Chiesa Cattolica – Italiana

Francesco: la fede ama e spera oltre la paura della Legge

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Quale è, secondo la Lettera ai Galati, il ruolo della Legge? Ruota intorno a questa domanda la catechesi del Papa nell’Aula Paolo VI. La stessa legge e i dieci Comandamenti, afferma il Pontefice, si devono osservare ma è Gesù che ci giustifica gratuitamente. “Siamo giustificati – ripete – per la gratuità della fede in Cristo Gesù”. “Il merito della fede è ricevere Gesù. L’unico merito: aprire il cuore”. Nella Lettera ai Galati, ricorda il Papa, San Paolo sostiene che la Legge è stata “come un pedagogo”. Nel sistema scolastico dell’antichità, spiega Francesco, il pedagogo era “uno schiavo che aveva l’incarico di accompagnare dal maestro il figlio del padrone e poi riportarlo a casa”. “Doveva così proteggerlo dai pericoli e sorvegliarlo” e la sua funzione era “piuttosto disciplinare”. Quando il ragazzo diventava adulto, “cessava dalle sue funzioni”.

Per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, benché sia padrone di tutto, ma dipende da tutori e amministratori fino al termine prestabilito dal padre. Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo» (Gal 4,1-3). Insomma, la convinzione dell’Apostolo è che la Legge possiede certamente una sua funzione positiva, ma limitata nel tempo. Non si può estendere la sua durata oltre misura, perché è legata alla maturazione delle persone e alla loro scelta di libertà. Una volta che si giunge alla fede, la Legge esaurisce la sua valenza propedeutica e deve cedere il posto a un’altra autorità.

Il tempo della Legge e quello della fede in Cristo

Francesco si sofferma sul significato dell’immagine del pedagogo nell’antichità aggiungendo che l’Apostolo sembra suggerire ai cristiani di dividere la storia della salvezza, e anche la sua storia personale, in due momenti: “Prima di essere diventati credenti e dopo avere ricevuto la fede. Al centro si pone l’evento della morte e risurrezione di Gesù”. A partire dalla fede in Cristo, osserva il Pontefice, “c’è un ‘prima’ e un ‘dopo’ nei confronti della stessa Legge”.

La storia precedente è determinata dall’essere ‘sotto la Legge’; quella successiva va vissuta seguendo lo Spirito Santo (cfr Gal 5,25). È la prima volta che Paolo utilizza questa espressione: essere ‘sotto la Legge’. Il significato sotteso comporta l’idea di un asservimento negativo, tipico degli schiavi. L’Apostolo lo esplicita dicendo che quando si è ‘sotto la Legge’ si è come dei ‘sorvegliati’ e dei ‘rinchiusi’, una specie di custodia preventiva. Questo tempo, dice San Paolo, è durato a lungo, e si perpetua finché si vive nel peccato.

“Quando eravamo nella debolezza della carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte.  Ora invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati dalla Legge (San Paolo, Lettera ai Romani)”

Dal Papa arriva anche l’invito a porsi una domanda. “Ci farà bene chiederci – afferma – se viviamo ancora nel periodo in cui abbiamo bisogno della Legge, o se invece siamo ben consapevoli di aver ricevuto la grazia di essere diventati figli di Dio per vivere nell’amore”.  “Come vivo io? Nella paura che se non faccio questo andrò all’inferno? O vivo anche con quella speranza, con quella gioia della gratuità della salvezza in Gesù Cristo? È una bella domanda. E anche la seconda: disprezzo i comandamenti? No. Li osservo, ma non come assoluti, perché so che quello che mi giustifica è Gesù Cristo”.

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