Chiesa Cattolica – Italiana

Francesco: pace e convivenza si conquistano giorno per giorno

Adriana Masotti – Città del Vaticano

La radicale differenza tra la logica di Dio e la logica del mondo emerge con forza nelle parole di Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata all’Expo Grounds di Nur-Sultan, nella festa dell’Esaltazione della S. Croce. Da “patibolo di morte” la croce, afferma il Papa, diventa con Cristo, strumento di salvezza per tutti. E, in questa terra, si fa motivo di incoraggiamento e di richiamo a crescere nella fraternità “perché dalla Croce di Cristo impariamo l’amore non l’odio”.

I serpenti che uccidono e il serpente che salva

La celebrazione eucaristica, davanti a circa seimila persone, è in latino e in russo. Le preghiere dei fedeli sono lette in russo e in kazako. La liturgia, presieduta da Francesco ha come celebrante il vescovo diocesano, arcivescovo di Maria Santissima in Astana, monsignor Tomasz Peta. Primo concelebrante è il presidente della Conferenza episcopale dell’Asia centrale, monsignor José Luis Mumbiela Sierra, vescovo della Santissima Trinità in Almaty. Il secondo è il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia, mentre il terzo è l’ausiliare della capitale, monsignor Athanasius Schneider. La prima lettura tratta dal Libro dei Numeri presenta Mosè a cui il Signore promette la salvezza dal morso dei serpenti, mandati da Dio stesso nel deserto, a chiunque guarderà il serpente di bronzo posto in alto su un’asta. Il brano del Vangelo di Giovanni parla di Gesù che ai suoi rivela che, allo stesso modo, “bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.

Sfiducia e mormorazione portano alla morte

Francesco pronuncia l’omelia in italiano e commenta le letture appena ascoltate cominciando dall’immagine dei serpenti che mordono gli israeliti caduti nella mormorazione contro Dio e contro Mosè. Il popolo in cammino verso la terra promessa è stanco, ha perso la speranza, non ha più fiducia in Dio. Così va incontro alla morte. Il Papa invita a guardare alla propria storia personale e comunitaria e afferma:

Quante volte, sfiduciati e insofferenti, ci siamo inariditi nei nostri deserti, perdendo di vista la meta del cammino! Anche in questo grande Paese c’è il deserto che, mentre offre uno splendido paesaggio, ci parla di quella fatica, di quella aridità che a volte portiamo nel cuore. Sono i momenti di stanchezza e di prova, nei quali non abbiamo più le forze per guardare in alto, per guardare verso Dio.

In questa terra non sono mancati i morsi dei serpenti

In questi momenti di buio a livello personale, ecclesiale e sociale veniamo, osserva Francesco, “morsi dal serpente della sfiducia” che ci porta al pessimismo, alla rassegnazione e alla chiusura in noi stessi. Il Papa guarda quindi al Kazakhstan affermando che in questa terra “non sono mancati morsi dolorosi”.

Penso ai serpenti brucianti della violenza, della persecuzione ateista, a un cammino a volte travagliato durante il quale è stata minacciata la libertà del popolo e ferita la sua dignità.

La pace e la giustizia vanno riconquistate ogni giorno

Ricordare il passato, prosegue Francesco può essere utile per renderci più attenti, per non cadere nell’illusione che le oscurità attraversate “siano acqua passata” e che il cammino del bene sia cosa scontata. E citando anche un’espressione di San Giovanni Paolo II in Kazakhstan nel settembre 2001, osserva:

No, la pace non è mai guadagnata una volta per tutte, va conquistata ogni giorno, così come la convivenza tra etnie e tradizioni religiose diverse, lo sviluppo integrale, la giustizia sociale. E perché il Kazakhstan cresca ancora di più “nella fraternità, nel dialogo e nella comprensione […] per gettare ponti di solidale cooperazione con gli altri popoli, nazioni e culture”, c’è bisogno dell’impegno di tutti. Prima ancora, c’è bisogno di un rinnovato atto di fede verso il Signore: di guardare in alto, di guardare a Lui, di imparare dal suo amore universale e crocifisso.

Gesù prende su di sè il veleno del peccato e della morte

C’è poi la seconda immagine suggerita dalle Letture: il serpente che salva. Il Signore ascolta la supplica di Mosè nel deserto, ma il Papa si domanda perché Dio stesso non ha distrutto i serpenti velenosi e ha voluto invece passare attraverso Mosè. “Questo modo di fare ci rivela il suo agire dinanzi al male”, spiega Francesco, “allora come ora, nella grande battaglia spirituale che abita la storia fino alla fine, Dio non annienta le bassezze che l’uomo liberamente insegue”. In agguato ci sono ancora i serpenti, che cosa fa Dio, allora, si domanda Francesco. La risposta la dà lo stesso Gesù attraverso la sua morte in croce:

Di fronte alle nostre bassezze, Dio ci dona un’altezza nuova: se teniamo lo sguardo rivolto a Gesù, i morsi del male non possono più dominarci, perché Lui, sulla croce, ha preso su di sé il veleno del peccato e della morte e ne ha sconfitto la potenza distruttiva. Ecco che cosa ha fatto il Padre dinanzi al dilagare del male nel mondo; ci ha dato Gesù, che si è fatto vicino a noi come non avremmo mai potuto immaginare.

Le braccia aperte di Gesù in croce segno di fraternità 

Gesù si è “fatto peccato” per noi, “si è fatto serpente”, afferma il Papa e la nostra salvezza sta nel guardare a lui crocifisso: lui ci dà uno sguardo nuovo con cui vedere la nostra vita e la storia: “dalla Croce di Cristo impariamo l’amore, non l’odio; il perdono, non la vendetta”.

Le braccia allargate di Gesù sono l’abbraccio di tenerezza con cui Dio vuole accoglierci. E ci mostrano la fraternità che siamo chiamati a vivere tra di noi e con tutti. Ci indicano la via, la via cristiana: non quella dell’imposizione e della costrizione, della potenza e della violenza, mai quella che impugna la croce di Cristo contro altri fratelli e sorelle per i quali Egli ha dato la vita! È un’altra la via di Gesù, la via della salvezza: è la via dell’amore umile, gratuito e universale, senza “se” e senza “ma”.

L’omelia si conclude con l’esortazione del Papa a “vivere senza veleni” a “non morderci tra di noi, non mormorare, non accusare, non chiacchierare, non spargere opere di male, non inquinare il mondo con il peccato e con la sfiducia che viene dal Maligno”. Questo significa vivere da cristiani: “testimoni gioiosi di vita nuova, di amore, di pace”.

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