioni – spesso in cerca di un proprio spazio di raccoglimento nel più grande spazio ecclesiale per eccellenza – che si sono rese necessarie delle regole e delle accortezze che aiutino fedeli e sacerdoti a celebrare con il giusto decoro. Regole stabilite dalla Segreteria di Stato che ore il cardinale Mauro Gambetti, arciprete della Basilica vaticana, correda di esempi e delucidazioni in particolare per quelle ore iniziali della giornata quando, più che in altri momenti, le navate di San Pietro si trasformano in “parrocchia” del mondo.
Qual è l’intento di questa nota?
L’intento è molto semplice, è quello di dare qualche spiegazione perché in diversi hanno chiesto delucidazioni circa la comunicazione che la segreteria di Stato aveva fatto nel marzo scorso. Dunque, il mio è un desiderio di offrire un quadro orientativo con qualche elemento in più a chi desideri celebrare o partecipare nella fascia oraria del mattino, dalle 7 alle 9, che è il contesto in cui si colloca sia la comunicazione della Segreteria di Stato sia questa nota.
Lei afferma che per i sacerdoti è più che opportuno concelebrare, perché le azioni liturgiche non sono azioni private. Da dove ha origine questa affermazione?
La sottolineatura che ho fatto nasce proprio da questo riordino, potremmo dire, delle celebrazioni del mattino e vale per i sacerdoti, ma in realtà per tutti i fedeli, perché anche i sacerdoti sono tali. È un’occasione per riflettere e cogliere magari ancor più profondamente qual è il senso del nostro celebrare. Dicevo che vale per tutti perché la Messa cosiddetta individuale, quasi privata, di per sé è una sorta di restrizione per la Chiesa cosiddetta militante – come si diceva una volta, ma è ancora valido questo principio. È una sorta di restrizione perché celebrare insieme esprime compiutamente il mistero della fede che confessiamo, viviamo e annunciamo. È un aspetto che la Chiesa da sempre insegna, che il Concilio ha sottolineato e il magistero successivo ha precisato, proprio per cercare di rimettere di dare particolare evidenza al principio dell’unità dell’assemblea del corpo di Cristo, che celebrando manifesta la bellezza della nostra fede.
Nella nota lei ricorda anche alcune eccezioni. Quali sono?
Lo scopo è quello di offrire alcuni criteri per capire quando le eccezioni sono più che legittime, ammissibili. Di fondo c’è che le eccezioni sono per il beneficio dei fedeli: nel Diritto canonico si dice che salus animarum suprema lex e questo vale anche in questo caso, cioè si fanno delle eccezioni perché questo può tornare a maggior vantaggio dei fedeli. E allora per fare qualche esempio, se ci sono gruppi con lingue che mal di abbinano, per così dire, con l’italiano o con latino, è opportuno che magari celebrino in una cappella a parte. Oppure, a volte ci sono gruppi che provengono da zone con riti differenti, o ancora pellegrinaggi tematici relativi a percorsi che i fedeli stanno compiendo, o ricorrenze particolari: ecco, queste sono eccezioni comprensibili cui cerchiamo di andare pienamente incontro e che anzi accogliamo più che volentieri quando questo torna a beneficio delle persone che desiderano concelebrare a parte. E poi ovviamente ci sono ragioni di opportunità, se tutto questo sia compatibile con quel decoro, quel raccoglimento che va mantenuto in chiesa.
Che cosa può dire riguardo a quanti desiderano celebrare secondo il Rito Romano in forma straordinaria?
In questo io richiamo il Summorum pontificum che è chiaro e dice sostanzialmente di esaudire il desiderio di quei fedeli e sacerdoti che vogliano celebrare con il Missale Romanum del 1962. Così sarà anche qui, non c’è nulla che lo impedisca, sempre mantenendo il decoro e facendo magari attenzione che non ci siano per esempio sovrapposizione eccessive… Per chi ha questo desiderio, anche singoli sacerdoti, valgono questi principi generali che prima richiamavo: ciò che è eccezione non deve diventare l’ordinario, se no si rischia di stravolgere il senso dell’insegnamento della Chiesa.
Lei da quest’anno ricopre gli incarichi di arciprete della Basilica di San Pietro, di vicario generale del Papa per la Città del Vaticano e presidente della Fabbrica di San Pietro. Come sta vivendo questo nuovo servizio?
Lo vivo proprio come un servizio. Nel mio percorso ho imparato che quando si entra davvero dentro un atteggiamento di servizio, questo di per sé è “liberante”, perché lo si vive serenamente, con gioia, anche semplicemente per la gratitudine di poter servire. Quindi direi che lo vivo bene, chiaramente con qualche fatica, ma anche con questa serenità di fondo e ringrazio Dio e anche quelli che sono intorno a me e mi aiutano in tanti modi.