Francesco: la pace è artigianale. La costruiamo noi, non solo i potenti coi trattati

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Il Papa firma l’introduzione del libro “Giustizia e Pace si baceranno”, edito da LEV e L’Arena in vista della visita del 18 maggio a Verona. Il Pontefice denuncia l’egoismo che “quando diventa sistema personale e sociale, apre le porte al conflitto” e ricorda la storia del soldato Dallasega che si rifiutò di uccidere, perché credente, il prete veronese don Domenico Mercante, ostaggio dei nazisti. Entrambi furono assassinati. “È il mistero della Pasqua: violenza e morte sconfitte dal dono di sé”

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“La pace è artigianale”. Non la costruiscono solo i potenti “con le loro scelte e i loro trattati internazionali, che restano scelte politiche quanto mai importanti e urgenti”. La pace la costruiamo anche noi, “nelle nostre case, in famiglia, tra vicini di casa, nei luoghi dove lavoriamo, nei quartieri dove abitiamo”. La costruiamo aiutando un migrante per strada, visitando un anziano solo, rispettando la Terra maltrattata, accogliendo ogni nascituro. La costruisce l’esempio di personaggi come don Domenico Mercante, parroco della montagna veronese preso in ostaggio da soldati nazisti nel fine guerra, e il soldato Leonardo Dallasega che si rifiutò di ucciderlo perché credente, entrambi brutalmente assassinati ma entrambi testimoni di come l’amore sconfigga ogni violenza e morte.

Il volume pubblicato in occasione della visita a Verona

Ricordi del passato, raccomandazioni per il presente e promesse per il futuro si intrecciano nella introduzione inedita che Papa Francesco firma per il libro “Giustizia e pace si baceranno”, antologia di testi e pensieri sul tema “quanto mai attuale” del rapporto tra giustizia e pace, al centro della visita del 18 maggio a Verona. Il volume, edito da LEV e L’Arena, è stato diffuso oggi 15 maggio e sarà distribuito gratuitamente con il quotidiano di Verona L’Arena in occasione della visita del Pontefice nella città scaligera di sabato.

Giustizia e pace legate a doppio filo

“Se manca la giustizia, la pace è minacciata; senza la pace, la giustizia è compromessa”, scrive il Papa nel testo. “È quanto mai vero che la giustizia, intesa come la virtù di rendere ciò che si deve a Dio e al prossimo, è legata a doppio filo con la pace, nel senso più autentico e proprio della parola ebraica shalom”. Termine che indica “non tanto l’assenza di guerra bensì la pienezza di vita e di prosperità”.

L’egoismo che diventa conflitto

La pace rende possibile la giustizia, prima tra le “vittime” di ogni conflitto, così come “la pace diventa precondizione per una società giusta”. Ma entrambe queste due dimensioni dell’umano hanno “un prezzo”, afferma il Papa, che è quello della “lotta al proprio egoismo”, cioè “mettere il mio davanti al nostro”. Ogni egoismo “è ingiusto” e “quando diventa sistema di vita personale e sociale, apre le porte al conflitto, perché per difendere i miei interessi (o quelli che presumiamo tali) – sottolinea il Papa – si è pronti a tutto, anche a sopraffare il vicino, che da prossimo diventa avversario e quindi un nemico. Da umiliare, abbattere e sconfiggere”.

L’insegnamento di Romano Guardini

In proposito Francesco cita le parole inequivocabili di “un grande veronese” cresciuto in Germania, Romano Guardini: “La libertà non consiste nel seguire l’arbitrio personale o politico, ma ciò che è richiesto dalla natura dell’essere”. Proprio l’azione educativa e le riflessioni filosofico-spirituali di Guardini sono state “un faro in un tempo particolarmente buio” come quello della Germania degli anni ’30 e ‘40, “schiacciata dal giogo terribile del regime nazista”. Il Pontefice ricorda come alcuni membri della Rosa Bianca, il gruppo di giovani tedeschi che denunciò il nazismo a Monaco, “si erano abbeverati agli scritti filosofici e religiosi di Guardini”. “Anche da quelle letture – afferma – scaturì l’azione nonviolenta di quei ragazzi e ragazze che, scrivendo volantini clandestini diffusi in città, cercavano di risvegliare le coscienze delle persone, intorpidite dal totalitarismo di Hitler. E pagarono con la vita questa loro scelta di coscienza e di libertà”.

