L’OSSERVATORE ROMANO
La qualità del rapporto tra l’insegnamento sociale della Chiesa, «fervida sostenitrice di un ambientalismo sano, profondo e rispettoso dell’essere umano», e i vari Green New Deals dipenderà «dai diversi gradi di compatibilità che potranno essere via via individuati da entrambe le parti». Lo ha detto l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, intervenendo sabato mattina, 23 gennaio, all’apertura del corso di formazione in Dottrina sociale della Chiesa promosso dalla Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice.
Nella sua relazione il presule, riprendendo il tema generale del corso — «La dottrina sociale della Chiesa per un Green New Deal» — ne ha approfondito le implicazioni «nella pratica degli Stati e nella valutazione del bene comune». E ha invitato a mettere in atto «un dialogo costruttivo» tra la Chiesa e il mondo ambientalista al quale si ispirano i programmi ecologici e sociali promossi a livello nazionale e internazionale. «Da parte nostra — ha sottolineato — il prezioso valore aggiunto che introdurremo in questo dialogo sarà naturalmente la nostra prospettiva cristiana», riassunta dal presule con un riferimento al numero 41 dell’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia, dove si legge che «liberare gli altri dalle loro schiavitù implica certamente prendersi cura dell’ambiente e proteggerlo, ma ancor più aiutare il cuore dell’uomo ad aprirsi con fiducia a quel Dio che non solo ha creato tutto ciò che esiste, ma ci ha anche donato se stesso in Gesù Cristo».
Forse, ha fatto notare Gallagher, «la vera grande spaccatura che divide le sensibilità politiche e culturali odierne è la scelta di fondo tra il riporre la fiducia in Dio o nei soli prodotti dell’azione umana. Noi — ha assicurato — scegliamo di credere nell’Uomo amato da Dio, chiamato a essere il custode del suo giardino e non il suo concorrente».
Al riguardo, l’arcivescovo ha richiamato quanto detto da Papa Francesco all’High Level Climate Ambition Summit, svoltosi in modalità virtuale il 12 dicembre scorso, nell’ambito del quale è stato annunciato l’impegno della Santa Sede ad adottare una strategia per la neutralità climatica. In quella occasione, il Pontefice ha indicato come, per conseguire quell’obiettivo, ci si muoverà su due piani: da una parte, lo Stato della Città del Vaticano «s’impegna a ridurre a zero le emissioni nette prima del 2050, intensificando gli sforzi di gestione ambientale, già in corso da alcuni anni, che rendano possibile l’uso razionale di risorse naturali come l’acqua e l’energia, l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile, la riforestazione, e l’economia circolare anche nella gestione dei rifiuti»; dall’altra, la Santa Sede «s’impegna a promuovere un’educazione per l’ecologia integrale».
Del resto, ha osservato il segretario per i Rapporti con gli Stati, «sappiamo bene quanto è difficile, se non impossibile, tornare indietro a tempi pre-industriali; comprendiamo anche che i miglioramenti in campo scientifico e tecnologico ci aiutano a ridurre le gravissime problematiche ambientali che affliggono il mondo». E tuttavia, non «potremo mai essere ecologisti credibili senza un occhio critico nei confronti della moderna idea di progresso, inteso come rassicurante sviluppo lineare delle possibilità umane attraverso l’illimitata evoluzione tecnologica». La tragica ironia, secondo monsignor Gallagher, è che «una simile cultura, che immagina il prodotto dell’uomo come istanza suprema, salvatrice e definitiva, finisce poi inesorabilmente per distruggere proprio l’uomo e il suo ambiente».
L’arcivescovo non ha mancato di precisare i riferimenti della Sacra Scrittura e degli insegnamenti magisteriali sul tema ambientale, avvertendo che sarebbe limitante ridurre «il pensiero economico e sociale della Chiesa a un generico invito alla deferenza nei confronti dei valori della libertà e della giustizia sociale», perché in quanto cristiani «sentiamo il richiamo alla carità e alla fraternità universale come gioiosa osservanza della volontà di Dio».
Nel far presente «il difficile momento storico che stiamo vivendo a causa della pandemia da covid-19», il presule ha rimarcato che, per la sua importanza e per i suoi propositi, il Green New Deal è «un argomento degno della massima attenzione, ed è bene pensarlo non come una proposta dai contenuti definiti e vagliabili» ma come «un’idea-quadro entro la quale si possono riconoscere unità distinte tra loro, oggi come domani, e che pertanto richiederanno il rigore di valutazioni specifiche».
Quindi, riflettendo sull’espressione Green New Deal, ha ricordato che essa nasce negli Stati Uniti d’America durante la recessione del 2007 per definire «un tipo di programma ambientale per slegare l’economia nazionale dalla dipendenza dal petrolio, attraverso l’aumento dell’uso di energie alternative». Successivamente ha assunto «una vocazione internazionale, che è confermata dall’uso di locuzioni analoghe nei programmi ambientali promossi dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea». Quest’ultima, ad esempio, adopera l’espressione European Green Deal, strategia che è stata proposta l’11 dicembre 2019 dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e che contempla, fra le altre cose, «la neutralità climatica nei Paesi dell’Unione europea entro il 2050, la protezione degli ecosistemi e delle biodiversità, il sostegno a un’agricoltura priva di pesticidi, fertilizzanti e prodotti chimici», oltre alla promozione «dei veicoli elettrici, l’aumento degli investimenti in tecnologie applicate all’ambiente, sovvenzioni finanziarie alle aziende per una riconversione ecologica e una cooperazione internazionale per il miglioramento degli standard ambientali mondiali».
Ciononostante, ha aggiunto, i principali Green New Deals attualmente in fase di sviluppo tendono «a rappresentare da una parte la speranza di una svolta storica per il futuro del mondo» e dall’altra «un’insistenza su certe tematiche che sembrano restringere anziché ampliare la riflessione ecologica, rischiando di conferirle un aspetto di ambientalismo uniforme e allineato». In questo senso, potrebbe «risultare saggio» prediligere nei Green New Deals quei «contenuti che meno sappiano di ambientalismo interessato». Desta qualche perplessità, infatti, «un certo atteggiamento culturale che se da una parte convince per le buone intenzioni sociali, dall’altra delude perché non mette in discussione la speculazione economica».
«Almeno una parte della narrativa sociopolitica dei nostri giorni sulla globalizzazione — ha rilevato l’arcivescovo — è segnata da una duplice ironia: si finisce per spegnere il dialogo anziché promuoverlo e si rischia di dividere anziché unire». Ed è proprio Papa Francesco, nella recente enciclica Fratelli tutti, a mettere in guardia dai «possibili tranelli di una cultura forse più inclusiva nella forma che nella sostanza».
A questo punto, ha rilanciato Gallagher, «reputo utile segnalare un rischio presente nella dialettica politica odierna»: il fatto che «i più critici della logica del profitto finiscono inconsapevolmente per sostenerla», mentre i suoi difensori «si illudono che essa possa preservare quei buoni valori ai quali si dichiarano legati». A tal proposito, è fondamentale osservare che «l’economia globalizzata, intesa come dilatazione estrema di una logica commerciale, nulla ha a che vedere con la vocazione universale della Chiesa e con l’auspicio della fraternità e della pace mondiale».