Gabon, suor Neloumta: cercate di capire l’Africa, come fa il Papa

Vatican News

Il Paese è alle prese con la difficile sfida di continuare a sfruttare la foresta, sua immensa risorsa, tutelando biodiversità e crescita economica della popolazione. Se n’è parlato nella capitale Libreville al summit “One forest” con il presidente francese Macron e altri capi di Stato. La provinciale delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida di Thouret parla di un Paese piombato in una crisi sociale che finisce per disorientare i giovani, facili bersagli delle sette

Antonella Palermo – Città del Vaticano

La foresta come opportunità e rischio, come risorsa e trappola. Il Gabon, nell’Africa centro-occidentale, è uno dei sei Paesi del bacino del fiume Congo con un territorio coperto per l’88 per cento da quello che è considerato il polmone verde tra i più estesi del pianeta, tanto che proprio nella capitale Libreville, si è tenuto all’inizio di marzo il One forest summit, sotto il patrocinio del presidente francese Macron che ha visitato anche altri quattro Stati dell’Africa centro meridionale. La speranza è che quanto emerso possa garantire una coerenza con il monito del Papa il quale un mese e mezzo fa, dall’Africa, lanciava l’appello al mondo a non depredare il continente. Ci si chiede insomma quanto spazio di autonomia e crescita resta a livello locale rispetto a un colonialismo che intende arretrare definitivamente ma che, di fatto, mostra di lasciare il proprio zampino rendendo difficile un completo affrancamento.

La Françafrique è finita?

“L’era della Françafrique è finita, la Francia è ora un partner neutrale nel continente”, così Macron al suo arrivo a Libreville. In realtà, dopo la partenza delle truppe d’oltralpe dalla Repubblica Centrafricana, Mali e Burkina Faso, alcune migliaia di uomini sono ancora di stanza nel continente. A tutt’oggi, la Francia ha una presenza militare in Africa, con quattro basi permanenti (in Senegal, Costa d’Avorio, Gabon e Gibuti) e dispiega truppe per operazioni specifiche in Niger e Ciad. L’auspicio in Gabon è che si possa camminare con le proprie gambe – ed è noto quanto gli appetiti cinesi e russi qui siano forti – sebbene si riconosce che queste gambe presentano più di una fragilità. 

Investire nelle foreste

“Oggi non c’è miglior investimento che investire nelle nostre foreste”, afferma il presidente Ali Bongo Ondimba al vertice internazionale sulla conservazione delle foreste pluviali che svolgono un ruolo vitale nel sistema climatico globale e nel prevenire l’insorgere di nuove epidemie. Nel summit, a cui hanno partecipato capi di Stato dall’America Latina e dal sud-est asiatico, si è dimostrato che tutela delle foreste e sviluppo economico dei Paesi delle aree interessate non sono contrapposti, che si può preservare la biodiversità e sostenere economicamente le popolazioni locali. Infatti qui le minacce vanno dal bracconaggio alla deforestazione per le industrie di petrolio, palma e gomma, dal disboscamento illegale allo sfruttamento minerario.

La missione delle Suore della Carità tra i giovani in Gabon

Come incentivo è stato istituito un primo finanziamento di cento milioni di euro, metà dei quali saranno forniti dalla Francia. Tra gli impegni del governo del Gabon, che è già un Paese ‘virtuoso’ con emissioni di CO2 inferiori rispetto a quelle assorbite, la protezione delle specie rare, come l’albero Kevazingo nel Parco di Pongara, il cui legno è ricercato e costoso. Tuttavia, le risorse internazionali stanziate a tutela degli ambienti equatoriali restano troppo basse. E, soprattutto, non sembrano innescare un altrettanto virtuoso sviluppo di tutte le fasce della popolazione. Del resto, è proprio la forte disuguaglianza economica il vulnus sempre aperto in gran parte del continente. Ne è convinta anche suor Paola Neloumta, provinciale delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida di Thouret:

Ascolta l’intervista a suor Paola Neloumta

Le diseguaglianze sociali ed economiche

“La forbice tra ricchi e poveri è troppo grande”, spiega la religiosa. “Per esempio, a scuola la nostra suora cerca di aiutare i giovani facendo capire loro che bisogna lottare, trovare un’altra soluzione alla povertà, non abbattersi”. Suor Paola ritiene che vent’anni fa il Gabon poteva essere considerato tra i Paesi africani più sviluppati “ma ultimamente c’è stata una crisi molto forte”. Racconta di un Paese che non è accessibile nelle sue aree interne, quasi interamente occupate dalla foresta, appunto, che “il governo non ha fatto le strade, è difficile addentrarsi”. Infatti, la popolazione è concetrata sulla costa, dove risiede la minuscola comunità delle suore. La missione qui è nata nel 2001: il primo stanziamento era in una laguna dove nessun’altra congregazione aveva voluto andare, poi il trasferimento a Port Gentil, capoluogo della provincia di Ogooué-Maritime, dove si gestisce una scuola parrocchiale, si cura il servizio dei poveri alla Caritas parrocchiale, si insegna in una scuola cattolica.