La vicenda di don Mercante e il soldato Dallasega

Il richiamo di quel capitolo nero della storia d’Europa fa riaffiorare alla mente del Papa il ricordo della vicenda del sacerdote veronese don Domenico Mercante e del soldato Leonardo Dallasega. Una vicenda, in cui “la giustizia e la pace si sono congiunte in un doppio sacrificio personale”, tutta da raccontare che risale all’aprile del 1945, nel tempo convulso della fine Seconda Guerra mondiale. Allora un gruppo di paracadutisti tedeschi in fuga verso il nord si inoltra in Val d’Illasi, in provincia di Verona e al confine col Trentino, e lì intercetta un soldato della Wehrmacht, Leonardo Dalla Sega, originario della Val di Non. In ritirata, da solo, viene incorporato con la forza nel gruppo. Giunti a Giazza, l’ultimo paesino della Val d’Illasi, i militari, dopo una scaramuccia con dei partigiani, prendono in ostaggio don Domenico Mercante, 46 anni, da meno di due parroco del paesino ma già noto per le azioni di protezione della popolazione civile durante l’occupazione nazi-fascista. I soldati volevano farsi scudo del prete passando per le montagne, raggiungere il Trentino e così puntare verso il Brennero, per salvarsi da eventuali rappresaglie. Raggiunta al pomeriggio la località di Cerè-San Martino, un ufficiale ordina a Dalla Sega di sbarazzarsi del prete. Ma Dalla Sega – riferiscono testimoni oculari – rispose: “Sono cattolico, padre di quattro figli, non possono sparare a un sacerdote!”.

Dare la vita per l’altro, anche a costo della propria

Sia il prete che il soldato caddero fucilati. Il corpo di don Domenico venne riportato a Giazza dopo qualche giorno; quello di Dallasega fu ritrovato con un crocifisso, un rosario e la foto della moglie in mano. Solo molti anni più tardi fu riconosciuto: per decenni quel soldato tedesco obiettore era rimasto senza nome. La vicenda è stata indagata, documentata e raccontata dal sacerdote veronese don Luigi Fraccari, impegnato in Germania fin dal 1943 a fianco degli Internati Militari Italiani (IMI) e con il nunzio apostolico del tempo monsignor Cesare Orsenigo. È giunta così fino ai giorni nostri. Una “tragica circostanza”, scrive Papa Francesco, in cui tuttavia “troviamo il senso profondo del sacrificio cristiano: dare la vita per l’altro, anche a costo della propria”. È “il mistero della Pasqua di Cristo: la violenza e la morte vengono sconfitte dall’amore e dal dono di sé”.

“Forse – aggiunge il Papa nell’introduzione – noi non saremo costretti a versare il sangue per professare la nostra fede, come ancora avviene in molte parti nel mondo per tanti nostri fratelli cristiani, ma è nelle piccole cose che siamo chiamati a testimoniare la forza pacifica della croce di Cristo e la vita nuova che nasce che essa: un gesto di perdono verso chi ci ha offeso, sopportare una maldicenza ingiusta, aiutare qualcuno messo ai margini”.

Scelte di pace e giustizia “a portata di mano” per costruire un mondo nuovo

È così, sottolinea il Vescovo di Roma, che si costruisce la pace: con piccoli gesti, parole, abitudini. “Possiamo fare pace aiutando un migrante che mendica in strada, visitando un anziano che è solo e non ha nessuno con cui parlare, moltiplicando i gesti di cura e di rispetto verso il povero che è il pianeta Terra, così maltrattato dal nostro egoismo sfruttatore, accogliendo ogni nascituro che viene al mondo, gesto che per santa Madre Teresa era un autentico atto di pace”.

Contro una guerra mondiale “a pezzi”, ci sono dunque “piccoli tasselli di pace” che “se si saldano insieme, costruiscono una pace grande”. “In queste scelte di pace e di giustizia quotidiane e a portata di mano possiamo seminare l’inizio di un mondo nuovo – assicura il Papa – dove la morte non avrà l’ultima parola e la vita fiorirà per tutti”.