Il Papa, alla Messa per la settima Giornata Mondiale dei Poveri, chiede ai fedeli di “diventare dono per gli altri” di fronte all’indifferenza di una società indaffarata e distratta. “Pensiamo a quanti sono oppressi, affaticati, emarginati, alle vittime delle guerre e a coloro che lasciano la loro terra rischiando la vita; a coloro che sono senza pane, senza lavoro e senza speranza”
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
La povertà è uno scandalo al quale bisogna rispondere seguendo il messaggio del Vangelo che indica ai cristiani di mettere “in circolo la carità”, di condividere il pane, di moltiplicare l’amore. Francesco, nell’omelia della Messa per la settima Giornata mondiale dei Poveri, in San Pietro, lancia il suo appello a reagire contro le tante forme di miseria, combattendo l’egoismo. “Non sotterriamo i beni del Signore”, è il suo richiamo, perché quando tornerà “ce ne chiederà conto”.
Pensiamo allora alle tante povertà materiali, alle povertà culturali, alle povertà spirituali del nostro mondo, pensiamo alle esistenze ferite che abitano le nostre città, ai poveri diventati invisibili, il cui grido di dolore viene soffocato dall’indifferenza generale di una società indaffarata e distratta. Quando pensiamo alla povertà dobbiamo dimenticare il pudore, la povertà è pudica, si nasconde, dobbiamo noi andare a cercarla, con coraggio. Pensiamo a quanti sono oppressi, affaticati, emarginati, alle vittime delle guerre e a coloro che lasciano la loro terra rischiando la vita; a coloro che sono senza pane, senza lavoro e senza speranza. Tante povertà quotidiane, e non sono due, tre, sono moltitudine, i poveri sono moltitudine
Farsi dono o vivere nell’egoismo
Il Papa si rivolge alle cinquemila persone che affollano Ia Basilica, la maggior parte delle quali costituita da coloro che la povertà la soffrono ogni giorno, privati di dignità e dei fondamentali mezzi di sostentamento. È di fronte a tale “moltitudine di poveri”, che Francesco chiama ad agire seguendo la parabola dei talenti, suggerendo due percorsi da seguire, il primo è “il viaggio di Gesù”. Così come l’uomo che prima di partire chiama i servi e consegna loro i suoi beni, Cristo, prima di tornare al Padre, consegna agli uomini i doni dello Spirito Santo affinché questi possano continuare “la sua opera nel mondo”, seguendo “una missione personale” affidata dal Signore “nella vita quotidiana, nella società e nella Chiesa”. Gesù, dice il Papa, non ha tenuto per sé la ricchezza ricevuta dal Padre, ma ha vissuto “in favore” degli uomini, ed è questo che ha “animato il suo viaggio nel mondo prima di tornare al Padre”. La parabola dice anche che una volta tornato, il padrone di quei servi vuole regolare i conti con loro, e ciò conduce al secondo percorso: “il viaggio della nostra vita”, spiega il Pontefice, quello che gli uomini compiono per arrivare all’incontro con Gesù per essere introdotti “nella gioia della vita eterna”
Quale strada percorriamo noi, nella nostra vita, quella di Gesù che si è fatto dono oppure la strada dell’egoismo? Quella delle mani aperte verso gli altri, per donare, per donarci, o quella delle mani chiuse per averne di più e custodirci soltanto? La parabola ci dice che ciascuno di noi, secondo le proprie capacità e possibilità, ha ricevuto i “talenti”. Attenzione: non lasciamoci ingannare dal linguaggio comune: qui non si tratta delle capacità personali, ma, come dicevamo, dei beni del Signore, di ciò che Cristo ci ha lasciato tornando al Padre
I cristiani sappiano rischiare
Il grande “capitale” lasciato da Gesù agli uomini è “l’amore del Signore, fondamento della nostra vita e forza del nostro cammino”, sta agli uomini, così come indicato nella parabola, scegliere cosa farne.
Possiamo moltiplicare quanto abbiamo ricevuto, facendo della vita un’offerta d’amore per gli altri, oppure possiamo vivere bloccati da una falsa immagine di Dio e per paura nascondere sotto terra il tesoro che abbiamo ricevuto, pensando solo a noi stessi, senza appassionarci a niente se non ai nostri comodi e interessi, senza impegnarci
Ed è una “domanda chiara” quella che Francesco rivolge ai fedeli:
La domanda che io faccio è: io rischio con la mia vita? io rischio con la forza della mia fede? io come cristiano, come cristiana, so rischiare o mi chiudo in me stesso per paura o per pusillanimità
La fede non va vissuta sottoterra
La parabola dei talenti, è l’indicazione di Francesco ai fedeli, “è un monito per verificare con quale spirito stiamo affrontando il viaggio della vita”. Gli uomini, che hanno “ricevuto dal Signore il dono del suo amore” sono chiamati “a diventare dono per gli altri”, perché “se non moltiplichiamo l’amore attorno a noi, la vita si spegne nelle tenebre; se non mettiamo in circolo i talenti ricevuti, l’esistenza finisce sottoterra, cioè come è se fossimo già morti (cfr vv.25.30)”.
Fratelli e sorelle quanti cristiani sotterrati, quanti cristiani vivono la fede come se vivessero sottoterra
I cristiani sono chiamati a condividere i beni donati da Gesù: il suo amore, la sua misericordia, la sua compassione, la gioia e la speranza, affinché ognuno, “secondo il dono ricevuto e la missione che gli è stata affidata, si impegni a “far fruttare la carità” e ad essere vicino a qualche povero”.