Formare le nuove generazioni

La forza delle donne e la solidarietà tra i poveri

“Il ritiro dei francesi ha indebolito il Paese”, osserva la religiosa. “Non si era preparati ad affrontare il vuoto, poi ora ci sono cinesi, anche alcuni spagnoli. Ciascuno cerca di prendere ciò che serve a sé, non a guardare alla popolazione locale”, lamenta. “Per ora il Gabon non riesce ad andare avanti da solo. La povertà è arrivata in un modo violento. Per me sarebbe necessario di avere un governo che si preoccupa del bene della gente, al di là di ogni corruzione con l’esterno”, denuncia. Nelle sue parole non traspare tanto una forma di nostalgia, quanto una presa d’atto della mancanza di una crescita sociale in parallelo con il venir meno di presidi stranieri. Suor Paola ci parla dal Ciad, la sua base come provinciale, “dove la situazione molto peggiore di quella del Gabon anche per l’instabilità politica”. Ricorda i tragici fatti di ottobre dell’anno scorso con la devastante alluvione e le manifestazioni per la transizione ciadiana represse duramente con centinaia di vittime. È fiduciosa: “Noi pensiamo, nonostante tutto questo male, che Dio non ci abbandona”. E sottolinea come “la forza sta nelle donne e nella solidarietà tra i poveri. Per esempio, chi ha perso le case con l’inondazione è stato il primo ad andare in chiesa per diffondere l’offerta di ospitalità per le famiglie sfollate. I giovani si sono organizzati insieme per risistemare le case danneggiate in modo da far trovare un tetto”.

I bambini della scuola primaria gestita dalle Suore della Carità

I danni delle sette: giovani allo sbando per le strade

“La suora che va a scuola lavora anche nella pastorale giovanile. C’è una crisi anche nelle famiglie, fa venire fuori tanta violenza, le famiglie sono distrutte”, spiega ancora suor Neloumta. “La sorella lavora con l’animazione e la catechesi. L’altra alla Caritas gestisce ciò che riescono a raccogliere per i poveri, va nelle case e cerca di curare chi è malato. C’è tanto da fare, noi siamo pochi”. Dal suo racconto, essenziale ma concreto, viene alla luce anche un fenomeno che interpella molto: “da un paio di anni riflettiamo su un progetto che ha a che fare con un fenomeno nuovo: tanti giovani diventano ‘matti’ e vivono per le strade. È uno shock vedere gente che perde letteralmente la testa. Le suore con i laici cercano di fare qualcosa ma è difficile, sembra sia proprio il segnale che c’è qualcosa che non va nel Paese”. Suor Paola riferisce della presenza delle sette, che “fanno molta presa soprattutto sui giovani, li seducono”. Parla di uno stato di disorientamento che sarebbe alimentato proprio da gruppi che manipolano le coscienze degli individui con gravi danni di destabilizzazione sociale. 

Le tracce della tratta di esseri umani

Si tratta di situazioni assai delicate a cui si aggiungono le tracce della tratta che “è rimasta una grande ferita e ha causato anche un odio interno tra chi vive sulla costa e chi vive all’interno”. A questo proposito, la religiosa spiega che le persone da schiavizzare venivano prelevate dalle zone interne del Paese da chi era riuscito a diventare ‘amico’ dei trafficanti di esseri umani. E riguardo alle migrazioni che interessano questa regione, “in questo momento l’emigrazione verso l’Europa non è aumentata – precisa – più che altro continua l’esodo rurale. C’è ancora il mito di un’Europa dove si studia meglio ma se lo possono permettere solo le famiglie ricche”.

Festa in maschera

“Il Papa ha capito l’Africa, fate lo stesso. Ci fa bene”

Il ricordo della presenza del Papa in terre così vicine come la Repubblica Democratica del Congo, è molto vivo: “Tutta l’Africa, soprattutto quella subsahariana, si è sentita vicina al Papa – afferma – abbiamo sentito che è qualcuno che ci capisce. Ora sappiamo più chiaramente che le nostre risorse ci fanno male, è un paradosso. Quando lui ha detto ‘Giù le mani dall’Africa’, questa frase ci ha come liberato da qualcuno, come se ha dato la forza di sollevare la testa, ci siamo sentiti accolti. È vero infatti che siamo stati noi ad accoglierlo ma è lui che in realtà ha accolto noi. Vediamo che lui ha una grande attenzione per la Chiesa in Africa e questo ci fa molto bene. Bisogna continuare a offrire una testimonianza di Cristo qui, noi consacrati, preti e vescovi. Bisogna anche purificarci un po’ e questo ci fa molto bene”. L’appello che risuona ancora una volta è a “cercare di conoscere l’Africa, di dire una parola di consolazione. Questo ci fa molto bene”, ripete. “Vedo che quando qualcuno cerca di capire, i nostri media non dicono tutto, infatti, vediamo che non siamo da soli”.

La forza delle donne