Stefano Leszczynski – Inviato a Kiev
“Quello ucraino è veramente un popolo ferito e allo stesso tempo molto coraggioso, molto determinato: non possiamo trascurare la grande sofferenza di questo grande popolo… Bisogna rinnovare l’impegno per risolvere il conflitto attraverso un dialogo diplomatico e politico”. L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ormai al termine della sua missione in Ucraina, traccia con Vatican News un bilancio del viaggio.
Si conclude oggi la sua missione in Ucraina, dopo tre giorni di incontri molto fitti. Quali sono le sue prime impressioni e le sue conclusioni sull’esito di questa missione?
Vorrei incominciare con una parola di ringraziamento, soprattutto a Dio che ci ha permesso di compiere questa missione. Tutto è andato molto bene. Poi, evidentemente, un ringraziamento a quanti hanno facilitato questo viaggio: le autorità ecclesiastiche e civili della Polonia, che ci hanno accompagnato da Cracovia fino ai confini con l’Ucraina; la Chiesa qui in Ucraina – la Chiesa greco-cattolica, la Chiesa latina – e anche le autorità che ci hanno dato assistenza in moltissimi modi. Ovviamente, uno speciale ringraziamento al nunzio apostolico, monsignor Visvaldas Kulbokas, e ai suoi collaboratori a Kiev che ci hanno ospitato e che ci hanno aiutato in tanti modi. In questo modo abbiamo potuto viaggiare in sicurezza, vedere la situazione e incontrare le persone. Sono molto felice che la missione abbia avuto successo a questo livello. Credo che ci sia stato permesso di rendere presente l’attenzione, la preoccupazione del Santo Padre, della Santa Sede in generale, e di poter toccare la realtà, vedere le autorità, anche loro sotto pressione per la guerra, e poi la Chiesa con tutte le sue preoccupazioni. Abbiamo visto e abbiamo sentito anche da parte delle autorità un grande riconoscimento per tutto il lavoro che la Chiesa ha fatto qui in Ucraina durante questa emergenza: l’attività umanitaria e il sostegno spirituale offerto al popolo. E questo è molto, molto importante. So che il Santo Padre sarà molto felice di ricevere notizie in questo senso.
Lei ha avuto occasione di attraversare il Paese da Leopoli a Kiev. Tante le persone incontrate, tante le testimonianze di eroismo dovuto alle semplici cose, fatto anche di semplici gesti, ma anche tante le sofferenze che ha potuto toccare con mano …
Sì. Per noi che viviamo in genere comodamente nei nostri Paesi, immaginare questi mesi di conflitto, le sofferenze, la gente che è dovuta fuggire in pochi minuti lasciando tutto, le persone che vivono l’angoscia di non sapere la sorte dei loro cari… Anche a livello psicologico abbiamo visto al monastero benedettino qui a Leopoli, famiglie traumatizzate in modo evidente, bambini che soffrono, che hanno ancora molta paura. Così abbiamo toccato le sofferenze di questo popolo. E questo credo che per l’Oriente che per l’Occidente sia lo stesso: è qualcosa di inedita, che nessuno si aspettava. Lo shock è molto grande in questo popolo. E anche guardando verso il futuro, l’insicurezza, i dubbi, il cercare di essere coraggiosi, di avere la forza per continuare e poi la responsabilità che tutti sentono di incoraggiare gli altri e non mostrare – forse – nemmeno i propri sentimenti, qualche volta. Questo è veramente un popolo ferito, un popolo allo stesso tempo molto coraggioso, molto determinato: non possiamo trascurare la grande sofferenza di questo grande popolo ucraino in questo momento.
Un popolo ucraino che rappresenta una grande varietà e ricchezza di culture, che è rispecchiata anche nella varietà e nella ricchezza religiosa. Quanto è importante lo spirito ecumenico nella ricostruzione della pace della futura Ucraina?
Credo che questo sia essenziale, perché in un momento così, in qualsiasi Paese, pur essendo unito – e c’è questa unità, noi l’abbiamo sentita – si manifesta anche il pericolo di incominciare ad avere rivalità, risentimenti nei confronti l’uno dell’altro. Così è indispensabile che tutti quanti rimangano fermamente determinati nel lavorare a favore dell’unità del Paese, del corpo politico del Paese, per l’unità dei cristiani, l’unità della Chiesa cattolica, l’unità con le altre religioni, per poter usufruire delle risorse spirituali, della grazia che Dio concede in questi momenti, e non dissipare queste cose in difficoltà, in litigi. Questo è indispensabile. Questa è pure un’opportunità quando si presentano alcuni malintesi o difficoltà storiche, ma possono essere superate in questo momento.
Lei ha avuto la possibilità di parlare con i vertici istituzionali dell’Ucraina. Una delle grandi questioni riguarda gli spazi per aprire una via di dialogo per arrivare a un futuro di pace. Quali spazi ha potuto rilevare in questi colloqui?
