Il Papa in Aula Paolo VI per l’udienza generale non legge la catechesi per via dell’infiammazione ai polmoni, lasciando il compito a monsignor Filippo Ciampanelli della Segreteria di Stato. La riflessione prosegue la serie dedicata all’annuncio cristiano: è dove si vive e si lavora, si soffre e si studia, che la Chiesa deve farsi “fermento di dialogo e di incontro”
Adriana Masotti – Città del Vaticano
Francesco non rinuncia ad essere presente all’udienza generale di questo mercoledì, 29 novembre. Il suo ingresso in Aula Paolo VI è salutato da applausi calorosi e grida di “viva il Papa” che testimoniano l’affetto dei fedeli e dei pellegrini che sanno della sua indisposizione di questi giorni. Ieri sera la Sala Stampa vaticana ha comunicato la sua forzata rinuncia, su richiesta dei medici, al viaggio apostolico a Dubai di venerdì prossimo per partecipare alla Cop28, appuntamento a cui Francesco teneva moltisssimo. In Aula Paolo VI il Papa si siede e dà a tutti il benvenuto spiegando che non sentendosi ancora bene – “con questo grip e la voce non è bella” – sarebbe stato monsignor Ciampanelli a leggere il testo della catechesi e dei saluti.
L’annuncio cristiano è per l’oggi
La catechesi prosegue il tema della passione per l’annuncio cristiano alla luce dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium. L’aspetto che il Papa desidera sottolineare questa volta è il valore del tempo presente. L’annuncio, afferma infatti, è per l’oggi, quell’oggi di cui molti si lamentano guardando alle guerre, ai cambiamenti climatici, alle ingiustizie a livello mondiale e alle migrazioni in corso, all’attuale “crisi della famiglia e della speranza”.
Nel testo letto da monsignor Ciampanelli, Francesco descrive quella di oggi come una cultura basata sull’individuo e sul primato della tecnica, su un concetto di libertà che rifiuta ogni limite e non si cura dei più deboli.
E così consegna le grandi aspirazioni umane alle logiche spesso voraci dell’economia, con una visione della vita che scarta chi non produce e fatica a guardare al di là dell’immanente. Potremmo persino dire che ci troviamo nella prima civiltà della storia che globalmente prova a organizzare una società umana senza la presenza di Dio, concentrandosi in enormi città che restano orizzontali anche se hanno grattacieli vertiginosi.
Pensiero unico e ricerca del potere sono tentazioni pericolose
Uniformità e delirio di onnipotenza riportano alla mente il racconto della torre di Babele. L’umanità parla una lingua sola e vuole arrivare fino al cielo, ma Dio scompiglia le carte e ristabilisce le differenze. Il cosiddetto “pensiero unico” e la ricerca del potere sono tentazioni pericolose, sottolinea Francesco, così il Signore con il suo interveto previene un disastro.
Sembra davvero attuale questo racconto: anche oggi la coesione, anziché sulla fraternità e sulla pace, si fonda spesso sull’ambizione, sui nazionalismi, sull’omologazione, su strutture tecnico-economiche che inculcano la persuasione che Dio sia insignificante e inutile: non tanto perché si ricerca un di più di sapere, ma soprattutto per un di più di potere.
Non guardare al passato
Il Papa ricorda che nell’Evangelii gaudium aveva invitato a un annuncio del Vangelo che illuminasse le relazioni tra le persone e con l’ambiente e raggiungesse “i nuclei più profondi dell’anima delle città” dove si svolge la vita, rifuggendo dalla nostalgia e da ogni rigidità:
Non serve dunque contrapporre all’oggi visioni alternative provenienti dal passato. Nemmeno basta ribadire semplicemente delle convinzioni religiose acquisite che, per quanto vere, diventano astratte col passare del tempo. Una verità non diventa più credibile perché si alza la voce nel dirla, ma perché viene testimoniata con la vita.
Occorre stare nei crocevia dell’oggi
La Chiesa per Francesco deve essere stimolo all’incontro e all’unità e il suo sguardo sul mondo dev’essere accogliente e non di distaccato giudizio. Papa Francesco afferma ancora che per portare Gesù agli altri bisogna “scendere per strada, andare nei luoghi dove si vive, frequentare gli spazi dove si soffre, si lavora, si studia e si riflette”. Non dobbiamo aver paura del dialogo, avverte, anzi il confronto e la critica ci possono aiutare e conclude:
Occorre stare nei crocevia dell’oggi. Uscire da essi significherebbe impoverire il Vangelo e ridurre la Chiesa a una setta. Frequentarli, invece, aiuta noi cristiani a comprendere in modo rinnovato le ragioni della nostra speranza, per estrarre e condividere dal tesoro della fede “cose nuove e cose antiche”.