Quello con i poveri e i profughi nella chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria, la mattina di sabato 29 aprile è il primo incontro pubblico di Papa Francesco nel suo secondo giorno in Ungheria. Caritas Ungheria e Comunità di Sant’Egidio sono alcune delle realtà che hanno favorito l’integrazione delle persone provenienti da numerosi Paesi, tra i quali Ucraina e Pakistan
Andrea De Angelis – Budapest
Tutto è pronto, nel piazzale dinanzi alla chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria, dove oggi, sabato 29 aprile, il Papa incontra poveri e rifugiati. Tanti i bambini, intere famiglie di migranti sono presenti per un momento unico, indelebile nella memoria di chi ha ancora negli occhi le immagini del distacco da casa, dal Paese d’origine. Pakistani, ucraini, zingari e rom, per citarne solo alcuni. Un crocevia di lingue e culture, che oggi ad una sola voce parla al vescovo di Roma. Francesco, pellegrino di pace, venuto per portare una carezza e per dire, ancora una volta, che “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” sono i verbi più appropriati per il fenomeno migratorio. Anche qui, in Ungheria, dove a nord est c’è il confine che separa i magiari dagli ucraini.
Il grazie al Papa
Proprio una famiglia ucraina, di lingua russa, ripete più volte il suo “grazie al Papa”. Le sue preghiere, gli appelli, le parole spese in più occasioni per il martoriato popolo ucraino sono balsamo e fonte di speranza. Grazie a questa vicinanza è possibile volgere “con più fiducia” lo sguardo al futuro. Nonostante i lutti, gli orrori di questa guerra, di ogni conflitto. Una ragazza pakistana racconta la sua storia, lei che è arrivata in Ungheria “per poter vivere pienamente la propria fede” ed è grata al popolo ungherese per l’accoglienza ricevuta. Ci parla dei giovani, di chi si sente “chiamato a costruire una società migliore”, promuovendo quello sviluppo integrale a cui il Papa tante volte ha sollecitato. Si respira, oggi a Budapest, quella creatività del bene di cui Francesco si è fatto promotore, chiedendo a tutti e ciascuno di favorire la pace, costruendola come fanno gli artigiani.
La Comunità di Sant’Egidio
In questo processo di accoglienza e integrazione riveste un ruolo importante la Comunità di Sant’Egidio, presente da lungo tempo in Ungheria. Péter Szőke, responsabile della Comunità a Budapest, spiega con emozione quanto sia importante per queste persone poter incontrare il Papa. Loro, rifugiati, accolgono oggi il successore di Pietro. “Penso che i poveri e i rifugiati in particolare capiscono che il Papa vuole loro bene, per questo sono pieni di aspettative e speranze”, afferma. “Sanno che Francesco è un messaggero di pace e gli ucraini, tutti i rifugiati sono anche loro messaggeri di pace perché si trovano qui per sete di pace, per essere fuggiti da realtà violente e disumane”.
Essere accanto agli ultimi
Qual è, gli chiediamo, il ruolo di Sant’Egidio in Ungheria? “Non è mai facile capire l’importanza di una realtà in un luogo specifico, ma posso dire – prosegue Szőke – ciò che cerchiamo di essere. La strada – ricorda – ce la indicò il Papa, parlandoci tempo fa delle ‘tre P’, ovvero dell’importanza della preghiera, dell’essere accanto ai poveri e di promuovere la pace”. Per questo, ogni giorno, “cerchiamo di promuovere la pace, di coltivare amicizie con chi è solo, compresi gli anziani, diffondendo una cultura di solidarietà e amore verso chi troppo spesso è scartato”. Tra chi oggi è più fragile c’è anche la popolazione ucraina, i tanti rifugiati “inizialmente accolti nelle stazione, poi – spiega – in appartamenti presi in affitto”. Ma ci sono situazioni ancora più complicate, come quella “dei malati rifugiati, di chi ha bisogno di dialisi ed è importante essere accanto a loro”. Senza dimenticare i “poveri tra i poveri, gli zingari di lingua ungherese provenienti dall’Ucraina. Molti di loro – conclude – fanno fatica a trovare il loro posto oggi, spesso sono analfabeti, cerchiamo di aiutarli a trovare lavoro e accoglienza, anche se non è facile”.