La prima cosa che ho notato: il fatto che io sia venuto qui con i miei collaboratori per qualche giorno è stato molto apprezzato. Abbiamo mantenuto la promessa fatta al ministro degli Affari esteri di venire; così siamo arrivati. Poi, tutti quanti hanno manifestato la loro riconoscenza per le parole del Papa pronunciate nelle udienze, negli Angelus, nelle interviste. Loro sentivano che il Papa “ha il polso” di questo popolo nelle sue sofferenze. Così credo che loro ritengano che la Santa Sede, il Santo Padre stesso, potrebbe ancora continuare a svolgere un ruolo molto significativo in questo conflitto e nella sua risoluzione. Ci sono spazi. Il presidente Zelensky ha detto che di fronte ad una guerra che continua, alla fine deve essere la diplomazia a risolvere le cose; le parti in conflitto devono arrivare al tavolo per negoziare. Hanno già fatto un tentativo – e questo merita riconoscimento – però bisogna rinnovare questo impegno, per risolvere il conflitto attraverso un dialogo diplomatico e politico.
Eccellenza, il dialogo diplomatico e politico avviene a livelli molto alti. Poi c’è la dimensione umana. Lei l’ha potuta sperimentare sia nel carico emotivo di alcune persone che ha incontrato. Penso ad esempio al religioso della Chiesa ortodossa ucraina, che ha raccontato la sua esperienza durante i giorni più duri dell’assedio, così come alle parole del nunzio, quando le ha raccontato la sua esperienza personale durante i giorni del bombardamento e le ha mostrato degli oggetti che sono stati ritrovati nelle case in rovina. Ha fatto questo con una grande emozione. Questa dimensione umana, come potrà essere risvegliata nella popolazione per assicurare un percorso verso una redenzione dopo il conflitto?
Questo popolo ha passato e sta passando giorni terribili, come lei sta raccontando. Mi ha colpito molto il coraggio del sacerdote ortodosso che abbiamo incontrato a Bucha, che racconta quei giorni terribili, quando c’erano cadaveri ovunque e lui chiedeva che fossero sepolti. Sì, si vede che in fondo, forse in alcuni posti le cose vanno un po’ meglio in questi giorni, però le ferite rimangono e anche noi nel nostro piccolo, veniamo, cerchiamo di parlare con loro, di mostrare una empatia verso le loro sofferenze, un gesto di sostegno, un gesto di incoraggiamento. Questa, però, secondo me non è una cosa che noi uomini possiamo fare da soli. Veramente quando abbiamo bisogno, sentiamo assolutamente la necessità dell’incontro con Cristo che sana le nostre ferite. In un certo senso, l’Ucraina deve un po’ camminare come Maria Maddalena nel giardino per incontrare il Cristo risorto. Solo questo può asciugare le lacrime di questo popolo. Sono convinto che quando si vedono queste persone c’è una grande solidarietà umana, però c’è anche una grande fede. Sono convinto che il popolo, attraverso l’approfondimento della fede, a prescindere dalle tradizioni – cattolica, ortodossa, protestante, ebraica e altre religioni – possa arrivare alla risurrezione, anche in questo tempo di Pasqua.
Una considerazione, ancora, su quelle che sono le aspettative dell’Ucraina da parte del resto del mondo. C’è stata grande gratitudine che le è stata manifestata per quella che è l’attenzione dell’Europa nei confronti del popolo ucraino. Ma è stato anche rilevato un po’ un calo di attenzione, una diminuzione – forse – anche di quelli che sono gli aiuti che arrivano nel Paese. Cosa si può fare di concreto per aiutare il popolo ucraino? Cosa si sentirebbe di suggerire?
Una certa fatica nell’invio di aiuti di qualsiasi tipo è naturale; lo abbiamo visto in tanti posti del mondo. È difficile sostenere l’interesse, la simpatia, la solidarietà per un periodo molto lungo; questo succede un po’ dappertutto. Quello che secondo me si dovrebbe fare adesso è cercare – esiste già, ma dobbiamo intensificarlo – i contatti con le autorità, con la società civile, con le Chiese, per cercare di capire di cosa hanno veramente bisogno. Un particolare che mi ha colpito molto parlando con il ministro degli Affari esteri, con il segretario della Presidenza e con il Primo ministro, è che tutti quanti dicevano continuamente: “Rimaniamo in contatto. Sentiamoci spesso”. il mondo, l’Europa, sono stati molto generosi nei confronti dell’Ucraina; abbiamo sentito molte testimonianze di gratitudine verso la Polonia, la Chiesa cattolica in Polonia, insieme a un sentimento di solitudine di fronte alle grandi sfide del momento. E così, credo che la comunità internazionale a tutti i livelli si deve stringere attorno all’Ucraina in questo momento.
Si ha la sensazione a volte che in Occidente il dibattito circa la guerra in Ucraina, si risolva spesso in una polemica sull’invio di armamenti o altri tipi di sostegno. Secondo lei, c’è una corretta percezione di quella che è la situazione di conflitto e di vera necessità dei popoli, ucraino e russo, per arrivare a una riconciliazione, alla fine del conflitto?
Mi sembra molto chiaro che purtroppo è troppo presto per parlare prima di pace e poi di riconciliazione. Molti ci hanno detto che loro capiscono l’argomento, capiscono che questi sono i valori profondamente umani e cristiani, però purtroppo il popolo ha sofferto così tanto in questi mesi. È troppo presto. L’Ucraina deve difendersi e per fare questo deve ricevere aiuti, anche militari. Noi abbiamo sempre insistito che ci deve essere una certa proporzionalità, perché cominciare una corsa alle armi di nuovo, in Europa, nel mondo, non conviene. Come ho detto prima è necessario che l’Ucraina sia inclusa in tutte le iniziative a favore della pace in questo Paese.