Francesco: sogniamo una Chiesa serva di tutti. Grave peccato sfruttare i più deboli

Vatican News

Il Papa celebra nella Basilica di San Pietro la Messa a chiusura dell’Assemblea sinodale: “Oggi non vediamo il frutto completo di questo processo, ma il Signore ci aiuterà ad essere Chiesa più sinodale e missionaria, che serve le donne e gli uomini del nostro tempo”. La Chiesa che sogniamo è “una Chiesa che accoglie, serve, ama e non esige mai la pagella di ‘buona condotta’”

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Serva di tutti, serva degli ultimi. Una Chiesa che accoglie, che è “porta”, aperta a tutti, e che è “porto” di misericordia. Una Chiesa che non esige pagelle di “buona condotta”, in cui Dio è al primo posto e con Lui coloro che Egli predilige: i poveri, i deboli, le vittime delle “atrocità” della guerra, i migranti, la gente che il mondo sfrutta “dietro belle parole e suadenti promesse”

È un peccato grave sfruttare i più deboli, un peccato grave che corrode la fraternità e devasta la società

Chiesa più sinodale e missionaria

Francesco celebra a San Pietro la Messa per la chiusura della XVI Assemblea generale del Sinodo sulla sinodalità che ha visto riunirsi in Vaticano dal 4 ottobre cardinali, vescovi, laici e laiche, religiosi e religiose, esperti e fratelli e sorelle di altre confessioni cristiane. Tutti sono riuniti intorno al Papa nella Basilica vaticana gremita da circa 5 mila fedeli, per celebrare la chiusura di un cammino lungo quattro settimane. In questo tempo, dice Francesco nell’omelia, abbiamo potuto “scoprire la bellezza della fraternità”, “ci siamo ascoltati reciprocamente” e soprattutto, “nella ricca varietà delle nostre storie e delle nostre sensibilità, ci siamo messi in ascolto dello Spirito”.

Oggi non vediamo il frutto completo di questo processo, ma con lungimiranza possiamo guardare all’orizzonte che si apre davanti a noi: il Signore ci guiderà e ci aiuterà ad essere Chiesa più sinodale e missionaria, che adora Dio e serve le donne e gli uomini del nostro tempo, uscendo a portare a tutti la consolante gioia del Vangelo.

Dio al primo posto

Servire e annunciare, ma anche accogliere, adorare, amare. Soprattutto “amare”, dice il Pontefice nella sua riflessione intervallata da citazioni del cardinale Martini, di Carlo Carretto e di San Giovanni Crisostomo, perché “l’amore” è il primo comandamento, il “centro propulsore”, il “principio ispiratore”. “Non le nostre strategie, non i calcoli umani, non le mode del mondo”, non le “idolatrie” che sembrano offrire vita quando invece la vita la chiedono in cambio: “Amare Dio con tutta la vita e amare il prossimo come sé stessi”, questo – afferma il Papa – è “principio e fondamento da cui tutto comincia e ricomincia”.

Le idolatrie che rendono schiavi

Ma come tradurre tale slancio di amore? Anzitutto con l’adorazione, prima risposta all’amore “gratuito e sorprendente” di DioAdorare significa infatti riconoscere che Dio “è il senso del vivere: il fondamento della nostra gioia, la ragione della nostra speranza, il garante della nostra libertà”. Sì, adorando Lui ci riscopriamo liberi noi. Per questo l’amore al Signore nella Scrittura è associato alla lotta contro ogni idolatria.

Chi adora Dio rifiuta gli idoli perché, mentre Dio libera, gli idoli rendono schiavi. Ci ingannano e non realizzano mai ciò che promettono, perché sono opera delle mani dell’uomo.

“Sempre – ammonisce Francesco – dobbiamo lottare contro le idolatrie; quelle mondane, che spesso derivano dalla vanagloria personale, come la brama del successo, l’affermazione di sé ad ogni costo, l’avidità di denaro, il fascino del carrierismo; ma anche quelle idolatrie camuffate di spiritualità: le mie idee religiose, la mia bravura pastorale…”. “Vigiliamo – esorta – perché non ci succeda di mettere al centro noi invece che Lui”. E “torniamo all’adorazione”

La Chiesa sia adoratrice: in ogni diocesi, in ogni parrocchia, in ogni comunità si adori il Signore! Perché solo così ci rivolgeremo a Gesù e non a noi stessi…

Non c’è esperienza religiosa autentica sorda al grido del mondo

Il secondo verbo che il Papa elenca è “servire”, cioè amare Dio e il prossimo. “Non esiste un’esperienza religiosa autentica che sia sorda al grido del mondo. Non c’è amore di Dio senza coinvolgimento nella cura del prossimo, altrimenti si rischia il fariseismo”, afferma il Vescovo di Roma. E cita un “testimone del nostro tempo” come Carlo Carretto che metteva in guardia dalla “ambiguità farisaica” che ci vede “ripiegati sul nostro egoismo e con la mente piena di belle idee per riformare la Chiesa”.

Magari abbiamo davvero tante belle idee per riformare la Chiesa, ma ricordiamo: adorare Dio e amare i fratelli col suo amore, questa è la grande e perenne riforma

Vittime della guerra, migranti, poveri, deboli

Una “Chiesa al servizio”, dunque, è quella che desidera il Successore di Pietro, una Chiesa che “lava i piedi all’umanità ferita, accompagna il cammino dei fragili, dei deboli e degli scartati, va con tenerezza incontro ai più poveri”.

Il pensiero va “a quanti sono vittime delle atrocità della guerra; alle sofferenze dei migranti, al dolore nascosto di chi si trova da solo e in condizioni di povertà; a chi è schiacciato dai pesi della vita; a chi non ha più lacrime, a chi non ha voce”. E “penso – aggiunge – a quante volte, dietro belle parole e suadenti promesse, vengono favorite forme di sfruttamento o non si fa nulla per impedirle”. È un peccato, un grave peccato.

Noi, discepoli di Gesù, vogliamo portare nel mondo un altro lievito, quello del Vangelo: Dio al primo posto e insieme a Lui coloro che Egli predilige, i poveri e i deboli

Serva degli ultimi

“Questa è la Chiesa che siamo chiamati a sognare: una Chiesa serva di tutti, serva degli ultimi”, ribadisce Francesco. Una Chiesa “più sinodale e missionaria”. Da qui il grazie a tutti coloro che hanno fatto parte dell’assemblea “per il cammino fatto insieme, per l’ascolto e per il dialogo”. E insieme al ringraziamento, anche l’augurio “che possiamo crescere nell’adorazione di Dio e nel servizio del prossimo”.

Avanti, con gioia!